«Che m'importa dei vostri
sacrifici senza numero?» dice il Signore. «Sono sazio degli olocausti di
montoni e del grasso di giovenchi; il sangue di tori e di agnelli e di capri io non lo
gradisco.» (Isaia 1,11)
Di tutte le pratiche ascritte all’osservanza
dei precetti veri o presunti della religione cristiana, da quando questa
esiste, quella del sacrificio dell’agnello è forse una delle più antiche,
sicuramente una delle più barbare. Ogni anno si calcola che nei macelli
italiani a ridosso del periodo pasquale soccombano circa 500.000 esemplari di
cuccioli di ovini. Ma più del numero, e oltre alla tenerissima età, è il modo
che offende. Gli animali vengono
soppressi secondo un “rituale” che non ha nulla da invidiare a quelli resi atrocemente
famosi dall’Isis nell’ultimo recente capitolo delle guerre di religione.
La religione, a quanto pare, è
sempre a denominatore comune dei massacri più efferati, riguardino essi gli
uomini o le cosiddette bestie. Quella cristiana si vanta, nella sua più recente
accezione, di essere più progredita delle altre grandi religioni monoteiste,
guardando con orrore per esempio le pratiche di macellazione halal o kosher. Dimenticando che nei giorni immediatamente precedenti la
celebrazione della morte e resurrezione del Figlio di Dio è capace di fare
anche peggio.
Il sacrificio dei piccoli ovini
risale all’Antico Testamento, ai giorni lontani in cui una popolazione uscita
da poco dall’Età della Pietra cercava di rapportarsi con il proprio Dio così
come glielo consentiva un’anima ancora fondamentalmente superstiziosa e per
niente sgrezzata dal progresso filosofico e scientifico. Tra genti in gran
parte dedite alla pastorizia come mezzo di sussistenza, l’agnellino era il bene
più prezioso, perché assicurava il futuro, sia della specie ovina che di quella
umana.
Sacrificare a Dio il cucciolo
della specie che assicurava la sopravvivenza era il gesto di massima devozione,
almeno nell’immaginario collettivo di persone che riuscivano a concepire la
divinità come un qualcosa di sostanzialmente ostile e tremendamente vendicativo,
si trattasse di una come di tante. Il Dio dell’Antico Testamento era un Dio
degli eserciti e del sangue, non dello Spirito e della Fratellanza come sarebbe
diventato nel Nuovo.
Era un Dio che imponeva
sacrifici, e che aveva fermato la mano armata di pugnale del padre Abramo
contro il figlio Isacco solo per deviarla: dal proprio piccolo a quello del
gregge lì vicino. Non aveva avuto pietà dei primogeniti degli egiziani
schiavisti, e per salvare quelli degli ebrei schiavi aveva imposto il
sacrificio di una miriade di agnellini maschi, il cui sangue aveva bagnato le
porte delle loro case proteggendole dall’Angelo Sterminatore.
La Pasqua di Sangue, una delle
feste all’atto pratico più macabre di tutta la storia religiosa dell’umanità,
un bagno di sangue e di morte in contrasto con la pretesa insita in quel nome
(in aramaico Pasha, Pasqua, significa
rinascita), era nata allora, con la fuga dall’Egitto degli Ebrei e del loro
gregge decimato.
Poi venne un Uomo che tentò, non
sempre con successo, di trasformare il Patto di Sangue tra Dio Padre e gli
uomini in un Patto basato soltanto sui sentimenti. Il Figlio dell’Uomo, che seguiva
i Profeti ma andava oltre, riprese il grido di Isaia e ne fece una delle basi della
nuova religione. Nel Nuovo Testamento, il Vangelo, non si sacrificano bestie
innocenti. Nell’Ultima Cena Cristo prese il pane e lo spezzò distribuendolo ai
discepoli, e allo stesso modo fece con il vino. Non c’era carne, e non perché
Gesù e i Dodici Apostoli fossero Vegani ante litteram, ma perché quella cena
era il simbolo di quella che avrebbe dovuto essere la nuova religione.
Dopo Cristo, non sarebbe corso
più sangue per ingraziarsi Iddio. L’ultimo sacrificio sarebbe stato proprio il
suo, quello del Figlio di Dio, l’ultimo agnello innocente ad essere sacrificato
sull’altare della crudeltà e della stupidità umana. Anche lui il giorno della
Pasqua ebraica, che divenne la Pasqua cristiana. Fate questo in memoria di me,
furono le ultime parole di Gesù, mentre porgeva ai commensali pezzi di pane e
calici di vino.
Inutile dire che, oltre a Cristo
e a moltitudini di uomini che nelle epoche seguenti hanno inteso seguirne realmente
e non solo formalmente l’esempio, i cosiddetti cristiani ufficiali hanno
seguitato a massacrare ed immolare a un Dio malinteso tutto ciò che
soddisfaceva una fame rimasta sostanzialmente pagana. La carne di agnello è
prelibata al gusto, e le mense pasquali (e non solo) non se ne sono mai
private. Dopo l’ipocrisia del digiuno del venerdi, la vigilia, che al pari del ramadan
islamico assomma in sé l’assurdità di un precetto stabilito migliaia di anni fa
alla mancanza di senso critico e di reale spiritualità dell’uomo contemporaneo,
arriva finalmente la carneficina pasquale. Con buona pace dell’Ultima Cena e
dell’unico vero comandamento lasciatoci da Cristo.
500.000 agnelli sono un
genocidio. E dispiace che a battersi contro questo orrore, questa strage di
cuccioli innocenti siano quasi soltanto esponenti di movimenti altrettanto
estremisti come i Vegani. Che comunque qualche risultato l’hanno ottenuto se è
vero ciò che dicono i recenti sondaggi. Nel 2014 il consumo di agnellini è
calato del 40%, quest’anno, a quanto pare dalle dichiarazioni di intenti, si
potrebbe scendere quasi al 60%.
Non secondario pare l’effetto
delle parole di Papa Francesco, che appena insediatosi su Sacro Soglio due anni
fa esortò i fedeli cristiani (soprattutto, va detto, italiani) a rispettare
davvero tutti gli esseri viventi, a cominciare dai più piccoli e dai più
deboli. “A Pasqua sostituiscano la carne d’agnello e capretto con menù
alternativi”. Non a caso San Francesco è il protettore degli animali, e non a
caso Jorge Bergoglio ha scelto di portarne il nome.
Se le parole del Papa non bastano,
oltre all’invocazione del Profeta Isaia, suggeriamo un po’ a tutti di riandare
a quella parte di quel celebre film in cui l’agente dell’F.B.I. Clarice
Starling racconta allo psicopatico ma comprensivo dottor Hannibal Lecter della
sua infanzia nella fattoria degli zii. E di quel silenzio agghiacciante che
calava la notte che precedeva il macello, quasi che le vittime lo sentissero
arrivare, come l’antico Angelo Sterminatore. Il silenzio degli innocenti.
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