Si parla troppo. E’ un vizio
maledetto che Firenze non riesce a togliersi. Si tratti di sport o di altre
questioni cittadine. Si parla troppo, a sproposito e si conclude poco o nulla.
Una volta questa era la città dove si realizzavano opere d’arte in serie, ad
ogni angolo di strada, in ogni bottega, come fosse la cosa più naturale del
mondo. Ora è la città dove si parla. Dove si sfotte tutto e tutti e non si
prende nulla veramente sul serio. Dove poi si piange e ci si sveglia scoprendo
che il mondo è andato avanti e qui siamo fermi ad una stazione ed uno stadio
del 1930, ad uno scudetto del 1969, a dei viali di circonvallazione del 1865.
Arriva la Juventus per l’ennesimo
capitolo di una sfida attraverso i decenni. Stavolta la sorte ed il gioco hanno
messo la Fiorentina in vantaggio, basta far trascorrere 90 minuti con
attenzione ed umiltà, gestendo quei doni della sorte e del gioco. Basta tenere
la testa concentrata e lasciar crescere dentro di sé la voglia di rivincita che
cova da tanto, da più di 30 anni, fino al momento di farla esplodere a
risultato acquisito. Basta fissarsi sull’obbiettivo e tacere, risparmiando
energie preziose ed evitando di stuzzicare un avversario che non ha bisogno di
motivazioni particolari per venire qui a fare l’ennesima partita della vita.
Perché lo ha nel proprio DNA. Vincere, vincere ed ancora vincere, sempre e
comunque.
Ma no, noi no. NOI SIAMO FIRENZE.
E tanto basta. E pazienza se Firenze ormai è ridotta ad un cantiere assurdo ed
indegno e ad un pellegrinaggio di cialtroni multietnici che non ha bisogno
delle parole di una Oriana Fallaci per indignare. Quello che conta è il
Cupolone del Brunelleschi, il Campanile di Giotto ed il Ponte Vecchio, il
tramonto dal Piazzale Michelangelo, la cartolina ormai spiegazzata, sbiadita
che sbattiamo in faccia a tutti, infastidendo tutti. Pazienza se quella Firenze
che continuiamo ad avere in testa ormai è come Katmandu, Shan-gri-là o altre
città mitologiche che ormai vivono sui libri d’avventura, e non più nella
realtà.
Nella realtà, Torino ci ha
superati da un secolo e passa, da quando si mise a fabbricare autovetture e
quant’altro, mentre qui ancora si continuava ad impagliare sedie o a levare i
tarli ai mobili d’epoca. Torino che aveva perso la Capitale a vantaggio di
Firenze la recuperò con gli interessi surclassando perfino Roma. E prese a
dominare nello sport più amato dagli italiani, il calcio, come dominava in
tutti i settori della nostra vita civile. Ma noi eravamo Firenze, e quando la
bravura dei nostri presidenti di calcio non bastò più ad assicurarci
occasionali rivincite ci accontentammo di sbattere in faccia le coreografie della
Curva Fiesole. Loro, i gobbi, se ne
ripartivano con i titoli, le qualificazioni, i punti importanti, le vittorie
che una volta si dovevano conquistare a carissimo prezzo e che ora ottenevano
quasi passeggiando. Ma noi eravamo e siamo Firenze.
Torino ce ne appioppava cinque in
una sola serata, ma noi eravamo Firenze. La città dove ci vuole quarant’anni
per costruire un tribunale che sembra il delirio di uno psicopatico all’ultimo grado
di follia, nemmeno a Blade Runner
avevano progettato la sede della malvagia corporazione dei replicanti a quel
modo. La città dove ci sono voluti trent’anni per discutere fino allo
sfinimento e poi non fare nulla di circonvallazione – tangenziale, piano del
traffico e viabilità, decentramento degli uffici pubblici, risistemazione e
razionalizzazione dei musei e dei luoghi artistici. Facciamo la tramvia quando
perfino in Giappone arrivano a capire che è superata e pericolosa. Parliamo di
nuovo stadio quando ormai riempire il Franchi è un evento da segnare sul
calendario. Di centro sportivo, Cittadella, merchandising, marketing, sinergie,
e fregnacce varie. Tutto per non parlare dei problemi reali. Per vincere, c’è chi
spende meglio e chi spende peggio.
La Juventus progetta il nuovo
stadio e tre anni dopo l’ha finito, e se ne gode i proventi. La Fiorentina
litiga da sei anni con il Comune, o finge di farlo. E tutti a bocca aperta a
parlare di bilanci, di plusvalenze, di bacini d’utenza. Perfino Longinotti e
Ugolini vinsero dei titoli, i Della Valle zero. Ma va bene così, noi siamo
Firenze, e Firenze non può tornare a Gubbio o a Gualdo Tadino. Fine che –
dicono - sarebbe stata certa se non ci fossero stati questi imprenditori venuti
dalle Marche, non da Sesto o da Campi, dalle Marche. Befani e Baglini chissà da
dove venivano.
Noi siamo Firenze, la città che
odia la Juve. E che non si preoccupa mai di organizzarsi per superarla sul
campo, no. E’ sufficiente riempirsi la bocca di parole, di tappezzare tutti i
social network per giorni di inutili sfottò. E poi di incazzarsi se undici
giovanotti in bianconero, giustamente orgogliosi della soddisfazione che si
sono tolti venendo a segnare altri tre gol qui al Franchi in scioltezza, ce li
ritorcono contro.
Vestitevi bene che stasera uscite, scriveva qualcuno a Firenze su Facebook
nei giorni scorsi. Marchisio è tutto il giorno oggi che si fa fotografare con
la mano atteggiata al segno tre.
Morata esce dal campo sfottendo una intera curva. Hanno ingollato la sconfitta
dell’andata e preparato la rivincita, in silenzio. I nostri si sono beati delle
spacconate e delle fanfaronate di una tifoseria che ancora non ha capito la
differenza tra una squadra che vince ed una che si ferma sempre al benedetto
salto di qualità. E sono scesi in campo credendo di andare ad una passeggiata,
invece che ad un massacro. Ma noi siamo Firenze.
Ci sono volpi che entrano in un
pollaio e fanno una strage, e l’anno dopo ci ritornano per sbranare quello che
si è salvato l’anno prima. Ce ne sono altre che si fermano a guardare l’uva che
poi si rivela troppo alta, ed alla fine sono costrette ad allontanarsi fingendo
disinteresse: “è marcia”. Non è
marcia, in realtà, ma non lo possono sapere, perché non si sono nemmeno
avvicinate abbastanza.
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