2 aprile 1972. Per
ritrovare l’ultima vittoria del Cagliari a Firenze bisogna andare indietro di
tanto. E pare quasi una bestemmia citare quel precedente. Da una parte c’era la
Fiorentina che dopo il secondo scudetto cercava di rifondarsi avviando una
nuova linea verde, sotto la guida del barone Nils Liedholm. Dall’altra c’era il
Cagliari che manteneva accesi gli ultimi fuochi della squadra che aveva vinto
il suo primo e unico scudetto. 1969 e 1970, un’altra vita ed un altro calcio.
Ed altri campioni. Segnò Gigi Riva al 29’ del primo tempo. Per i più giovani,
andare sugli almanacchi a vedere chi era Rombo di tuono. E perché paragonare
lui e gli altri 21 di allora a questi di oggi pare una bestemmia.
Nel leggere di questo precedente,
il vostro cronista aveva avuto comunque un brivido. Stai a vedere che quest’anno
la Fiorentina non nega niente a nessuno, soprattutto in zona retrocessione.
Lunedi scorso era toccato al Verona ritirare il bonus salvezza, e si era data
la colpa al turnover di Montella ed alle troppe “riserve” da lui messe in
campo. Oggi in campo ci sono andati personaggi che se non possono essere
definiti titolari loro, al termine di una stagione - e in qualche caso di una
carriera – per certi versi esaltante, non sappiamo chi può esserlo.
Il Cagliari era quasi spacciato,
e con pieno merito. A sette giornate dalla fine i punti che lo separavano dal
quartultimo posto erano nove. Mancava la certificazione di morte, sportivamente
parlando. Ma il Cagliari veniva a Firenze, a far visita ad una squadra che
probabilmente ormai in campionato ha mollato, e che comunque soprattutto in
casa propria ha fatto fin dall’inizio una gran fatica ad imporre il proprio
gioco ed a ritirare a fine partita i tre punti. La Fiorentina spagnola che va
avanti in Europa in Italia batte in testa, e si espone al contropiede di
pedatori spesso a malapena onesti, ancorché volenterosi.
Se tu metti in campo comunque Neto,
Tomovic, Savic, Basanta, Pasqual, Badelj, Pizarro, Borja Valero, Salah,
Gilardino, Diamanti, puoi essere accusato di essere un inguaribile ottimista,
non certo di essere un incapace. Abbiamo criticato Montella tante volte, ci
toccherà morire montelliani. Questi sono i giocatori, questo è il meglio che c’è
a libro paga dei Della Valle. Questa gente è arrivata alle semifinali di Coppa
Italia ed Europa League. Questi dovrebbero essere in grado di regolare una
squadra con un piede e mezzo già in serie B, che ha appena esonerato un
allenatore – Zdenek Zeman – che predicava un calcio troppo raffinato per i
piedi da ortopedico dei suoi giocatori, una squadra che all’andata la
Fiorentina ha bastonato severamente a casa propria (e non è successo spesso da
quando esiste la serie A a girone unico, a Cagliari abbiamo pianto di frequente
piuttosto che ridere).
Se si dà risalto alle piccole
cose, ai dettagli, ai segnali, Vincenzo Montella si presenta in panchina con
tanto di felpa, in luogo della consueta elegante divisa. Segno di scarsa
importanza data a questa trentaduesima giornata di un campionato ormai agli
sgoccioli, e che offre poco a questa società ed a questa squadra in termini di
obiettivi? Mah, se si dà risalto a queste cose si perde spesso la strada di
casa. Meglio concentrarsi su moduli, schemi e tattiche, sul valore (anche di
mercato) degli uomini messi in campo. Badando al sodo, oggi non dovrebbe
esserci partita. E infatti.
Al fischio di inizio dell’arbitro
Guida prende subito male. Il Cagliari è una squadra di tarantolati, quanto e
più di quella della scorsa stagione. Corrono come dannati e picchiano come
fabbri, con la condiscendenza iniziale di Guida. Sembra di vedere il match di
un anno fa, ci fecero a pezzi prima sul piano fisico e poi su quello del
risultato, negandoci una vittoria tutto sommato sacrosanta. Ma quest’anno c’è qualcosa
in più: giocano anche, e alla prima occasione segnano.
Farias è difficilmente
contenibile per il Tomovic di oggi. Va fino in fondo mettendo a sedere il
terzino viola (voto 4, che si abbassa ulteriormente se si considerano le sue
proiezioni offensive ed i suoi orrendi cross) e mette a centro area per l’accorrente
Cop. Il croato è un fulmine che attraversa una difesa una volta di più
costituita da statue di sale. Il pallone saetta in rete, e il piano della
partita si inclina verso la salita per una Fiorentina che oggi visibilmente
sarebbe rimasta volentieri a casa.
Invece c’è da correre, eccome, perché
oggi il Franchi non aspetta la fine per mettersi a fischiare. Comincia subito,
dimostrando di non gradire le eventuali giustificazioni di tecnico e giocatori.
Il tecnico giustappunto è una maschera livida di rabbia repressa, si vede che vorrebbe
esplodere tutta la sua insoddisfazione verso giocatori che ripetono senza
metterci nemmeno l’anima schemi consueti e ormai obsoleti: tiki taka di qua,
tiki taka di là, triangoli e passaggi laterali che perfino la squadra Primavera
ormai sarebbe in grado di leggere in anticipo.
In mezzo, Borja, Badelj e
Diamanti giocano a calcetto. Il Cagliari tira invece calcioni. Quando eccede,
Guida è costretto a sanzionarlo con cartellini gialli, ma tutto sommato quest’oggi
basta poco anche a termini di regolamento per ridicolizzare questa Fiorentina.
Gilardino è stretto nella morsa della difesa rossoblu, e ciononostante riesce a
ripetere la prodezza già fatta contro il Verona, un colpo di testa che
meriterebbe miglior sorte. Anche Borja Valero ripete il colpo di testa eseguito
contro gli scaligeri. L’esito è lo stesso, inguardabile.
Diamanti si perde nella sua lotta
contro se stesso e contro l’arbitro. Poco distante, si consuma la parabola
viola di Mohamed Salah, perso sulle orme di Juan Guillermo Cuadrado. L’egiziano,
come già il colombiano, deve disperdere le proprie energie alla ricerca di un
pallone che non gli arriva mai dai centrocampisti e di spazi che i difensori
avversari hanno imparato a non concedergli. Quando si affaccia in area o è già
stanco o già raddoppiato.
In difesa, Tomovic e Pasqual
soffrono le ripartenze cagliaritane e finiscono per ciabattare anche nelle
proiezioni offensive. Tutto ricade sulle spalle di Savic e Basanta, che non
paiono oggi nel loro momento migliore. Alla fine del primo tempo, il vantaggio
del Cagliari appare meritato, ed è tutto dire.
Si riparte con Vargas al posto di
Diamanti, il che pare un atto dovuto, visto l’apporto inconsistente del pratese.
Il peruviano ha ben altra spinta, ben altra presenza in campo, ma i suoi
traversoni si perdono nella tonnara della difesa cagliaritana, in cui affoga
Gilardino. La Fiorentina guadagna centimetri a poco a poco, ma sono centimetri
inutili, i suoi schemi d’attacco si perdono regolarmente sulla tre quarti dei
sardi, dove emergono le consuete carenze di idee per il salto dell’uomo e di
soluzioni offensive.
Il Cagliari passa la metà campo
una sola volta nella ripresa, al quarto d’ora, ed è il raddoppio sempre ad
opera di Cop. Dagli spalti, prendendo spunto dalla pronuncia croata del nome
dell’attaccante e dalla situazione ridicola proposta dal match, scende
implacabile il commento: “adesso ci manca il gol di Cip!”.
Arriva anche quello. Per mezz’ora
la Fiorentina schiaccia il Cagliari nella sua metà campo, e ne ricava una figura
non certo migliore di quella di Paperino alle prese con i celeberrimi
scoiattoli. Alla mezz’ora Vargas indovina il cross giusto per Gilardino, che
ritrova il vecchio spunto da rapinatore e riapre i giochi. Ma è un fuoco di
paglia che neppure i subentrati Joaquin (per l’ineffabile Borja Valero) e Mario
Gomez (per l’imbarazzante Pasqual) riescono a ravvivare.
Al terzo minuto supplementare è
lo scoiattolo Farias ad involarsi sulla fascia sinistra, a farsi tutto il campo
e a bersi un Tomovic ormai in stato confusionale, a presentarsi davanti ad un Neto
a cui le gambe di Savic ostruiscono la visuale e ad uccellarlo impietosamente.
I quattro gatti che assiepavano gli spalti del Franchi se ne sono a quel punto
già andati. In campo resta solo il Cagliari, sempre con un piede e mezzo in B
ma con l’aura di chi ha fatto su questo prato una partita che nemmeno il Bayern
di Monaco.
E’ un campionato che ricalca
quelli di Bruno Giorgi buonanima e di Cesare Prandelli ultimo atto. Annate in
cui guarda caso si puntò tutto sulla coppa europea. Certo è che se ci si
presenta davanti a Juventus e Siviglia con questo spirito ci vuole il
pallottoliere. Tornano in mente le parole di Eduardo Macia nell’ultima
intervista con cui ha salutato Firenze: il bicchiere in questi anni è interamente
pieno, semmai adesso serve un bicchiere più grande. Chi ha da capire capisca.
Altrimenti tra poco siamo punto e a capo.
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