12 aprile 2015, la Fiorentina crolla
di schianto al San Paolo di Napoli tre giorni dopo aver offerto la stessa
cortesia alla Juventus in casa, festeggiando nel peggiore dei modi una
ricorrenza particolare. E’ la gara n. 600 della famiglia Della Valle come
proprietaria della A.C.F. Fiorentina. Una ricorrenza di quelle importanti, che
spingono a guardare indietro oltre che avanti, a redigere bilanci e – per usare
concetti e termini cari agli stessi imprenditori marchigiani – a formulare o
riformulare progetti.
La prima gara era stata il 21
agosto 2002 allo Stadio Franchi, allorché una Fiorentina messa insieme in
neanche 20 giorni, senza più maglia viola né giglio sul petto e nemmeno il nome
stesso Fiorentina, affrontò il Pisa in una gara che servì esclusivamente
a mostrare alla gente di Firenze che aveva ancora una squadra di calcio. La
gara si concluse sull’1-0 per gli ospiti, ma lo stralunato pubblico che vi
assisté, lungi dal considerare quella sconfitta come un risultato negativo,
poté festeggiare lo scampato pericolo e stringersi attorno ai suoi ragazzi, che
sotto il nome di Florentia Viola erano di lì a poco attesi da
un compito difficilissimo: riportare la squadra di Firenze dalla C2 alla serie
A nel più breve tempo possibile.
Lo scampato pericolo era quello
della morte del calcio a Firenze. La sera del 31 luglio era scaduto il termine
dato dalla COVISOC a Vittorio Cecchi Gori per presentare dei bilanci in ordine
e iscriversi al campionato di serie B, nel quale la Fiorentina era retrocessa
alla fine della sciagurata stagione precedente. Quella notte i fiorentini
andarono a dormire con la consapevolezza che la A.C. Fiorentina non esisteva
più, e che il risveglio li avrebbe costretti ad affacciarsi su un avvenire che
più nebuloso non si poteva. Il giorno dopo, invece, i fiorentini seppero che il
Comune si era ripreso il titolo sportivo come da regolamento e che il Sindaco
Leonardo Domenici insieme all’Assessore allo sport Eugenio Giani erano in
partenza per andare a raggiungere sulla sua barca ormeggiata a Cannes un
misterioso imprenditore marchigiano, Diego Della Valle, fino a quel momento conosciuto
soltanto da quei pochi che potevano permettersi un paio di Tod’s ai
piedi, il prodotto di punta delle aziende di famiglia.
Domenici, presidente pro-tempore
(in quanto Sindaco di Firenze) della nuova società sportiva Fiorentina
1926 Florentia, aveva 48 ore di tempo per trovare un successore dotato
delle risorse economiche necessarie a far rinascere la squadra di calcio della
sua città. I candidati erano due, da una parte c’era Enrico Preziosi,
industriale del giocattolo che si diceva legato al centrodestra (leggasi
Berlusconi) e che da tempo aveva messo gli occhi sulla morente Fiorentina di
Cecchi Gori, dall’altra c’era questo outsider che si sapeva
legato al centrosinistra (leggasi Mastella, e indirettamente D’Alema). Ambedue
in cerca di visibilità, del salto di qualità nel Gotha degli
imprenditori, il secondo si faceva indubbiamente preferire dagli amministratori
fiorentini per la connotazione politica. Sulla barca alla fonda nel porto di
Cannes Diego Della Valle disse sì, e l’avventura della Florentia Viola
cominciò, ufficialmente il 3 agosto 2002. Diciotto giorni dopo, una squadra
completamente inventata più che rinnovata scese in campo a difendere i colori
che non potevano in quel momento essere viola (c’era il rischio di ereditare in
sede giurisdizionale tutte le passività di Cecchi Gori) ma che comunque erano
quelli di Firenze.
La storia degli 13 anni e delle 600
partite successive è stata altrettanto affascinante, sorprendente e a tratti
anche drammatica. A tutt’oggi, va detto, il bilancio della proprietà di Diego e
Andrea Della Valle (la seconda più lunga della storia dopo quella del
fondatore, il marchese Ridolfi) è – per dirla alla Mourinho – di zero
tituli, insieme alla seconda peggior media piazzamento in campionato della
storia viola.
Finita l’epopea della risalita in
Serie A, conclusasi dopo soli due anni con la scorciatoia della C1 evitata per
la riammissione del Catania di Gaucci in B e con il drammatico spareggio con il
Perugia, vennero gli anni dei "cattivi pensieri" di Dino Zoff, che
riuscì ad evitare un immediato ritorno in B per il rotto della cuffia, e di
Calciopoli, allorché la cavalcata della bella Fiorentina del primo anno di
Prandelli e della Scarpa d’Oro Luca Toni fu vanificata dalla penalizzazione
inflitta dalla giustizia sportiva per le telefonate fatte l’anno precedente da
esponenti della società ad Innocenzo Mazzini, allora vicepresidente della FIGC,
quando sembrava che il Palazzo avrebbe rispedito la Fiorentina (nel frattempo
tornata a chiamarsi con il suo nome per il riacquisto del titolo sportivo e dei
trofei da parte di Diego Della Valle) nell’inferno della serie cadetta.
Vennero poi gli anni della
rimonta da – 15 punti e delle quattro Gembions – per dirla con il
vulcanico direttore sportivo di allora Pantaleo Corvino – che equivalevano a
quattro scudetti conquistati da una società esclusa da una sostanziale
redistribuzione dei diritti tv. Cesare Prandelli fece volare in campionato e in
Coppa una Fiorentina a cui il Palazzo in effetti non regalava mai nulla, e che
tuttavia in un paio di occasioni riuscì ad andare davvero in Champion’s League,
dopo aver sfiorato e visto svanire dal dischetto dei rigori contro i Glasgow
Rangers la finale di Europa League. Sembrava che, dopo un avvio lungo e
faticoso e dopo aver smussato volente o nolente certe sue spigolosità
caratteriali che lo avevano portato in rotta di collisione con tutta la Lega
Calcio, Diego Della Valle fosse in procinto di mantenere la sua promessa di
portare lo scudetto a Firenze entro il 2011. E proprio quando invece sembrava
che il giocattolo fosse a un passo dall’essere messo a punto, improvvisamente
si ruppe.
Nell’anno in cui la Fiorentina
espugnò Liverpool e costrinse il Bayern Monaco a ricorrere alle “sviste
chilometriche” dell’arbitro Ovrebo per salvare le penne contro Gilardino &
C., i fratelli Della Valle parvero improvvisamente perdere il senno, oltre alle
motivazioni che li avevano spinti fino a quel momento al timone della barca
viola. Dapprima Andrea si dimise da Presidente, lamentando da parte della
appena rinnovata amministrazione comunale (leggasi Matteo Renzi) il non
rispetto degli impegni presi con la precedente (leggasi Domenici e leggasi
anche Cittadella di 80 ettari a Castello).
Il campionato non era nemmeno
cominciato che la Fiorentina si ritrovò senza Presidente e con un patron,
Diego, che litigava di brutto con il Comune e che ad un certo punto decise
anche di non sopportare più nemmeno Prandelli. Lo scontro pubblico con il
Mister si trasformò in un braccio di ferro per la popolarità tra i fiorentini,
e Diego scoprì in quella circostanza che malgrado tutto, riconoscenza e
contentezza di avere (come disse qualcuno) il babbo ricco, lui non
era al primo posto di quella graduatoria. Prandelli dovette (si fa per dire)
optare per la Nazionale a fine stagione, prendendo il posto di Marcello Lippi
dopo il disastro sudafricano, ma il feeling che c’era stato fino a
quel momento tra i fratelli di Casette d’Ete e i fiorentini parve seriamente
incrinato.
Seguirono gli anni del vivacchiare,
in cui la società ed i suoi programmi apparvero decisamente ridimensionati. Il
mancato investimento a Castello sembrava aver tolto ad Andrea e Diego Della
Valle ogni stimolo a continuare l’avventura viola. Nel frattempo, il successore
di Prandelli, l’inesperto Sinisa Mihajlovic, dimostrava di non avere più in pugno
la squadra e di non saperle dare un gioco convincente, mentre molti dei suoi
componenti cominciavano a guardare altrove per una sistemazione. Mentre Diego
si defilava sempre di più fino a rimanere quasi un’entità astratta, un nume
tutelare non si sapeva più quanto benevolo, Andrea rimaneva nei pressi della
squadra pur apparendo sempre più sconcertato e privo di idee per rilanciare una
baracca che faceva sempre più acqua.
Mentre cominciavano a prendere
piede le voci di potenziali acquirenti (la Red Bull, laWind),
la truppa di Mihajlovic affondava attraverso prestazioni sempre più grigie e
meno redditizie in termini di classifica. La telenovela Montolivo, mal gestita
sia dalla società che dallo stesso interessato e dai suoi procuratori, e
l’avvento in panchina del sergente di ferro Delio Rossi furono la goccia che
fece traboccare il vaso. La notte in cui la Juventus venne a passeggiare allo
Stadio Franchi segnando 5 gol ad una squadra di ectoplasmi ed infliggendo
altrettante pugnalate all’orgoglio di Firenze, parve che la storia decennale
della Famiglia Della Valle in viola fosse arrivata a compimento. Malamente,
così come del resto erano finite le storie dei Pontello e dei Cecchi Gori.
Salvi per miracolo, nonostante
gli schiaffi di Delio Rossi ad Adem Llajic e una serie di partite da
dimenticare soltanto, al raduno di Moena il nuovo allenatore Vincenzo Montella
pareva deputato a gestire una squadra di fantasmi dall’avvenire (una volta di
più) estremamente buio. E invece, il giocattolo che era stato rotto alla fine
dell’agosto 2009 fu riaccomodato come per miracolo al principio dell’agosto
2012. Bastò che il Comune pronunciasse la parola magica “Mercafir”
perché gli uomini di un rimotivato Andrea Della Valle, il nuovo Diesse Daniele
Pradè arrivato al posto di Corvino caduto in disgrazia ed iltalent scout spagnolo
Eduardo Macia fossero sguinzagliati per l’Europa a mettere insieme in pochi
giorni - come era già successo 10 anni prima con Galli e Salica – una squadra
che sarebbe stata capace di far tornare il sorriso sulle labbra ai tifosi ed il
bel gioco ed i risultati a Firenze.
Cominciò un nuovo progetto, tuttora
teoricamente in via di sviluppo. In tre anni i Montella Boys hanno sfiorato
spesso le zone altissime della classifica, il paradiso sia in ambito nazionale
che internazionale. In una parola, hanno visto almeno in lontananza quel primo
titolo che ancora manca ad una bacheca ferma al 13 giugno 2001, quando Manuel
Rui Costa – l’ultimo capitano di Valeria e Vittorio Cecchi Gori – alzò al cielo
l’ultima Coppa Italia.
A detta di Andrea Della Valle
Firenze merita quello che ha avuto in questi anni ed anche molto di più. Rispetto
ad un tempo il fratello maggiore Diego al Franchi ci viene molto meno, ma quello
che conta è che la famiglia appare di nuovo determinata a riprendere insieme
alla Fiorentina quella scalata al successo cominciata 13 anni fa. Quando
sembrava che in riva all’Arno, calcisticamente parlando, stesse per crollare
irreparabilmente il mondo. E pochissimi sapevano chi fossero i proprietari del
marchio Tod’s.
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