FIRENZE – Breve sondaggio tra
amici al termine di Dinamo Kiev – Fiorentina. Tema del giorno: ma che si può
patire così? Risposta praticamente unanime, quasi un coro: è il nostro kharma,
si può e si deve. Questa è la Fiorentina.
Ci sono partite che è quasi impossibile
commentare con obbiettività. Partite come quella di ieri sera, in cui la
suddetta Fiorentina gioca bene, decisamente meglio che nelle due precedenti
esibizioni e tuttavia rischia di concludere allo stesso modo, con in mano lo
stesso pugno di mosche. Fino al 92’
i dati statistici cozzano clamorosamente con la buona impressione fornita dai
ragazzi di Montella. Gran possesso palla anche laggiù nella lontana Ucraina,
occasioni quasi tutte da parte viola, alcune anche clamorose. Predominio anche
sui calci d’angolo (magari qualcuno imparasse anche a batterli). Gol degli
avversari, fortunoso quanto si vuole, ma pur sempre gol. E con questo fanno
sette, incassati tutti dopo Pasqua, contro zero dei viola.
Ci sono dei luoghi come questa antica
capitale della martoriata Ucraina che sono associati ad una memoria storica
positiva per la Fiorentina, che qui ha scritto alcune delle sue pagine più
importanti in campo internazionale. Per i viola, Kiev sta alle Coppe come
Verona sta al campionato italiano, più o meno. Era il 1969 allorché i campioni
d’Italia di Baglini e Pesaola furono guidati ad una storica vittoria da
Chiarugi e Maraschi sui campioni dell’Unione Sovietica, a quell’epoca
avversaria tradizionalmente ostica per il nostro calcio, come i mondiali d’Inghilterra
avevano di recente dimostrato. La corsa dei viola si arrestò poi ai quarti di
finale della Coppa dei Campioni (si chiamava così) contro i Glasgow Celtics, ma
fu comunque un grande torneo, impreziosito proprio dalla vittoria nella
trasferta ucraina.
Vent’anni dopo, era il 1989.
Altri tempi, altra Fiorentina. Paradossale, perché in campionato si dibatteva
nelle zone bassissime della classifica (si salvò all’ultima giornata) mentre in
Coppa UEFA (si chiamava così) volava. Erano gli ultimi fuochi (ma ancora
nessuno lo sapeva) di Roberto Baggio in viola. Erano anche gli ultimissimi
fuochi (e ancora il mondo stentava a crederlo, avendolo appena appreso)
dell’Unione Sovietica. Il Muro di Berlino era caduto da appena un mese.
Qualcuno aveva cominciato timidamente a tirare giù dai frontoni degli edifici e
dalle piazze le statue di Lenin e le Stelle Rosse, ma ancora la vecchia URSS
incuteva timore grazie anche a determinati simboli a metà tra storia e
leggenda.
Uno di questi simboli era proprio
la Dinamo Kiev, che sotto la guida del colonnello Valerji Lobanowski era
diventata uno squadrone formidabile, zeppa di campioni e perfettamente
orchestrata come compagine, sia come club sia come ossatura della nazionale che
aveva incantato ai mondiali messicani dell’86 e poi agli europei tedeschi
dell’88, dove si era arresa solo all’Olanda di Gullit, Van Basten e Rijkard. Contro
questo Moloch l’apparentemente fragile, volatile Fiorentina che si aggrappava a
Roberto Baggio come dieci anni prima si era aggrappata a Giancarlo Antognoni
riuscì a strappare una qualificazione insperata, malgrado a Kiev si giocasse
sulla neve, più che sull’erba. Sopravvissuta al terribile inverno russo, quella
Fiorentina si sarebbe fermata solo in finale davanti ad un altro Moloch, quello
bianconero. Ma questa è – com’è noto – un’altra storia.
Tornata a Kiev dopo altri
ventisei anni, una Fiorentina completamente diversa si è ritrovata ieri sera a
giocare in uno stadio avveniristico pieno zeppo di patrioti ucraini, per una
volta predisposti a confrontarsi su un campo di calcio piuttosto che al vicino
fronte, contro un avversario – fatte le debite proporzioni – altrettanto
preoccupante dell’esercito russo con cui combattono alle porte di casa.
All’avveniristico Olympiyskiy di Kiev (ma possibile che soltanto in Italia sia
così complicato costruire stadi moderni?) si è presentata infatti una squadra
viola preceduta dalla sua fama di bel gioco, malgrado gli ultimi risultati che
non ne attestano un buon momento di forma. Vincenzo Montella ha messo in campo
quasi tutti i migliori, al posto più o meno giusto. Segno che a questo punto
della stagione la Fiorentina vuole con determinazione l’obbiettivo superstite
dell’Europa League, e ci crede fermamente. Dall’altra parte, l’allenatore
ucraino Rebrov, ex gloria locale dei tempi di Andry Schevchenko, non crede al
momento di appannamento della Fiorentina e schiera in campo i suoi come un
plotone di soldati.
Il plotone viola è disposto con
una linea difensiva da quattro, due centrali Gonzalo e Savic e due terzini Tomovic
ed Alonso, una linea mediana da tre, Borja, Badelj e Mati Fernandez, una linea
d’attacco da tre, Joaquin, Salah e Mario Gomez. Apparentemente scelte
obbligate, anche se ci sono dei sacrifici consistenti e forse non proprio inevitabili.
Il Borja Valero attuale conferma anche in questa serata di Coppa di essere
parente alla lontana di quello che aveva esaltato Firenze al suo primo anno in
viola. Tenere in panchina Aquilani, che infatti nei minuti finali contribuisce
a dare alla squadra ben altro passo sulla tre quarti d’attacco, a questo punto
può configurarsi come un mezzo delitto, a meno che non lo impongano altre
considerazioni societarie. Non certo tecniche, per quanto si è visto.
Anche tenere in panchina Babacar
a vantaggio dell’attuale Mario Gomez a questo punto rischia di essere nocivo.
E’ vero che chi segna ha sempre ragione, ma a prescindere dallo splendido gol
segnato dalla pantera viola agli sgoccioli della zona Cesarini la sua
prestazione - nei pochi minuti che dura - offre ben altra consistenza rispetto
a quella del tedesco. Il Baba visto ieri sera, a quanto sembra opportunamente
rimotivato, è comunque una spina nel fianco per le difese avversarie. Il Mario
invece è tutt’altro che Super, sempre in ritardo sui palloni che la squadra gli
offre, sempre in affanno in contropiede e decisivo semmai solo a dare una mano
alla difesa in ripiegamento.
Il centravanti tedesco
probabilmente ha bisogno di essere supportato in altro modo. Nel Bayern Monaco
i palloni proposti in quantità e profondità da una squadra che giocava (a che
livello, poi) alla tedesca e non alla spagnola ne avevano fatto il re della
Bundesliga. A Firenze invece, una squadra che gioca per linee laterali tentando
le accelerazioni (si fa per dire) rese celebri dal Barcellona proprio non gli
si confà. Comunque sia, visti entrambi ieri sera all’opera, sarà difficile
rimettere in panca il senegalese e ridare chances al tedesco.
Altra curiosità, Joaquin Sanchez
Rodriguez. Lo spagnolo è di quei giocatori che giocano bene dovunque li metti.
Sulla fascia destra è devastante, quando sta bene. Negli ultimi tempi di
convivenza aveva costretto allo spostamento a sinistra perfino Juan Guillermo
Cuadrado, un altro destrorso di qualità. Adesso a quanto pare è Salah ad aver
costretto lui ad emigrare a sinistra. Misteri del calcio, non che Joaquin ultimamente
si sia messo a far pena, ma a ben vedere è come se nei suoi spunti venisse a
mancare una frazione di secondo, un’impercettibile nonsoché che gli rende più
difficile andar via.
Sarà che lo marcano ormai in due
o tre con licenza quasi di uccidere, ma anche lo stesso Salah fa più fatica di
prima. Poco male, si direbbe, vuol dire che uno o due compagni sono liberi da
marcature. Peccato che non gli stia dietro nessuno, quando l’egiziano bene o
male riesce a saltare l’uomo e a involarsi verso la porta di Shovkovskiy, né i
compassati compagni di centrocampo né il compagno di reparto tedesco
costantemente in debito d’ossigeno. Chissà poi che anche il buon Mohamed non
cominci ad avere anch’egli un minimo di appannamento. L’errore in occasione della
splendida occasione del primo tempo non è da lui. Se così fosse, c’è da
capirlo, ha corso più lui da quando è qui che molti dei suoi compagni in tre
anni.
Al netto di tutto ciò, la Fiorentina
a Kiev gioca bene, a tratti davvero bene, nel quarto d’ora finale schiaccia i
padroni di casa nella loro metà campo alla ricerca di un pareggio strameritato
che comunque serve più che altro ad evitare la beffa e a darle perlomeno il
vantaggio del gol segnato in trasferta. Gioca bene e fino al 92’ fa sacramentare i suoi
tifosi, perché non è possibile soffrire così per arrivare a segnare un gol.
Quando questo gol finalmente
arriva, per la splendida rovesciata in area di Khouma El Babacar, perfino
Montella perde la sua impassibilità anglo-partenopea e stringe il pugno. Un
punto è poco, per quanto si è visto, ma sempre meglio che tornare a Firenze con
la terza sconfitta consecutiva ed il terzo obbiettivo stagionale fallito.
In altra parte del giornale
Patrizia Iannicelli vi racconta la cronaca di questa partita dominata dalla
Fiorentina. Qui chiudiamo con un’ultima annotazione. E’ tempo che il governo
del calcio si dia una regolata, in tutti i sensi. Dopo la non convalida
clamorosa del gol di Higuain domenica scorsa (a quando la moviola?), stavolta
va in scena lo spettacolo di arte varia di un arbitro polacco mandato ad
arbitrare in Ucraina. Sarebbe come se al ritorno a Firenze mandassero un
arbitro di Scandicci. Il signor Szymon ne combina di cotte e di crude. Ci
limitiamo ai due rigori nettissimi non dati.
Anche questa è Europa League. E
questa è la Fiorentina. C’è da patire, signore e signori. Ma siamo ancora vivi.
Appuntamento al Franchi tra una settimana. E come dice il mister Rebrov,
“domani è un altro giorno”.
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