venerdì 17 aprile 2015

Che fatica, Fiorentina!



FIRENZE – Breve sondaggio tra amici al termine di Dinamo Kiev – Fiorentina. Tema del giorno: ma che si può patire così? Risposta praticamente unanime, quasi un coro: è il nostro kharma, si può e si deve. Questa è la Fiorentina.
Ci sono partite che è quasi impossibile commentare con obbiettività. Partite come quella di ieri sera, in cui la suddetta Fiorentina gioca bene, decisamente meglio che nelle due precedenti esibizioni e tuttavia rischia di concludere allo stesso modo, con in mano lo stesso pugno di mosche. Fino al 92’ i dati statistici cozzano clamorosamente con la buona impressione fornita dai ragazzi di Montella. Gran possesso palla anche laggiù nella lontana Ucraina, occasioni quasi tutte da parte viola, alcune anche clamorose. Predominio anche sui calci d’angolo (magari qualcuno imparasse anche a batterli). Gol degli avversari, fortunoso quanto si vuole, ma pur sempre gol. E con questo fanno sette, incassati tutti dopo Pasqua, contro zero dei viola.
Ci sono dei luoghi come questa antica capitale della martoriata Ucraina che sono associati ad una memoria storica positiva per la Fiorentina, che qui ha scritto alcune delle sue pagine più importanti in campo internazionale. Per i viola, Kiev sta alle Coppe come Verona sta al campionato italiano, più o meno. Era il 1969 allorché i campioni d’Italia di Baglini e Pesaola furono guidati ad una storica vittoria da Chiarugi e Maraschi sui campioni dell’Unione Sovietica, a quell’epoca avversaria tradizionalmente ostica per il nostro calcio, come i mondiali d’Inghilterra avevano di recente dimostrato. La corsa dei viola si arrestò poi ai quarti di finale della Coppa dei Campioni (si chiamava così) contro i Glasgow Celtics, ma fu comunque un grande torneo, impreziosito proprio dalla vittoria nella trasferta ucraina.
Vent’anni dopo, era il 1989. Altri tempi, altra Fiorentina. Paradossale, perché in campionato si dibatteva nelle zone bassissime della classifica (si salvò all’ultima giornata) mentre in Coppa UEFA (si chiamava così) volava. Erano gli ultimi fuochi (ma ancora nessuno lo sapeva) di Roberto Baggio in viola. Erano anche gli ultimissimi fuochi (e ancora il mondo stentava a crederlo, avendolo appena appreso) dell’Unione Sovietica. Il Muro di Berlino era caduto da appena un mese. Qualcuno aveva cominciato timidamente a tirare giù dai frontoni degli edifici e dalle piazze le statue di Lenin e le Stelle Rosse, ma ancora la vecchia URSS incuteva timore grazie anche a determinati simboli a metà tra storia e leggenda.
Uno di questi simboli era proprio la Dinamo Kiev, che sotto la guida del colonnello Valerji Lobanowski era diventata uno squadrone formidabile, zeppa di campioni e perfettamente orchestrata come compagine, sia come club sia come ossatura della nazionale che aveva incantato ai mondiali messicani dell’86 e poi agli europei tedeschi dell’88, dove si era arresa solo all’Olanda di Gullit, Van Basten e Rijkard. Contro questo Moloch l’apparentemente fragile, volatile Fiorentina che si aggrappava a Roberto Baggio come dieci anni prima si era aggrappata a Giancarlo Antognoni riuscì a strappare una qualificazione insperata, malgrado a Kiev si giocasse sulla neve, più che sull’erba. Sopravvissuta al terribile inverno russo, quella Fiorentina si sarebbe fermata solo in finale davanti ad un altro Moloch, quello bianconero. Ma questa è – com’è noto – un’altra storia.
Tornata a Kiev dopo altri ventisei anni, una Fiorentina completamente diversa si è ritrovata ieri sera a giocare in uno stadio avveniristico pieno zeppo di patrioti ucraini, per una volta predisposti a confrontarsi su un campo di calcio piuttosto che al vicino fronte, contro un avversario – fatte le debite proporzioni – altrettanto preoccupante dell’esercito russo con cui combattono alle porte di casa. All’avveniristico Olympiyskiy di Kiev (ma possibile che soltanto in Italia sia così complicato costruire stadi moderni?) si è presentata infatti una squadra viola preceduta dalla sua fama di bel gioco, malgrado gli ultimi risultati che non ne attestano un buon momento di forma. Vincenzo Montella ha messo in campo quasi tutti i migliori, al posto più o meno giusto. Segno che a questo punto della stagione la Fiorentina vuole con determinazione l’obbiettivo superstite dell’Europa League, e ci crede fermamente. Dall’altra parte, l’allenatore ucraino Rebrov, ex gloria locale dei tempi di Andry Schevchenko, non crede al momento di appannamento della Fiorentina e schiera in campo i suoi come un plotone di soldati.
Il plotone viola è disposto con una linea difensiva da quattro, due centrali Gonzalo e Savic e due terzini Tomovic ed Alonso, una linea mediana da tre, Borja, Badelj e Mati Fernandez, una linea d’attacco da tre, Joaquin, Salah e Mario Gomez. Apparentemente scelte obbligate, anche se ci sono dei sacrifici consistenti e forse non proprio inevitabili. Il Borja Valero attuale conferma anche in questa serata di Coppa di essere parente alla lontana di quello che aveva esaltato Firenze al suo primo anno in viola. Tenere in panchina Aquilani, che infatti nei minuti finali contribuisce a dare alla squadra ben altro passo sulla tre quarti d’attacco, a questo punto può configurarsi come un mezzo delitto, a meno che non lo impongano altre considerazioni societarie. Non certo tecniche, per quanto si è visto.
Anche tenere in panchina Babacar a vantaggio dell’attuale Mario Gomez a questo punto rischia di essere nocivo. E’ vero che chi segna ha sempre ragione, ma a prescindere dallo splendido gol segnato dalla pantera viola agli sgoccioli della zona Cesarini la sua prestazione - nei pochi minuti che dura - offre ben altra consistenza rispetto a quella del tedesco. Il Baba visto ieri sera, a quanto sembra opportunamente rimotivato, è comunque una spina nel fianco per le difese avversarie. Il Mario invece è tutt’altro che Super, sempre in ritardo sui palloni che la squadra gli offre, sempre in affanno in contropiede e decisivo semmai solo a dare una mano alla difesa in ripiegamento.
Il centravanti tedesco probabilmente ha bisogno di essere supportato in altro modo. Nel Bayern Monaco i palloni proposti in quantità e profondità da una squadra che giocava (a che livello, poi) alla tedesca e non alla spagnola ne avevano fatto il re della Bundesliga. A Firenze invece, una squadra che gioca per linee laterali tentando le accelerazioni (si fa per dire) rese celebri dal Barcellona proprio non gli si confà. Comunque sia, visti entrambi ieri sera all’opera, sarà difficile rimettere in panca il senegalese e ridare chances al tedesco.
Altra curiosità, Joaquin Sanchez Rodriguez. Lo spagnolo è di quei giocatori che giocano bene dovunque li metti. Sulla fascia destra è devastante, quando sta bene. Negli ultimi tempi di convivenza aveva costretto allo spostamento a sinistra perfino Juan Guillermo Cuadrado, un altro destrorso di qualità. Adesso a quanto pare è Salah ad aver costretto lui ad emigrare a sinistra. Misteri del calcio, non che Joaquin ultimamente si sia messo a far pena, ma a ben vedere è come se nei suoi spunti venisse a mancare una frazione di secondo, un’impercettibile nonsoché che gli rende più difficile andar via.
Sarà che lo marcano ormai in due o tre con licenza quasi di uccidere, ma anche lo stesso Salah fa più fatica di prima. Poco male, si direbbe, vuol dire che uno o due compagni sono liberi da marcature. Peccato che non gli stia dietro nessuno, quando l’egiziano bene o male riesce a saltare l’uomo e a involarsi verso la porta di Shovkovskiy, né i compassati compagni di centrocampo né il compagno di reparto tedesco costantemente in debito d’ossigeno. Chissà poi che anche il buon Mohamed non cominci ad avere anch’egli un minimo di appannamento. L’errore in occasione della splendida occasione del primo tempo non è da lui. Se così fosse, c’è da capirlo, ha corso più lui da quando è qui che molti dei suoi compagni in tre anni.
Al netto di tutto ciò, la Fiorentina a Kiev gioca bene, a tratti davvero bene, nel quarto d’ora finale schiaccia i padroni di casa nella loro metà campo alla ricerca di un pareggio strameritato che comunque serve più che altro ad evitare la beffa e a darle perlomeno il vantaggio del gol segnato in trasferta. Gioca bene e fino al 92’ fa sacramentare i suoi tifosi, perché non è possibile soffrire così per arrivare a segnare un gol.
Quando questo gol finalmente arriva, per la splendida rovesciata in area di Khouma El Babacar, perfino Montella perde la sua impassibilità anglo-partenopea e stringe il pugno. Un punto è poco, per quanto si è visto, ma sempre meglio che tornare a Firenze con la terza sconfitta consecutiva ed il terzo obbiettivo stagionale fallito.
In altra parte del giornale Patrizia Iannicelli vi racconta la cronaca di questa partita dominata dalla Fiorentina. Qui chiudiamo con un’ultima annotazione. E’ tempo che il governo del calcio si dia una regolata, in tutti i sensi. Dopo la non convalida clamorosa del gol di Higuain domenica scorsa (a quando la moviola?), stavolta va in scena lo spettacolo di arte varia di un arbitro polacco mandato ad arbitrare in Ucraina. Sarebbe come se al ritorno a Firenze mandassero un arbitro di Scandicci. Il signor Szymon ne combina di cotte e di crude. Ci limitiamo ai due rigori nettissimi non dati.
Anche questa è Europa League. E questa è la Fiorentina. C’è da patire, signore e signori. Ma siamo ancora vivi. Appuntamento al Franchi tra una settimana. E come dice il mister Rebrov, “domani è un altro giorno”.

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