Secondo la mitologia greca,
Atalanta era la figlia del re dell’Arcadia, Iasio. A quel tempo, per niente
facile da viverci, spesso e volentieri i genitori disdegnavano le figlie
femmine e addirittura talvolta le abbandonavano, un po’ come usava in Cina fino
a non molto tempo fa. La bambina subì questa sorte, ma siccome era cara a Diana
Artemide dea della caccia si salvò. La dea infatti inviò un’orsa che allevò la
bambina fino all’adolescenza. Atalanta crebbe diventando una prode cacciatrice
e guerriera, che spesso e volentieri “dava la paga” ai maschi che si
cimentavano con lei.
Narra il mito che Atalanta, per
accontentare quel padre che - come succede oggi con i ragazzini che promettono
bene a giocare a calcio - non solo l’aveva ripresa in casa ma ne era diventato
il principale e sfegatato tifoso e che nello stesso tempo la voleva vedere “sistemata”,
aveva promesso di cedere le proprie grazie solo a chi l'avesse battuta in una
gara di corsa. Il vincitore l’avrebbe avuta, lo sconfitto sarebbe stato ucciso.
Bergamo è stata spesso un
crocevia del destino per la Fiorentina, che qui ha colto in passato successi
importanti e storici. Ne citiamo due soli. Il primo è il 7-1 con cui il 2
febbraio 1964 fece registrare il proprio record di gol in una partita in
trasferta, record tutt’ora imbattuto. Quel giorno Kurt Hamrin segnò ben cinque
reti e scrisse un capitolo significativo di quella che sarebbe diventata la sua
leggenda. Il secondo è lo 0-2 con cui conquistò la sua quinta Coppa Italia nel
1996, reti di Amoruso e dell’erede conclamato di Hamrin, Omar Gabriel
Batistuta. Ad aspettare la squadra alle tre di notte allo stadio c’erano tra le
trenta e le quarantamila persone. Amarcord.
Il destino è in agguato a Bergamo
anche quest’anno. Dopo tre anni di vittorie la squadra viola torna allo stadio
Azzurri d’Italia consapevole di avere a disposizione un risultato solo: quello
che allunga la striscia di successi iniziata dalla rete di Larrondo in versione
Batigol e chiusa dalla prodezza di Kurtic (mai più ripetuta dallo sloveno che
quest’anno milita dalla parte opposta, quella orobica).
Narra ancora il mito che
Atalanta, finalmente sposatasi, era diventata madre di un bambino di nome
Partenopeo. Gli Dei dell’Olimpo avevano dunque previsto che alla vigilia delle
due settimane che decideranno il destino di questa stagione viola i nostri eroi
avrebbero dovuto affrontare la madre prima del figlio. Tottenham, Napoli e
Roma, tre partite da vincere per non morire. Ma prima di tutto questa, da
giocare su un campo che malgrado il nome altisonante dello stadio assomiglia
più ai pantani e alle risaie su cui giocavamo da ragazzini che a un terreno di
gioco omologabile per la serie A. E contro giocatori che quando possono fanno
volentieri gli ammazza-grandi. In tutti i sensi, anche quello fisico, a
giudicare dalle pedate che abbiamo visto volare anche ieri.
In ogni mito che si rispetti ci
vuole l’eroe che guida la sua nave di eroi contro mille avversità. Paulo Sousa
forse non resterà nella mitologia viola come una figura pari a quella di Ulisse
dell’Odissea o di Giasone degli Argonauti, ma di certo sta facendo di tutto per
assicurare un futuro a questa cooperativa di Lasciati a se stessi che è
diventata la Fiorentina dopo che i suoi proprietari, come Achille nell’Iliade,
ritenendosi gravemente offesi si sono ritirati nella loro tenda e non ne sono
più usciti.
La squadra che mette in campo è
priva dello squalificato Zarate, diventato furioso come l’Orlando dell’Ariosto
alla fine della partita con l’Inter e duramente (forse troppo) punito dagli Dei
del calcio. Ed è anche figlia della necessità di turnover e contro-turnover
imposta dal dover giocare giovedi l’Europa League, con la coperta ancora più
corta che nel girone d’andata a difendere i viola dal freddo londinese.
Tornano in campo Tello, Mati
Fernandez e Babacar, in panchina Borja Valero. Il resto, a parte la staffetta
Tomovic-Roncaglia che francamente eccita assai meno la fantasia di quella
Rivera-Mazzola a Mexico 70, rientra nella norma. Il centravanti senegalese si
suppone più adatto alle sportellate a cui dovrà fare nel mezzo della ruvida
difesa atalantina rispetto a quello croato. Il Borja visto giovedi ha bisogno peraltro
di centellinare le energie per non finire sotto una tenda ad ossigeno. Torna
Badelj in mezzo al campo, resta Bernardeschi a fare quello che sa fare: calcio
totale.
Si parte alla grande. Pasqual
cerca di festeggiare la sua trecentesima presenza in maglia viola (dopo Beppe
Chiappella e Sergio Cervato – eroi del primo scudetto – era stato Giancarlo
Antognoni l’ultimo a tagliare quel traguardo, trentadue anni fa) con una
punizione delle sue, che Sportiello vola a deviare dal sette. Risponde Dramé
con una testata che trova Tatarusanu in traiettoria, nella prima di una serie
di occasioni in cui i padroni di casa sorvolano l’intera difesa viola con cross
pericolosissimi. Dramé becca poco dopo anche un cartellino giallo per aver
steso un Cristian Tello che oggi conferma i suoi vistosi progressi partita dopo
partita. Se si può fare un appunto al giovane blaugrana – viola è quello di non
insistere proprio sul suo marcatore, cercando il fallo che trasformerebbe il
giallo in rosso. Ma questo si chiama mestiere, viene col tempo e l’esperienza e
per Cristian ci sarà tempo.
Mati: 1-0 |
I viola si battono bene, ma in
mezzo al campo l’armata longobarda dei nerazzurri orobici fa paura,
letteralmente. Non c’è contrasto che non si concluda sul polpaccio o sulla
caviglia di un viola. Diversi interventi fanno temere il peggio, soprattutto
per Bernardeschi che coraggiosamente cerca di fare calcio, il suo calcio, su un
terreno che sembra una concimaia e in mezzo ai colpi di mazza ferrata degli
avversari.
L’arbitro Celi cerca di tenere il
match su binari di correttezza, ma insomma il gioco ne risente e il primo tempo
scivola via senza che nessuno da una parte o dall’altra arrivi anche vicino ad
un’idea di tiro in porta. Nella ripresa si pone per Sousa l’amletico dilemma:
continuare così e vanificare i doni della sorte che offrono alla Fiorentina
l’occasione di tenere la Roma e l’Inter a distanza salvando incolumità fisica
ed energie per giovedi e il futuro di coppa, o cambiare qualcosa e forzare la
mano al Fato, che ancora oggi non ha mostrato da che parte si schiera, se da
quella della madre di Partenopeo o da quella degli Argonauti viola?
Si cambia, dopo aver intravisto
un Mati Fernandez voglioso di mettersi in mostra e temerario nel provare a
saltare marcatori nel cuore dell’area atalantina. Il prode Matias segnò proprio
qui due anni fa il suo primo gol in viola (e uno degli ultimi, prima di
risprofondare in un confusionario anonimato). Hai visto mai che le Sirene oggi
non cantino anche per lui?
Mentre l’allenatore di casa
Edoardo Reja provoca la Fiorentina mettendo in campo il suo fresco ex Diamanti,
Paulo Sousa risponde: fuori Babacar, che oltre alle sportellate oggi ha fatto
poco o nulla, per Kalinic, e fuori Bernardeschi, che ha avuto più calcioni (uno
in particolare è sembrato come la freccia fatale che trafisse Achille) che
occasioni da rete, per Borja Valero.
Poco dopo, gli Dei riuniti a
banchetto sull’Olimpo decidono. Il mito viola deve continuare, almeno per ora.
Tocca all’eroe che si era perso nei lunghi anni di guerra trascorsi sotto
Montella prima e Sousa poi ritrovarsi con il colpo che salva la giornata e fa
vincere la battaglia. Il colpo di testa di Matias Fernandez sembra proprio
pilotato dal Fato, scavalcando Sportiello e andando ad insaccarsi in rete dopo
aver carambolato sul palo.
1-0, basterebbe ed avanzerebbe
per finire il turno di campionato ancora terzi, a prescindere da cosa succede
nei posticipi. Ma la difesa viola quest’anno consiglia di incrementare il
punteggio, a scanso di equivoci e dispiaceri. Gonzalo e Astori sono due
guerrieri omerici che combattono su ogni palla respingendo ogni assalto dei
lanzichenecchi che si buttano a testa bassa. Ma dalle parti di Roncaglia e del
vecchio capitano Pasqual si balla, e dalle fasce qualche pericolo arriva.
Tello: 2-0 |
Ci vuole un’altra impresa per
arrivare in fondo con la vittoria. E’ stato Tello a crossare per Mati in
occasione del primo gol. Adesso tocca a Mati rendere perfetta la giornata sua e
della sua squadra ricambiando la cortesia. L’assist al giovane spagnolo che
scatta sul filo del fuorigioco è perfetto. Cristian arriva davanti a Sportiello
e prova il tocco sotto. L’emozione o il debito di ossigeno strozzano il suo
tiro, ma sulla ribattuta stavolta la gamba non trema e il pallone infila la
porta. Il giovane Tello è grato agli Dei. I viola possono abbracciarsi.
Finita? Neanche per sogno. Gli
eroi torneranno vittoriosi, ma come Odisseo dovranno affrontare ancora
peripezie. Passano tre minuti e su corner che sorvola l’intera difesa viola e
poi vi carambola in mezzo il giovane barbaro Conti ha tempo di girarsi e
mettere dentro da un metro. E ti pareva? Mancano sette minuti più recupero, e
son lunghi. Sotto a chi tocca, si faccia avanti qualche altro eroe redivivo per
il colpo di grazia alla cacciatrice.
Kalinic: 3-0 |
E’ da un po’ che il Borja
ritrovato mostra di aver facilità ad andar via sulla sinistra. Quando partono
in due, lui e Kalinic, contro due atalantini sembrano davvero guidati da una
mano divina. Borja salta il suo marcatore, al centro Kalinic gli fa un gesto:
mettimela qui. Lo spagnolo esegue, l’eroe croato risorge chiudendo due mesi di
magra con una deviazione sotto porta di quelle che erano le sue. 3-1, stavolta
è finita. Anzi no, perché c’è Pinilla che deve segnare il suo gol annuale alla
Fiorentina, approfittando del solito sorvolo a bassa quota della difesa viola.
Ma ormai siamo ai minuti di recupero, e tutto ciò che succede prima che Celi
fischi la fine e questo poema omerico venga consegnato ai cantori è
l’espulsione del giovane barbaro Conti per l’ennesimo fallaccio su Kalinic.
Pasqual a quota 300 |
La cacciatrice è vinta e
sottomessa. La Cooperativa viola continua la sua corsa in questa stagione epica
fatta di dure battaglie e quasi sempre di eroiche vittorie, sballottata tra il
favore degli Dei e lo sdegno dei suoi Proprietari che come Agamennone sotto le
mura di Troia intralciano più che propiziare il suo trionfo. Adesso c’è
Albione, e il destino di coppa. Questa Fiorentina se la gioca, comunque vada a
finire. Poi c’è Partenopeo, che vorrà vendicare la madre e insieme inseguire il
suo proprio destino. Quello stesso che fino a poco tempo fa inseguiva anche la
Fiorentina.
Gli Dei del calcio sono volubili.
Stiamo a vedere.
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