giovedì 4 febbraio 2016

DIARIO VIOLA: Viola sull'orlo di una crisi di nervi



Chi sta scrivendo il copione di questo campionato è uno sceneggiatore che sa il fatto suo. Gli ingredienti del thriller che scala le vette della classifica dei best sellers ci sono tutti.
Dalla sorte che ti rimette di fronte proprio la squadra che ti ha buttato fuori malamente dalla Coppa Italia e proprio nel momento in cui servirebbe una partita – diciamo così – più abbordabile di quella che può fare una squadra a corto di energie fisiche e mentali contro un’altra di pedatori che fino a ieri sera si potevano anche definire onesti, ma non più dopo averli visti all’opera sulle caviglie di Ilicic, Borja Valero e tutto ciò che di viola si muove in campo.
Alla natura che ci mette del suo, scatenando una mezza tromba d’aria su Stadio Franchi e dintorni esattamente della durata dei 90 minuti regolamentari più recupero. La cosiddetta “giubbata” d’acqua inflitta agli spettatori dal meteo ha pochi precedenti anche nella storia di una tifoseria la cui passione è seconda forse soltanto alle capacità di sopportazione. Di tante cose, compreso uno degli ultimi stadi scoperti d’Europa, che nessuno tra Comune e A.C.F. Fiorentina ha voglia di ammodernare o addirittura rifare.
All’arbitro, il sig. Angelo Cervellera della sezione di Taranto: con quel nome lì il cervello devi saperlo usare, soprattutto in certe partite. Invece il fischietto pugliese il suo lo lascia a casa. Risultato, gli emiliani picchiano come fabbri che non prendono la paga da mesi e la fanno sistematicamente franca, i viola invece si vedono stampare in faccia il cartellino giallo al primo accenno di comprensibile protesta, Paulo Sousa addirittura si becca il rosso per la seconda volta consecutiva e stavolta per lui sarà squalifica.
Alla società pusillanime che non ritiene il caso di mandare nemmeno uno dei suoi uomini nella Tribuna del Franchi per assistere a un match per il quale ha messo a disposizione del tecnico una rosa di giocatori al minimo regolamentare. Il rischio di beccarsi una contestazione epocale del resto è troppo forte, e la possibilità di cavarsela come in conferenza stampa, censurando alla cinese addetti ai lavori e tifosi, stavolta è pressoché nulla.
Ai giocatori ed al tecnico che visibilmente scendono in campo dopo aver stretto un patto  di quelli possibili solo negli spogliatoi più temprati. In curva campeggia uno striscione inequivocabile: “tifosi, mister, giocatori, facciamogli un bel dispetto, lottiamo per un sogno nonostante il loro progetto”. Ogni riferimento alla campagna acquisti da 8 settembre dei DV Men è decisamente voluto. Ed è proprio quello che dev’essere successo. Paulo Sousa alla vigilia non ha potuto dire molto (se non far capire che difficilmente il suo contratto verrà prolungato oltre la fine di questo campionato), ma almeno ha potuto suonare le campane che furono già di Pier Capponi per ricompattare la città viola intorno ai suoi guerrieri. Stanchi e pieni di cicatrici ma determinati a portare avanti il più possibile questo sogno a cui chi li stipendia non ha mai creduto, al di là dei discorsi di convenienza.
Ai tifosi stessi, che malgrado lo “sciopero” dichiarato per le note vicende giudiziarie conseguenti alla trasferta in quel di Napoli (senza entrare nel merito, ci limitiamo a sottolineare che quando vai da quelle parti il danno non è mai solo, ma seguito puntualmente dalla beffa: vedi Napoli e poi regolarmente muori) e malgrado il torrente di acqua che sembra una maledizione degli Dei del Calcio su Firenze, quando rientrano in curva si stringono senza se e senza ma al mister sull’orlo di una crisi di nervi ed ai loro eroi che sembrano ormai come il primo Rocky, contenti di arrivare all’ultimo gong ancora in piedi e con il minor numero di danni possibile.
All’eroe di giornata. Al salvatore della patria, e sicuramente dell’ordine pubblico, perché senza di lui c’è da credere che stasera il deflusso post partita non sarebbe stato il rientro da una scampagnata. Mauro Zarate è uno di quei giocatori il cui acquisto in altri momenti sarebbe stato salutato come il proverbiale “ciliegione”. L’argentino ai tempi della Lazio era un’ira di Dio e aveva eccitato la fantasia non soltanto dei suoi connazionali, qualcuno dei quali l’aveva paragonato nientepopochedimeno a Diego Armando Maradona. Più modestamente, ma neanche tanto, diciamo che ai palati fini dei fiorentini Maurito (già ribattezzato dopo il suo gol pesantissimo Zarate Kid) ha delle movenze ed un tasso tecnico che ricordano tanto quelli di Adrian Mutu. C’è chi dice che lo ricorda tanto anche nella testa. Staremo a vedere, per adesso ci prendiamo il genio, per la sregolatezza c’è sempre tempo.
Insomma, è un thriller avvincente con tutti i crismi questo Fiorentina – Carpi che giunge nel momento critico del campionato, quello in cui una città e una squadra sentono inesorabilmente sfuggire la loro presa spasmodica e disperata su posizioni di classifica conquistate e certezze acquisite nel bel girone d’andata. E pazienza se la partita che scorre – si fa per dire – tra il primo gol viola di Borja Valero al primo minuto e l’ultimo di Mauro Zarate all’ultimo minuto è per certi versi e per lunghissimi tratti una partita che rasenta l’orrendo.
Chi vede nello sport una metafora della vita e cerca di cogliervi un significato più profondo non può fermarsi al mero dato tecnico. Ieri sera la Fiorentina ha rischiato di trovare indigesta la Lasagna che già aveva strozzato San Siro. E ha rischiato di avviare una crisi interna che forse è soltanto rimandata (Paulo Sousa aveva convocato in tutto 17 giocatori, e nessun difensore di ruolo ovviamente, e ad un certo punto del match ha improvvisato un Kuba a sinistra per far posto a Bernardeschi a destra che si aggiunge alle perle già infilate nella speciale collana del girone di ritorno giocato a coperta striminzita). Ma alla fine ha scoperto che gli Dei pallonari non le hanno ancora voltato la faccia.
Il Carpi è uno spot per il ritorno della Serie A a 16 squadre. Adesso che il fiato speso nel girone d’andata si fa corto e gioca con meno Letizia, il gioco di Castori & C. si riduce a “tutti indietro e palla o gamba, meglio se gamba”. Poi ci pensa Lasagna a rimanere di traverso nel gozzo altrui. Le vecchie “provinciali” di una volta, Ascoli, Avellino, Cesena erano squadre che portavano in giro il bel gioco come Globe Trotters a confronto a questo Carpi che è il fenotipo delle formazioni che rendono ormai la nostra serie maggiore una fabbrica di spettacolo spesso inguardabile. Quando un carpi trova un Cervellera, è già tanto se agli avversari è dato di portare la pelle sana e salva a casa, e non in senso figurato. Il resto, sempre in tema di cervelli, lo fa una Federazione che continua a far giocare questi turni di campionato alle 20,30 di una terrificante serata invernale qualsiasi.
La Fiorentina è la squadra superstite di un girone d’andata giocato a 100 all’ora e senza pezzi di ricambio, di infortuni inevitabili e squalifiche forse evitabili ma prevedibili, di campagne acquisti da Lega Pro che riabilitano di fronte alla storia i nomi di Zagano, Bruzzone e Ficini e che ci dichiarano tra l’altro off limits per un bel po’ di tempo interi continenti come il Sudamerica.
La Fiorentina è una squadra aggrappata alla robustezza dell’ultima trincea eretta disperatamente da Gonzalo (al quale bisognerà fare prima o poi un monumento dentro lo stadio) e da un Astori che cerca di stargli al passo magari non sempre riuscendoci (se Mancosu e Mbakogu non fossero maltrattatori di pallone per i viola la notte fonda scenderebbe già nel primo tempo). Quanto a Tomovic, che regala l’assist del pareggio a Lasagna, ci rifiutiamo di criticarlo ulteriormente. La colpa non è sua, ma di chi dal 2005 almeno si rifiuta di comprare sistematicamente un terzino di ruolo. Forse perché non configura un brand spendibile a Tokyo, a Shanghai o New York.
Davanti, siamo aggrappati alla tenuta di Borja Valero, di Ilicic e di un Bernardeschi che prima o poi si romperà le scatole di giocare fuori ruolo. Anche il Berna si prende spesso critiche che non sarebbe lui a meritare, mentre gli altri due si prendono soprattutto pedatoni. D’altra parte, l’alternativa è il gioco “da porticine” di Mati Fernandez. Senza gli estri individuali, la Fiorentina stasera non esiste.
Sia arriva al 94’ inchiodati su un pareggio che è peggio di una sconfitta, peggio di quella che è costata l’uscita da una Coppa Italia tutta in discesa. L’Inter è avanti, Roma e Milan più vicine, ma soprattutto la Fiorentina è lontana, almeno da come l’avevano immaginata i coraggiosi sugli spalti del Franchi e tutti gli altri a casa aggrappati alla parabola. Il gioco che una volta ubriacava gli avversari adesso lo fa con noi stessi, che non riusciamo più a passare quasi la metà campo e se succede non sappiamo più che fare del pallone. Ci vuole una prodezza individuale, altrimenti buonanotte Fiorentina.
Ci vuole Mauro Zarate, l’unico che ha i numeri per fare quella prodezza e la cocciutaggine per provarci insistentemente, ignorando compagni apparentemente smarcati ma che in realtà ormai sono irraggiungibili da qualsiasi giocata. Ci prova a due minuti dalla fine, invogliato da una quasi papera del portiere Belec su Borja Valero. Questo ha problemi sui tiri da lontano, sembra pensare Zarate Kid. Ci prova e il tiro gli va fuori, tra le contumelie dei tifosi che in quel momento del mercato di gennaio non salvano più neanche lui. Ci riprova un minuto dopo, quando già Cervellera consulta il cronometro. Ed è un eurogol. Che fa esplodere di gioia uno stadio e una città, e che soprattutto salva la serata e l’immediato futuro a chi non c’é. A chi ha disertato la tribuna del Franchi preferendo restarsene a casa al caldo e al riparo dalla contestazione.
La Fiorentina per adesso è salva. I suoi proprietari no. Si può anche fare soldi e avere successo nel mondo della moda. Ma lo stile, cari signori Della Valle, è un’altra cosa. Non si compra e non si acquisisce col tempo. O c’è o non c’é. Il Re da stasera è più nudo che mai.


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