Chi sta scrivendo il copione di
questo campionato è uno sceneggiatore che sa il fatto suo. Gli ingredienti del
thriller che scala le vette della classifica dei best sellers ci sono tutti.
Dalla sorte che ti rimette di
fronte proprio la squadra che ti ha buttato fuori malamente dalla Coppa Italia e
proprio nel momento in cui servirebbe una partita – diciamo così – più
abbordabile di quella che può fare una squadra a corto di energie fisiche e
mentali contro un’altra di pedatori che fino a ieri sera si potevano anche definire
onesti, ma non più dopo averli visti all’opera sulle caviglie di Ilicic, Borja
Valero e tutto ciò che di viola si muove in campo.
Alla natura che ci mette del suo,
scatenando una mezza tromba d’aria su Stadio Franchi e dintorni esattamente
della durata dei 90 minuti regolamentari più recupero. La cosiddetta “giubbata”
d’acqua inflitta agli spettatori dal meteo ha pochi precedenti anche nella
storia di una tifoseria la cui passione è seconda forse soltanto alle capacità
di sopportazione. Di tante cose, compreso uno degli ultimi stadi scoperti d’Europa,
che nessuno tra Comune e A.C.F. Fiorentina ha voglia di ammodernare o
addirittura rifare.
All’arbitro, il sig. Angelo
Cervellera della sezione di Taranto: con quel nome lì il cervello devi saperlo
usare, soprattutto in certe partite. Invece il fischietto pugliese il suo lo
lascia a casa. Risultato, gli emiliani picchiano come fabbri che non prendono la
paga da mesi e la fanno sistematicamente franca, i viola invece si vedono
stampare in faccia il cartellino giallo al primo accenno di comprensibile
protesta, Paulo Sousa addirittura si becca il rosso per la seconda volta
consecutiva e stavolta per lui sarà squalifica.
Alla società pusillanime che non
ritiene il caso di mandare nemmeno uno dei suoi uomini nella Tribuna del
Franchi per assistere a un match per il quale ha messo a disposizione del
tecnico una rosa di giocatori al minimo regolamentare. Il rischio di beccarsi
una contestazione epocale del resto è troppo forte, e la possibilità di
cavarsela come in conferenza stampa, censurando alla cinese addetti ai lavori e
tifosi, stavolta è pressoché nulla.
Ai giocatori ed al tecnico che
visibilmente scendono in campo dopo aver stretto un patto di quelli possibili solo negli spogliatoi più
temprati. In curva campeggia uno striscione inequivocabile: “tifosi, mister,
giocatori, facciamogli un bel dispetto, lottiamo per un sogno nonostante il
loro progetto”. Ogni riferimento alla campagna acquisti da 8 settembre dei DV
Men è decisamente voluto. Ed è proprio quello che dev’essere successo. Paulo
Sousa alla vigilia non ha potuto dire molto (se non far capire che
difficilmente il suo contratto verrà prolungato oltre la fine di questo
campionato), ma almeno ha potuto suonare le campane che furono già di Pier Capponi
per ricompattare la città viola intorno ai suoi guerrieri. Stanchi e pieni di
cicatrici ma determinati a portare avanti il più possibile questo sogno a cui
chi li stipendia non ha mai creduto, al di là dei discorsi di convenienza.
Ai tifosi stessi, che malgrado lo
“sciopero” dichiarato per le note vicende giudiziarie conseguenti alla
trasferta in quel di Napoli (senza entrare nel merito, ci limitiamo a
sottolineare che quando vai da quelle parti il danno non è mai solo, ma seguito
puntualmente dalla beffa: vedi Napoli e poi regolarmente muori) e malgrado il
torrente di acqua che sembra una maledizione degli Dei del Calcio su Firenze,
quando rientrano in curva si stringono senza se e senza ma al mister sull’orlo
di una crisi di nervi ed ai loro eroi che sembrano ormai come il primo Rocky,
contenti di arrivare all’ultimo gong ancora in piedi e con il minor numero di
danni possibile.
All’eroe di giornata. Al
salvatore della patria, e sicuramente dell’ordine pubblico, perché senza di lui
c’è da credere che stasera il deflusso post partita non sarebbe stato il rientro
da una scampagnata. Mauro Zarate è uno di quei giocatori il cui acquisto in
altri momenti sarebbe stato salutato come il proverbiale “ciliegione”.
L’argentino ai tempi della Lazio era un’ira di Dio e aveva eccitato la fantasia
non soltanto dei suoi connazionali, qualcuno dei quali l’aveva paragonato
nientepopochedimeno a Diego Armando Maradona. Più modestamente, ma neanche
tanto, diciamo che ai palati fini dei fiorentini Maurito (già ribattezzato dopo
il suo gol pesantissimo Zarate Kid) ha delle movenze ed un tasso tecnico che
ricordano tanto quelli di Adrian Mutu. C’è chi dice che lo ricorda tanto anche
nella testa. Staremo a vedere, per adesso ci prendiamo il genio, per la
sregolatezza c’è sempre tempo.
Insomma, è un thriller avvincente
con tutti i crismi questo Fiorentina – Carpi che giunge nel momento critico del
campionato, quello in cui una città e una squadra sentono inesorabilmente
sfuggire la loro presa spasmodica e disperata su posizioni di classifica
conquistate e certezze acquisite nel bel girone d’andata. E pazienza se la
partita che scorre – si fa per dire – tra il primo gol viola di Borja Valero al
primo minuto e l’ultimo di Mauro Zarate all’ultimo minuto è per certi versi e
per lunghissimi tratti una partita che rasenta l’orrendo.
Chi vede nello sport una metafora
della vita e cerca di cogliervi un significato più profondo non può fermarsi al
mero dato tecnico. Ieri sera la Fiorentina ha rischiato di trovare indigesta la
Lasagna che già aveva strozzato San Siro. E ha rischiato di avviare una crisi
interna che forse è soltanto rimandata (Paulo Sousa aveva convocato in tutto 17
giocatori, e nessun difensore di ruolo ovviamente, e ad un certo punto del
match ha improvvisato un Kuba a sinistra per far posto a Bernardeschi a destra
che si aggiunge alle perle già infilate nella speciale collana del girone di
ritorno giocato a coperta striminzita). Ma alla fine ha scoperto che gli Dei
pallonari non le hanno ancora voltato la faccia.
Il Carpi è uno spot per il
ritorno della Serie A a 16 squadre. Adesso che il fiato speso nel girone
d’andata si fa corto e gioca con meno Letizia, il gioco di Castori & C. si
riduce a “tutti indietro e palla o gamba, meglio se gamba”. Poi ci pensa Lasagna
a rimanere di traverso nel gozzo altrui. Le vecchie “provinciali” di una volta,
Ascoli, Avellino, Cesena erano squadre che portavano in giro il bel gioco come
Globe Trotters a confronto a questo Carpi che è il fenotipo delle formazioni
che rendono ormai la nostra serie maggiore una fabbrica di spettacolo spesso inguardabile.
Quando un carpi trova un Cervellera, è già tanto se agli avversari è dato di
portare la pelle sana e salva a casa, e non in senso figurato. Il resto, sempre
in tema di cervelli, lo fa una Federazione che continua a far giocare questi
turni di campionato alle 20,30 di una terrificante serata invernale qualsiasi.
La Fiorentina è la squadra
superstite di un girone d’andata giocato a 100 all’ora e senza pezzi di ricambio,
di infortuni inevitabili e squalifiche forse evitabili ma prevedibili, di
campagne acquisti da Lega Pro che riabilitano di fronte alla storia i nomi di
Zagano, Bruzzone e Ficini e che ci dichiarano tra l’altro off limits per un bel
po’ di tempo interi continenti come il Sudamerica.
La Fiorentina è una squadra
aggrappata alla robustezza dell’ultima trincea eretta disperatamente da Gonzalo
(al quale bisognerà fare prima o poi un monumento dentro lo stadio) e da un
Astori che cerca di stargli al passo magari non sempre riuscendoci (se Mancosu
e Mbakogu non fossero maltrattatori di pallone per i viola la notte fonda
scenderebbe già nel primo tempo). Quanto a Tomovic, che regala l’assist del
pareggio a Lasagna, ci rifiutiamo di criticarlo ulteriormente. La colpa non è
sua, ma di chi dal 2005 almeno si rifiuta di comprare sistematicamente un
terzino di ruolo. Forse perché non configura un brand spendibile a Tokyo, a
Shanghai o New York.
Davanti, siamo aggrappati alla
tenuta di Borja Valero, di Ilicic e di un Bernardeschi che prima o poi si
romperà le scatole di giocare fuori ruolo. Anche il Berna si prende spesso
critiche che non sarebbe lui a meritare, mentre gli altri due si prendono
soprattutto pedatoni. D’altra parte, l’alternativa è il gioco “da porticine” di
Mati Fernandez. Senza gli estri individuali, la Fiorentina stasera non esiste.
Sia arriva al 94’ inchiodati su un pareggio
che è peggio di una sconfitta, peggio di quella che è costata l’uscita da una
Coppa Italia tutta in discesa. L’Inter è avanti, Roma e Milan più vicine, ma
soprattutto la Fiorentina è lontana, almeno da come l’avevano immaginata i
coraggiosi sugli spalti del Franchi e tutti gli altri a casa aggrappati alla
parabola. Il gioco che una volta ubriacava gli avversari adesso lo fa con noi
stessi, che non riusciamo più a passare quasi la metà campo e se succede non
sappiamo più che fare del pallone. Ci vuole una prodezza individuale,
altrimenti buonanotte Fiorentina.
Ci vuole Mauro Zarate, l’unico
che ha i numeri per fare quella prodezza e la cocciutaggine per provarci
insistentemente, ignorando compagni apparentemente smarcati ma che in realtà ormai
sono irraggiungibili da qualsiasi giocata. Ci prova a due minuti dalla fine,
invogliato da una quasi papera del portiere Belec su Borja Valero. Questo ha
problemi sui tiri da lontano, sembra pensare Zarate Kid. Ci prova e il tiro gli
va fuori, tra le contumelie dei tifosi che in quel momento del mercato di
gennaio non salvano più neanche lui. Ci riprova un minuto dopo, quando già
Cervellera consulta il cronometro. Ed è un eurogol. Che fa esplodere di gioia
uno stadio e una città, e che soprattutto salva la serata e l’immediato futuro
a chi non c’é. A chi ha disertato la tribuna del Franchi preferendo restarsene
a casa al caldo e al riparo dalla contestazione.
La Fiorentina per adesso è salva.
I suoi proprietari no. Si può anche fare soldi e avere successo nel mondo della
moda. Ma lo stile, cari signori Della Valle, è un’altra cosa. Non si compra e
non si acquisisce col tempo. O c’è o non c’é. Il Re da stasera è più nudo che
mai.
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