mercoledì 24 febbraio 2016

L'eredità di Bettino



L’anniversario della nascita di Bettino Craxi è destinato a rinfocolare polemiche mai sopite e quasi sempre strumentali alla lotta politico-ideologica conseguente alla fine della Prima Repubblica di cui Craxi fu appunto uno dei più significativi esponenti.
Ci vorrà del tempo e lo scorrere di molta acqua sotto il ponte della Storia prima che la figura di questo uomo politico possa essere inquadrata nella giusta collocazione nella Storia d’Italia. Del resto, non ci siamo ancora messi d’accordo su Cavour e Garibaldi, figuriamoci su persone vissute ed eventi occorsi soltanto pochi anni fa.
E’ opinione comune, per quanto sofferta da molti, che Bettino Craxi sia stato – nel bene e nel male – uno dei pochi statisti degni di questo nome dell’intera storia del nostro paese. Uno dei più importanti, a prescindere dalla politica da  lui perseguita e dai risultati da lui ottenuti. Su questo si può essere ormai tutti d’accordo.
Dove è difficile invece creare un minimo comune denominatore è sul merito della sua azione politica. Lasciando ai posteri l’ardua sentenza su Prima, Seconda e Terza Repubblica e quindi anche su uomini e fatti appartenenti storicamente ad esse, è sul discorso del ruolo internazionale dell’Italia e sul modo in cui i vari governi l’hanno interpretato che mi interessa soffermarmi.
E’ opinione comune anche in questo caso, anche se parimenti sofferta da molti e condivisa con la stessa valenza da quasi nessuno, che da quando Alcide de Gasperi chiese alle potenze vincitrici della Seconda Guerra Mondiale un po’ di “comprensione” accingendosi a firmare il Trattato di Pace il 10 febbraio 1947, il governo di Bettino Craxi sia stato praticamente l’unico a cercare di recuperare – a volte con gesti anche eclatanti come il famoso NO di Sigonella ai Marines americani – non diciamo un vero e proprio status di indipendenza (il che era impossibile dato il contesto internazionale) ma almeno un principio di recupero di sovranità. Per quanto lo consentiva la Guerra Fredda e l’interdipendenza tra Grandi Potenze e paesi afferenti ai due blocchi.
Vuole la “leggenda nera” elaborata prontamente dalla corrente del revisionismo storico che vede nel secondo dopoguerra un complotto americano per il dominio del mondo (i Protocolli dei Savi di Sion erano passati di moda, e gli Alieni non lo erano ancora diventati), che per quel NO e per altri piccoli e grandi pronunciati prima e dopo a Bettino Craxi sia stato presentato il conto in occasione di Mani Pulite, costringendolo all’espatrio e alla morte in esilio.
Personalmente, al netto di tutte le sciocchezze che rendono e renderanno difficilissimo il lavoro degli storici nel dissipare le nebbie che oscurano la corretta visione di un periodo ancora a noi troppo vicino, credo che in realtà il regolamento di conti che va sotto il nome di Mani Pulite fu una vicenda interamente italiana, resa possibile proprio dal venir meno del ferreo contrapporsi di blocchi in guerra che non ammettevano spazi per gli attori minori. Craxi si era fatto troppi nemici all’interno, e furono quei nemici a presentare quel conto, non certo gli americani che nel 1992 avevano ben altro a cui pensare.
La questione del ruolo internazionale dell’Italia è sempre stata peraltro la più difficile da comprendere per un’opinione pubblica che non ha fatto molti progressi da quando quasi un secolo fa si lamentava al ritmo di chi batteva sulla grancassa della “vittoria mutilata” nella Prima Guerra Mondiale. Nel periodo trascorso dalla sua riunificazione in stato indipendente e sovrano, l’Italia è sempre stata inserita in contesti internazionali che limitavano fortemente la sua azione autonoma. Ciò era inevitabile, non avendo il nostro paese le risorse per affermarsi come grande potenza.
L’unica eccezione fu costituita proprio dal periodo di governo di Benito Mussolini che va sotto il nome di Fascismo. Il Duce fu abile a sfruttare condizioni internazionali particolari, nel ventennio compreso tra la fine dei Grandi Imperi e l’avvento del Nuovo Ordine hitleriano prima e della Guerra Fredda poi. Negli anni 20 e 30 del ventesimo secolo l’Italia godette di spazi di manovra internazionali che non aveva mai avuto prima e non avrebbe avuto poi.
Tutto ciò era destinato ad essere compromesso dall’improvvida entrata nel secondo conflitto mondiale dell’Italia fascista a fianco della Germania nazista. Se Mussolini avesse tenuto a freno la propria ambizione di espansioni territoriali da appagare mediante il supposto gettito di “pochi morti sul tavolo della pace” e si fosse limitato come Francisco Franco a dedicarsi al proprio sviluppo interno, è verosimile che sarebbe morto nel suo letto con la camicia nera e che l’Italia nel dopoguerra, qualunque dopoguerra, avrebbe avuto ben altra collocazione internazionale.
Andò diversamente, e la repubblica democratica ha avuto tanti difetti ma non certo quello di non aver assicurato uno sviluppo sociale ed economico poderoso al nostro popolo, oltre alla sua libertà. Il ruolo internazionale era un’altra faccenda. Anche se si fosse seduta al tavolo della pace godendo di ben altra considerazione rispetto a quella che intristiva Alcide De Gasperi allorché prese la parola a Parigi il 10 febbraio 1947, l’incipiente esplodere delle ostilità tra USA e URSS le avrebbe tolto ogni possibilità. Come le tolse del resto a potenze di ben altra tradizione e di altro status post-bellico come Gran Bretagna e Francia.
Sognare un mondo senza padroni non lo rende di per se stesso possibile. Molta retorica antiamericana del dopoguerra, sia essa stata di matrice comunista o post-fascista, eredita inevitabilmente la stessa retorica del Ventennio e la stessa visione distorta del mondo che portò alla sottovalutazione delle forze e degli interessi in gioco propedeutica alla tragedia della guerra mondiale. Chi scrive peraltro è personalmente convinto che di tutti i “padroni” che la storia poteva imporci in quel frangente gli Stati Uniti d’America furono quello migliore che poteva toccarci. Ad altri, che ne avessero avuta colpa o meno, andò decisamente peggio.
Bettino Craxi e Ronald Reagan
Detto questo, in un’alleanza – per quanto squilibrata più verso la subordinazione che verso la partnership paritaria – ci si può stare in tanti modi. Bettino Craxi tentò di far proprio quello del recupero di un minimo sindacale di orgoglio e dignità nazionali, a prescindere dai contenuti della sua azione. La sua figura, se confrontata con quelle di tanti cosiddetti “statisti” passati ma soprattutto presenti, si staglia decisamente più alta della media, e non di poco.
Un giorno i nostri figli che studieranno storia potranno discutere di questa figura e dei fatti di cui fu protagonista con serenità costruttiva. Nel frattempo, avendo finito di scannarsi ieri l’altro sulla Breccia di Porta Pia e la Spedizione dei Mille ha poco senso sperare che questo anniversario abbia significato se non per qualche addetto ai lavori.

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