L’uomo che la mattina del 17
febbraio 1600 fu condotto al supplizio nella piazza romana denominata Campo de’
Fiori non era stato piegato da sette anni di prigionia nelle mani della Santa Inquisizione,
a Castel Sant’Angelo. La prigione del Papa Re, la Bastiglia pontificia dove venivano
rinchiusi ribelli ed eretici. Sottoposto a torture fisiche e psicologiche,
tutte regolarmente autorizzate da Papa Clemente VIII secondo il diritto
canonico (bastava che non si versasse sangue, ciò che era vietato dalla
osservazione “letterale” delle Sacre Scritture), quell’uomo non aveva ceduto,
ingaggiando anzi un duello mentale con le più sottili e cristianamente perverse
menti dei seguaci di Torquemada.
Si chiamava Giordano Bruno, era
nato a Nola nei pressi di Napoli nel 1548, tre anni dopo l’inizio di quel
Concilio di Trento le cui determinazioni – conosciute universalmente come
Controriforma – lui avversò per tutta la vita. Si chiamava in realtà Filippo,
nome datogli in onore di Sua maestà Cattolica il re di Spagna nei cui
possedimenti rientrava all’epoca il Mezzogiorno d’Italia. Il nome Giordano lo
adottò allorché entrò nei Frati Domenicani, in onore del suo primo insegnante
di metafisica. A quell’epoca, chi voleva studiare aveva davanti un solo portone
a cui bussare: quello della Chiesa. Giordano Crispo con i suoi insegnamenti fece
del giovane Filippo un uomo libero, e inevitabilmente lo condannò a morte.
Giordano Bruno detestava le
religioni, tutte, indistintamente. Per lui erano poco più che superstizioni
organizzate, costrizioni dentro cui la mente umana era condannata a rinunciare
alla propria capacità di comprendere realmente il Divino e di amarlo. Nei trent’anni
in cui girò l’Europa dopo aver abbandonato i Domenicani in seguito al primo
fumus persecutionis indotto dalle sue prese di posizione in odore di eresia,
non è un caso che prima o dopo fu perseguitato in egual modo da tutte le
Autorità e da tutte le Chiese, fossero cattoliche, calviniste, anglicane. Nel secolo
in cui Riforma e Controriforma si combattevano con la spada piuttosto che con
le proposizioni conciliari, un uomo libero era qualcosa di inviso a tutte le
confessioni e a tutti i sovrani.
Niccolò Copernico |
Giordano era convinto che l’universo
non fosse altro che una sostanziazione del principio divino. Dio era l’essere
trascendente che lo aveva creato, ma era anche ad esso immanente. Dio era la
stessa Natura, la permeava, coincideva con essa. Anzi, essendo l’universo
infinito, proprio questo lo rendeva un Essere Infinito anch’Egli, non potendosi
quindi parlare di coincidenza rispetto a due entità senza confini.
Giordano era un sostenitore di Nikołaj Kopernik, italianizzato Niccolò Copernico, l’astronomo
polacco che per primo ebbe il coraggio di confutare le tesi scientifiche di Claudio
Tolomeo, il filosofo astronomo ellenistico egiziano che elaborò la teoria del
geocentrismo (la Terra corpo immobile al centro dell’universo) consegnandola al
Medioevo cristiano che avrebbe condizionato pesantemente per oltre mille anni. L’eliocentrismo
di Copernico in realtà riprendeva quello degli studiosi greci dell’Età
Classica, da Aristarco di Samo in poi.
La Chiesa coetanea del
Rinascimento soffriva la messa in discussione della propria autorità scientifica
prima e morale poi. E reagiva scomunicando e affidando al “braccio secolare”
per la tortura e per l’esecuzione degli eretici. Giordano Bruno pensava che
fossimo tutti parte dello stesso Divino in un universo sconfinato di luoghi e
di creature senza gerarchia. Pensava che Copernico avesse ragione e Tolomeo
torto. Che il culto dei Santi riaffermato dal Concilio di Trento fosse
contrario all’essenza della religione cristiana stessa. Metteva in discussione
la stessa Trinità paragonandola a una forma riveduta e corretta di idolatria. Pensava
convintamente che le cosiddette eresie altro non fossero che manifestazioni naturali
di libero pensiero, avversate dalla dottrina imperante della Chiesa Cattolica.
Castel Sant'Angelo |
Ce n’era più che a sufficienza
perché il cardinale Bellarmino, direttore del Santo Uffizio Romano, cercasse
per sette anni di strappargli l’abiura, cioè la rinuncia a tutte queste “tesi”
eretiche, in quanto minavano alla base l’esistenza della Chiesa di Dio e del
suo potere in terra. In un primo tempo Giordano Bruno sembrò piegarsi,
accettando tale rinuncia ex nunc, cioè da quel momento in poi. Sottilmente,
significava scrivere in calce all’abiura che gli era stata esplicitamente
estorta, e che quindi non aveva valore sostanziale.
La Chiesa rifiutò, imponendogli l’abiura
tout court. Giordano Bruno dimostrò di avere coraggio oltre che testa
chiudendosi in uno sdegnoso silenzio, rotto soltanto dalle parole con cui
accolse la sentenza finale, l’8 febbraio 1600: «Forse tremate più voi nel
pronunciare contro di me questa sentenza che io nell'ascoltarla».
Fu portato al rogo imbavagliato,
affinché la folla riunita ad assistere non potesse udire alcuna parola da parte
sua. Nello stesso punto in cui fu ucciso, quasi tre secoli più tardi il governo
dell’Italia Unità presieduto da Francesco Crispi gli eresse un monumento, che
lo ritraeva fiero e sobriamente intento a guardare in direzione del Vaticano,
con sguardo ammonitore. Alla base del monumento tutt’oggi presente a Campo de’
Fiori si legge: «A Bruno, il secolo da lui divinato qui dove il rogo arse».
Il secolo da lui divinato era
quello seguente a quello dei Lumi, il XIX°. Il secolo che vide l’affermarsi dei
Liberi Pensatori soprattutto organizzati nelle logge massoniche. Francesco Crispi
era uno di questi, e nel pieno della Guerra Fredda tra Stato e Chiesa
conseguente alla Breccia di Porta Pia non gli parve vero di erigere il
monumento celebrativo di colui che era diventato l’icona del Libero Pensiero
stesso.
Dopo i Patti Lateranensi del
1929, i cattolici oltranzisti fecero un ultimo tentativo per chiedere la
rimozione della statua. Fu il filosofo Giovanni Gentile, ideologo del Fascismo
ma grande ammiratore di Bruno, a consigliare Mussolini a dire no. Il Duce,
probabilmente anche lui in gioventù un ammiratore di Giordano Bruno, seguì
volentieri quel consiglio.
Papa Giovanni Paolo II |
La tragica fine di Giordano Bruno
aveva costituito infine un precedente significativo di cui Galileo Galilei non
aveva potuto non tenere conto, allorché 33 anni dopo il filosofo di Nola era
toccato a lui trovarsi di fronte alla scelta postagli dal Santo Uffizio tra l’abiura
ed il probabile supplizio. Galileo scelse l’abiura, e non se lo perdonò mai.
Giovanni Paolo II lo riabilitò quattro secoli dopo, chiedendogli scusa con
gesto pubblico di grande effetto. Giordano bruno non ebbe la stessa fortuna. Papa
Woytila si limitò ad esprimere “profondo rammarico per la sua morte”, tuttavia il
pur triste episodio della storia cristiana moderna non consentiva a suo dire la
riabilitazione.
Per la Chiesa Cattolica Giordano Bruno
rimane colui il cui pensiero “lo
condusse a scelte intellettuali che progressivamente si rivelarono, su alcuni
punti decisivi, incompatibili con la dottrina cristiana". Per gli
scienziati moderni rimane invece come il precursore addirittura della teoria
degli “universi paralleli”. Una specie di padre sia della scienza che della
fantascienza. Colui che per primo ha liberato la mente dell’uomo dalla
superstizione, ed in ultima analisi la sua stessa dignità.
Campo de' Fiori oggi |
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