La Tour
Eiffel illuminata di bianco, rosso e verde, nella notte della vittoria
sull’Armada spagnola, ci toglie il fiato. Ci commuove. Diciamo la
verità, non è facile avere di questi omaggi dai cugini francesi. Anzi, è
praticamente impossibile. Qualcosa, di questa Italie che ha lasciato
il più clamoroso dei souvenir a questo Europeo 2016
(almeno fino alla vittoria epocale dei vichinghi islandesi sugli anglosassoni,
la prima dai tempi di Re Alfredo del Wessex), deve averli colpiti – e forse
anche un po’ preoccupati – tanto da spingerli al più plateale degli chapeau.
Viene da sentirsi un po’ in colpa, a
ripensare a quei fischi dispensati dallo Stadio Meazza di
Milano alla Marsigliese nel 2007. D’accordo, a San
Siro fluttuavano nell’aria ancora i veleni rilasciati a Berlino da Zidane
e Materazzi, dai calci di rigore che ci avevano risarcito del
famigerato golden gol di Trezeguet a Rotterdam, da un
match d’andata in cui gli svogliati reduci di Berlino si erano offerti alla
vendetta transalpina. Ma tra adulti maturi e vaccinati, per di più parenti,
certe cose non dovrebbero succedere.
Come con la Spagna, con la Francia ne
abbiamo viste tante insieme che ormai dovremmo abbracciarci e basta ogni volta
che ci troviamo. Come disse qualcuno, la Marsigliese non si fischia
mai, a prescindere. E il souvenir francese all’Italie di
lunedi notte è qualcosa che ci resterà nel cuore, a prescindere da come andrà a
finire. Merci beaucoup.
Il calcio affratella, o dovrebbe farlo.
Con un’unica eccezione ammessa addirittura dalla Carta Olimpica.
Quella che andrà in scena sabato prossimo alle 21,00. Come diceva qualcun
altro, con la Germania non c’è, e non ci sarà mai, sentimento possibile.
Italia-Germania non è
una partita di calcio, è una condizione dell'essere, un tratto distintivo generazionale,
un debito kharmico. La colonna sonora e le immagini di sottofondo
della nostra vita, l'evento epocale che fa da pietra miliare, da spartiacque,
da post-it dei nostri ricordi.
Azteca, 17 giugno 1970, Gianni Rivera esulta per il 4-3 |
Generazioni. Quella del 4-3 di Rivera,
in fuga da Albertosi infuriato e giusto in tempo per
raccogliere il traversone di Domenghini e fulminare Sepp
Maier. Vencido y vencidor, siempre con honor. L'Azteca
dove rinacque non soltanto una nazionale di calcio ma anche un intero popolo. Schnellinger
illuse i panzer nel recupero, Rombo di Tuono e il Golden
Boy dettero inizio alla leggenda. Quella dell'Italia che farà acqua
sotto tanti punti di vista, ma che a calcio con i tedeschi vince sempre. Loro
sono primi in tutto, ma quando e dove conta, dove preme di più a loro come a
noi, con noi sono sempre secondi.
Santiago Bernabeu, 11 luglio 1982, l'urlo di Tardelli |
Poi quella del 3-1 al Santiago
Bernabeu. Rossi – Tardelli - Altobelli.
L'urlo di Marco Tardelli che diventa più famoso di quello di Munch.
I tedeschi che schiumano rabbia e gli azzurri che spumeggiano calcio. Lo spareggio
per agguantare il tricampeon Brasile vinto dall'Italia. Il vecchio
Presidente che con la sua gioia contagia il giovane Re, sbatte la pipa in testa
al cancelliere tedesco e gioca a carte con Causio, Zoff
e il vecio Bearzot sull'aereo che riporta a Roma la
Coppa del Mondo.
Poi quella dello 0-2 a Dortmund. I panzer
giocano in casa, sentono di avere già vinto, i ragazzi tedeschi allo stadio con
i volti dipinti dai colori di guerra della loro bandiera, alla fine il loro
trucco si scioglie sotto le lacrime. Qualcuno non vede la magia di Del
Piero perché è ancora alla finestra ad urlare per il gol di Grosso.
Vendicata Italia 90, a Roma vinse la Germania Ovest,
per l'ultima volta, a Berlino vince l'Italia. Quadricampeones, siamo
più forti noi, ormai è storia.
Dortmund, 4 luglio 2006, l'urlo di Fabio Grosso |
Poi è cronaca recente, ci mettiamo al
televisore quattro anni fa convinti che prima o poi i crucchi dovranno
pur vincere, e che forse quella è volta buona. A Varsavia in semifinale europea
la Germania terza in Sudafrica ha troppi più favori del pronostico rispetto
alla disastrata Italia rimessa in piedi da Prandelli dopo il
disastro del Lippi-bis. L'uomo che aveva rifatto
grande la Fiorentina ha tirato fuori una squadra da un'Armata Brancaleone, come
già Fulvio Bernardini dopo la débacle dei mondiali
del 1974, ma i tedeschi fanno paura, stavolta sembrano troppo più forti. E
invece il grande motivatore ha creato Supermario, l'eroe che in
campionato fa spesso e volentieri soltanto casino, ma che in maglia azzurra si
trasforma. Dopo venti minuti ha già schiantato la Wehrmacht con due
gol dei suoi, segnati con una facilità irrisoria. Tedeschi a casa, per
l'ennesima volta. Noi in finale, stavolta a Kiev, a prenderne quattro più per
stanchezza che per inferiorità dalla Spagna di Iniesta come
già a Mexico City dal Brasile di Pelé.
Varsavia, 28 giugno 2012, la singolare esultanza di Mario Balotelli |
Immagini che scorrono, prima in bianco e
nero e poi a colori. Il film della nostra vita. Dove eravate voi quando Rivera,
Tardelli, Del Piero, Balotelli... Tedeschi che piangono, italiani che ridono e
saltano di gioia. Ci hanno fatto piangere tante volte loro, nella vita di tutti
i giorni, e quanto ci fanno piangere e tribolare ancora adesso, con lo spread,
l’austerity e la Cancelliera di Ferro, che ci
riprova dove fallirono il Kaiser ed il Fuhrer.
E' bello prendersi queste rivincite sul campo, e non saranno mai abbastanza.