I legionari di Giulio Cesare
che stabilirono il primo accampamento sulle rive dell’Arno, a mezza strada tra
la sorgente e la foce, ai piedi dell’insediamento etrusco di Faesulae, lo
chiamarono Florentia, il posto dei fiori, e lo consacrarono – com’era pressoché
d’obbligo, trattandosi di legionari – a Marte, il dio della Guerra.
A Marte eressero una statua
nei pressi del ponte che attraversava l’Arno, e che un giorno – dopo che tanta
acqua sarebbe scorsa sotto di esso – sarebbe stato conosciuto come il Ponte
Vecchio. Sempre a Marte era dedicato il tempio che eressero poco più in là, a
nord. E Campo di Marte si chiamava l’area adibita alle esercitazioni della Legione
di stanza nella zona. Uno dei pochi toponimi giunti dall’Età di Cesare ai
giorni nostri.
La statua sarebbe
sopravvissuta all’Impero Romano e alla vecchia religione politeistica a cui
aveva reso omaggio fino al 1333. In quell’anno, recitano le cronache
medioevali, una alluvione dell’Arno più o meno delle proporzioni di quella a
cui avremmo assistito personalmente sei secoli dopo la spazzò via.
Il Ponte resse, come avrebbe
fatto in seguito resistendo all’incuria del tempo e degli amministratori
comunali. La statua no. A quel punto, nessuno venerava più quel dio da tempo
immemorabile. Nessuno ne sentì la mancanza. Dal sesto secolo la parte di mondo
in cui si trovava il borgo di Florentia, o Fiorenza, era ricaduta sotto il
dominio dei Longobardi, la tribù di origine germanica che soppiantò i Visigoti
accampandosi sulle rovine della penisola romana.
Il cristianesimo che dette la
prima impronta alla città di Firenze come la conosciamo oggi fu appunto quello,
rozzo e fanatico, di questi Germani convertiti dopo lungo penare dai successori
di Pietro che avevano ereditato la capitale imperiale. Non era capitale di
alcunché invece Firenze, all’epoca. Anzi, probabilmente si trattava di un
borghetto senza nessuna particolare importanza alle estreme propaggini del
Ducato di Spoleto. Ma con il progressivo civilizzarsi di un orda barbarica che
in principio detestava la prossimità dei corsi e delle distese d’acqua, la sua
importanza andò progressivamente aumentando.
La città cominciò a
trasformarsi ed arricchirsi. Il Campo di Marte rimase tale perché le guerre
continuarono anche in epoca cristiana. Il tempio di Marte invece fu abbattuto e
sulle sue vestigia fu edificato il più antico e forse più suggestivo e
prestigioso monumento della Firenze medioevale pervenuto ai giorni nostri: il
Battistero, che sembra risalire al VII° secolo.
Vigeva già l’usanza –
ereditata dal Paganesimo – di intitolare i luoghi di culto a figure oggetto di
devozione. Non più gli Dei, ma piuttosto i Santi. L’edificio era un enorme
fonte battesimale. Era quasi gioco forza dedicarlo alla figura di Ioannes
Prodromos, Giovanni il Precursore. Colui che aveva battezzato Gesu Cristo
avviandolo verso il suo destino di fondatore di una nuova religione. Colui che
dopo il martirio di Cristo – ed il proprio – sarebbe stato conosciuto come
Giovanni Battista.
Piazza Santa Croce nel XVII secolo |
Martirizzato da quell’Erode
contro i cui facili costumi si era scagliato senza paura, Giovanni era stato
inserito nel calendario cristiano con il prestigio di un Santo guerriero. Per
questo la sua figura era estremamente suggestiva per il popolo dei Longobardi,
semiconvertiti alla civiltà cristiana ma pur sempre feroci maneggiatori di armi
e spargitori di sangue. San Giovanni Battista, l’ultimo dei profeti precursori
di Cristo, personalità talmente evocativa da essere cooptata anche dalla
religione islamica (lo Yahya del Corano), divenne quindi il Santo principale
venerato a Firenze. Il suo Santo Patrono, a cui votarsi nella buona e nella
cattiva sorte.
Le prime testimonianze di una
festività del Patrono risalgono al XIII° secolo, all’epoca di Dante. Che
peraltro raccontò di essere stato lui stesso battezzato nell’edificio dedicato
al Battista, e ne parlò con trasporto pari alla suggestione che per sua
ammissione aveva provato sostandovi in preghiera.
A partire dal Quattrocento, il
Battistero dovette condividere il prestigio di contribuire a delineare il landscape tipico di Firenze con la chiesa di Santa Maria del Fiore che la nuova signoria
medicea aveva commissionato per dotare la città di una Cattedrale adeguata. La
Chiesa sorse sulle rovine della precedente intitolata a Santa Reparata. Accanto
ad essa, il Campanile intitolato ad Angelo di Bondone detto Giotto, diventato
nel frattempo capomastro della signoria fiorentina, completava uno dei trittici
monumentali più celebri del mondo, allora come adesso.
A quell’epoca, era stata
consolidata l’usanza di festeggiare la ricorrenza del Patrono con una
processione di ceri portati dai nobili fiorentini fin sul sagrato del
Battistero e della Cattedrale. La processione umana fu progressivamente sostituita
da quella che aveva in testa un carro trainato da buoi. Il Carro di San
Giovanni, su cui veniva trasportato in Piazza San Giovanni, o Piazza del Duomo,
un unico enorme cero votivo.
Piazza Santa Croce oggi |
Sembra che l’idea di provocare
uno scoppio di quel carro risalga addirittura alle Crociate. Secondo la
leggenda, fu il fiorentino Pazzino de’ Pazzi il primo nobile cristiano a salire
sulle mura di Gerusalemme il 15 luglio 1099, quando la grande coalizione
guidata da Goffredo di Buglione riuscì a sfondare le difese musulmane, a
conquistare la Città Santa ed il Santo Sepolcro e a concludere vittoriosamente
la Prima Crociata.
Per riconoscimento, Goffredo
di Buglione fece dono a Pazzino de’ Pazzi di tre schegge della Pietra del Santo
Sepolcro, che al ritorno del Crociato furono custodite nella Chiesa dei Santi
Apostoli ed esibite ad ogni ricorrenza del Sabato Santo. In quella stessa
circostanza veniva perpetuata l’usanza di distribuire il fuoco santo ai
fiorentini, da cui la processione dei nobili che portavano i ceri e poi la trasposizione
di questi sul Carro che andava ad onorare le pietre del Santo Sepolcro.
Probabilmente, una di queste processioni si concluse con lo scoppio accidentale del Carro di San Giovanni. Il che, lungi dallo spaventare i
cittadini come presagio di sventura, fu mantenuto come tradizione per i secoli
a venire.
Il Corteo Storico degli Sbandieratori |
La cerimonia fu lasciata alla
responsabilità organizzativa della Famiglia Pazzi fino al 1478, anno in cui a
seguito della celebre congiura contro i Medici la famiglia fu decimata e i
superstiti banditi da Firenze. Lo scoppio del Carro fu proibito dalla signoria,
fintanto che nel 1494 ai tempi di Savonarola non fu cacciata la signoria stessa
e la cerimonia del Carro fu ripristinata. I Medici ritornarono a Firenze come
Duchi e Granduchi grazie alle armi dell’Imperatore Carlo V, ma non si sognarono
più di vietare lo Scoppio del Carro, diventato ormai una delle tradizioni di
Firenze. Ai Pazzi, poco prima che perdessero il privilegio di organizzatori,
sembra sia dovuta la struttura attuale – più resistente - del Carro di San
Giovanni e l’uso della Colombina per incendiarlo.
Tra le leggende di Firenze, c’è
quella che vuole la Colombina sempre a bersaglio, tranne in annate in cui si
verificano poi calamità. In epoca moderna la superstizione pare essere stata
confermata nel 1940 (entrata dell’Italia nella guerra mondiale) e nel 1966
(alluvione di Firenze e della Toscana). Senza esito, per fortuna, il recente mezzo
flop del 2014.
Altra leggenda di Firenze è
quella – confermata però dai libri di storia – che stila l’atto di nascita
ufficiale del gioco del calcio a Firenze e nel mondo al 17 febbraio del 1530. Giorno
in cui, mentre le armate dell’Imperatore assediavano la città da tempo per
imporle il ritorno dei Medici e la fine della Repubblica, i nobili fiorentini
decisero di tirare a Carlo V uno schiaffo morale, mettendosi a disputare la
prima partita di cui si ha memoria scritta in Piazza Santa Croce, sotto gli
occhi degli Imperiali che osservavano strabiliati dalle colline.
In realtà, il gioco affondava
le sue radici nell’Impero Romano, come la città. Florentinum Harspatum era il
nome con cui era conosciuto al tempo dei Cesari, e praticato un po’ in tutto il
loro dominio. Quella del 1530 dunque fu una delle tante, anche se la più
celebre delle partite. Il gioco proseguì per i due secoli successivi, per
estinguersi praticamente con la dinastia Medici. Pare che l’ultima partita
ufficiale fu giocata a Santa Croce nel 1739, alla presenza di Maria Teresa d’Asburgo,
che l’anno dopo sarebbe diventata Imperatrice d’Austria e per una combinazione
del destino avrebbe sposato quel Francesco di Lorena destinato ad ereditare
proprio la corona granducale dai Medici.
Fu il gerarca fascista
Alessandro Pavolini nel 1930, per celebrare la ricorrenza del quattrocentesimo
anniversario della storica partita-beffa contro Carlo V, a promuovere la
ripresa del Calcio Storico fiorentino. Mentre nel frattempo una sua variante
aveva germogliato in Inghilterra prima e nel mondo poi sotto il nome di
football, il calcio di Firenze riprese quindi la sua epopea nella cornice
tradizionale della Piazza dove in ottemperanza al Regolamento del Giuoco del
Calcio stilato da Giovanni de’ Bardi nel 1580 si disputava da sempre.
Se lo Scoppio del Carro era
nel frattempo migrato verso il giorno di Pasqua, le sfide calcistiche rimasero
ancorate alla Festa del Patrono, con le tradizionali semifinali e finale
disputate tra i quattro rioni storici della Città: i Bianchi di Santo Spirito,
gli Azzurri di Santa Croce, i Rossi di Santa Maria Novella e i Verdi di San
Giovanni. Con l’unica interruzione dovuta alla guerra mondiale (che non impedì
comunque la disputa di una partita vinta nel 1942 dai Rossi sui bianchi per una
caccia e mezza a una), il calcio storico ha onorato San Giovanni e Firenze fino
ai giorni nostri.
In alcune occasioni straordinarie
il calcio fiorentino è stato giocato anche in altre città, per esempio il 28
agosto 1960,
quando si giocò a Roma,
a Piazza di Siena, in occasione delle Olimpiadi, oppure il 12 ottobre 1976 quando una
partita venne effettuata a New York nell'ambito delle manifestazioni del Columbus Day.
Il 3 luglio 1998 un
incontro si disputò nella Place Bellecour di Lione in occasione
dei mondiali di calcio.
Di tradizione più
recente sono il Corteo Storico con gli Sbandieratori, le gare fra i club di
Canottieri in Arno e soprattutto i fuochi d’artificio. O Fochi.
Regolamento del Giuoco
del Calcio a Firenze
di Giovanni de’ Bardi,
1580
suddiviso in trentatre
capitoli
- Teatro
del Calcio sia la Piazza di S. Croce.
- Dal
giorno sesto di Gennaio fino a tutto il Carnevale, sia il campo conceduto
agli esercizi del Calcio.
- Ciascun
dì verso la sera, al suono delle Trombe compariscano in campo i
Giuocatori.
- Qualunque
Gentiluomo, o Signore vuole la prima volta esercitarsi nel giuoco: siasi
avanti rassegnato al Provveditore.
- Facciasi
cerchio, e corona in mezzo al Teatro con pigliarsi per mano i Giuocatori;
acciò dal Provveditore, e da quei, che saranno da lui a tale effetto
invitati, siano scelte le squadre, e ciascuno inviato al posto, ed uficio
destinatoli.
- Nel
Calcio diviso, il numero de' Giuocatori sia di 27 per parte, da
distribuirsi in 5 Sconciatori, 7 Datori, che quattro innanzi, e tre
addietro: e quindici corridori in tre quadriglie: tutti per combattere ne'
luoghi ed ordini soliti, e consueti del Giuoco.
- I
Giuocatori siano a tal fine trascelti, e descritti nella lista, né
aggiugnere vi se ne possa, o mutarne.
- In
vece de' Mancanti, prima di cominciar la battaglia, proponga il
Provveditore gli scambj; I Giudici gli eleggano.
- Escano
le Schiere in campo all'ora concordata.
- Nella
comparsa i Primi siano i Trombetti, Secondi i Tamburini, poi comincino a
venire gli Innanzi più Giovani, a coppie, di maniera che a guisa di
scacchiere nella prima coppia a man dritta sia l'Innanzi dell'un colore,
nella seconda dell'altro, nella terza come nella prima, seguendo
coll'ordine predetto di mano in mano. Dopo tutti gli Innanzi vengano gli
Alfieri a' quali nuovi tamburi marcino avanti. Appresso loro seguano gli
Sconciatori. Dietro questi i Datori innanzi, de' quali quelli del muro
portino in mano la palla. Per ultimi succedano i Datori indietro.
- Quel
degli Alfieri cui la sorte averà eletto sia alla destra.
- Girata
una volta la piazza, le insegne diansi in mano de' Giudici. Nelle livree
più solenni, e nelle disfide si consegnino a i Soldati della Guardia del
Sereniss. Granduca Nostro Signore, per tenersi ciascuna d'avanti al
proprio Padiglione.
- Pur
nelle livree, e Disfide, il Maestro di Campo, colle Trombe, e i Tamburi
avanti, vada il primiero, seguito dagli innanzi del suo colore a coppie,
precedenti tutti l'Alfiere, il quale colle genti di suo servizio d'attorno
porti l'insegna, seguito poi dagli Sconciatori, e Datori: uscendo di così
in ordinanza, ciascuna schiera di per se dal proprio Padiglione, giri
sulla man destra tutto il Teatro fino al luogo donde prima partì.
- In
luogo alto, e sublime, sì che è veggano tutta la piazza, seggano I
Giudici. Siano eletti di comun consenso, né concordandosi, de' proposti
dalle Parti in numero uguale, pongansi alla ventura.
- Al
primo tocco della Tromba, che faran sonare i Giudici si ritirino tutte le
genti di servizio, lasciando libero il campo.
- Al
secondo, vadano i giuocatori a pigliare i lor posti.
- Al
terzo, il pallaio vestito d'amendue i colori, dalla banda del muro
rincontro al segno di Marmo, giustamente batta la palla.
- Coll'istesso
ordine si cammini, sempre, che per essersi fatta la caccia, o il fallo,
debba darsi nuovo principio al giuoco.
- Il
Pallaio gli ordini de Giudici prontamente, eseguendo sempre, e dovunque
bisogno ne sia, la palla rimetta.
- Uscendo
la palla de gli steccati portata dalla furia de' Corridori rimettasi per
terra in quel luogo dond'ella uscì.
- Uscendo
la medesima de gli steccati per mano del Datore, (mentre non sia caccia,
né fallo) se i Corridori vi saran giunti in tempo, che potessero al nemico
Datore impedirne il riscatto, rimettasi quivi per terra; ma non sendo
arrivati in tempo, diasi in mano al Dator più vicino, ed allora i
Corridori tornino dentro a gli Sconciatori a' lor luoghi ed ufici, senza
perder però l'avvantaggio della piazza già guadagnata.
- Sia
vinta la caccia sempre, che la palla spinta con calcio, o pugno esca di
posta fuora degli ultimi steccati avversarj di fronte.
- Sia
sempre fallo, che la palla sia scagliata, o datole a mano aperta, sì che
ella così percossa s'alzi oltre l'ordinaria statura di un uomo.
- Sia
fallo eziandio, quando la palla resti di posta fuora dell'ultimo steccato
dalla banda della fossa.
- Se
la palla esca di posta fuori dello steccato verso gl'angoli della Fossa,
la linea diagonale della piazza prolungata distinguerà se sia Fallo, o
Caccia.
- Due
falli, in disfavore di chi gli fe', vagliano quanto una caccia.
- Vinta
la caccia, cambisi posto. Alle disfide nel mutar luogo l'Insegna vincente
sia portata per tutto alta, e distesa, la perdente fino a mezzo bassa, e
raccolta.
- Rompendosi
la palla da' Corridori, che fossero stati, nell'atto del darle, già fuora
degli Sconciatori, s'intenda esser mal giuoco, e da' Giudici si determini
ciò, che sia di ragione.
- Nell'interpretare,
ed eseguire i presenti Capitoli, ed in ciò, a che per essi non si provede,
sovrana sia l'autorità de' Giudici, e da loro se ne attenda presta, ed
inappellabil sentenza.
- Vincansi
le deliberazioni fra loro, colla pluralità de' voti.
- Un
giuocatore per parte, e nella disfida Mastro di campo, e non altri,
abbiano autorità di disputare d'avanti a' Giudici tutte le differenze
occorrenti.
- Sia
spirato il termine, e finita la giornata allo sparo, che sarà fatto d'un
mastio subito sentite le 24 dell'oriuol maggiore.
- Sia
la vittoria di quella parte, che avrà più volte guadagnata la caccia, ed
allora le insegne siano dell'Alfiere vincitore: ed in caso di parità
ciascuno riabbia la sua.
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