You&News, 15 dicembre 2012
La strage alla Sandy Hook Elementary
School di Newtown, Connecticut, viene da lontano. E lontano porta la strada
lungo la quale si è compiuta. Ce ne saranno altre, lo sappiamo tutti. Quando si
saranno asciugate le lacrime di Obama e di tutti gli americani che si sono
svegliati con le news di questo nuovo orrore e gli inevitabili rimorsi di una
coscienza troppo spesso frastornata o comunque inascoltata, quando si saranno
spente le eco delle manifestazioni di protesta davanti alla Casa Bianca e agli
altri luoghi del potere americano per chiedere leggi più restrittive sul
possesso e l’uso delle armi, quando i media su cui scriviamo e leggiamo queste riflessioni
a caldo o a freddo saranno carta straccia o bites d’archivio, allora sarà il
momento per nuove lacrime e per nuovi orrori.
La commozione di Barack Obama |
Il male, cari signori, questo
male che ci strazia oggi come in passato, è dentro di noi. E’ dentro la razza umana.
Si può circoscriverlo alle Lobbies venditrici di armi, alla cultura
di frontiera americana, agli stessi Stati Uniti che molti si ostinano
ancora a vedere come Grande Satana dei nostri tempi. Ma in realtà è un male insito
nell’uomo, e cambia solo la forma in cui si manifesta e le sue cause
scatenanti, da una latitudine all’altra, da una cultura all’altra.
All’epoca del precedente più
famoso di questa ultima tragedia a Newtown, il massacro alla Columbine High School
in Colorado, il regista Michael Moore ha descritto bene nel suo film
documentario Bowling a Columbine il malessere specifico che affligge la
società americana. Moore è famoso per le sue posizioni estremamente critiche
verso l’establishment e la cultura ufficiale americani, eppure non ha
avuto esitazioni a propugnare una tesi piuttosto eterodossa rispetto alle
posizioni di quanti in queste ore credono che basti vietare il possesso di armi
e chiedono leggi in tal senso come la panacea di tutti questi mali. Al
contrario, il regista giunge alla conclusione che "non è l'arma in sé a
creare il crimine, ma la paura del crimine stesso che negli Stati Uniti,
attraverso i suoi mezzi d'informazione e l'uso politico delle differenze
sociali, porta chiunque a diffidare del prossimo, trascinando questi contrasti
a forme di difesa personale eccessiva".
In altre parole, c’è qualcosa
che alimenta – nella cultura ufficiale – le turbe psichiche di tanti americani
(anche se non spesso, per fortuna, fino al livello dello sciagurato Adam Lanza
che ha rivolto l’arma contro la propria madre insegnante e poi contro dei
bambini inermi) e che li spinge prima o poi a reazioni eccessive. Contro chi?
Contro altri cittadini come loro, vittime altrettanto inermi dello stesso
sistema.
Le conclusioni di Moore sono
avvalorate dalla sua indagine, che mette a confronto con gli USA il vicino
Canada, dove un background culturale ed una legislazione tutto sommato
abbastanza simili hanno portato comunque nel tempo a risultati assolutamente
diversi, dal momento che simili tragedie a nord dei Grandi laghi non si
verificano.
Michael Moore - Bowling a Columbine |
E allora? Le risposte ormai le
conosciamo da decenni. La frenesia alienante dei ritmi di vita e della ricerca di
un presunto benessere americani (unitamente al rovescio della medaglia rappresentato
dalla crescente insicurezza causata dalle vere o supposte aggressioni da parte
di nemici interni o esterni) sono andate ad innestarsi su un tronco culturale
che è quello impiantato nel continente nordamericano da archetipi quali i Padri
Pellegrini (gente che fuggiva da persecuzioni e orrori senza nome nel
Vecchio Continente) e gli Uomini della Frontiera (gente che per molti
decenni non ebbe altra difesa contro una natura e delle popolazioni ostili se
non le proprie armi e la propria abilità nell’usarle). Fino a tutto il
diciannovesimo secolo, una cultura legalitaria quale la intendiamo noi non si
affermò nel territorio statunitense se non con estrema difficoltà. Finché
appunto ci fu una Frontiera da conquistare, non solo socialmente ed
economicamente, ma anche giuridicamente.
Queste cose le sappiamo tutti,
fino alla noia. Dal John Steinbeck di Furore al Joel Schumacher di Un
giorno di ordinaria follia, sappiamo tutto di quanto possono essere
devastanti certe aberrazioni della cultura americana. E fino alla noia possiamo
riproporre l’eterno dibattito, ideologico anche nell’epoca della fine delle
ideologie: è un male esclusivamente degli ingenui, ipocriti e rozzi americani,
come si legge da più parti in queste ore? O è un male di tutta la razza umana?
Oppure anche noi, in forme più raffinate e soltanto apparentemente meno
ipocrite, siamo capaci di rivoltarci contro noi stessi, i nostri cuccioli, la
nostra dignità umana?
Da queste parti, è molto più
difficile (in apparenza) mettere le mani su un’arma, almeno legalmente. Ancora le
nostre psicosi individuali e/o di massa non ci hanno spinti al procedimento
inverso a quello americano, chiedere cioè a gran voce, pubblicamente ed in
forma organizzata la liberalizzazione delle armi da fuoco. Ciò non significa
che la realtà che sta sotto alle nostre civiltà e cultura apparentemente più
progredite non sia altrettanto a livelli di guardia di quella americana. Basta
girare per le periferie di qualsiasi nostra città medio-grande e parlare con la
gente che ci vive per rendersi conto che a molti piacerebbe l’idea di qualche drugstore
aperto H24 con licenza di vendita di armi da fuoco. Sicuramente per questa
gente sarebbe un’idea più accettabile che non quella di uscire dopo cena a
buttare la spazzatura o portare fuori il cane e trovare, e trovarsi, a dio-solo-sa-cosa.
Per non parlare di altre
amenità. Ci sono regioni italiane in cui il possesso di armi alla luce del sole
e l’uso efferato delle stesse in sparatorie che coinvolgono e uccidono
innocenti anche in tenerissima età sono – in proporzione – all’ordine del
giorno allo stesso modo che nelle metropoli americane. Che Scampia sia un luogo
più sicuro del Bronx o che una scuola elementare di Casal di Principe sia più a
cuor leggero frequentabile di quella di Newtown è tutto da dimostrare. Con
buona pace delle nostre leggi più evolute e della nostra civiltà più raffinata,
noi che invece dei rozzi Padri Pellegrini potremmo vantare ben altri archetipi,
come i filosofi della Magna Grecia, per rimanere alle zone sopra citate.
Ci sono poi intere regioni, la
Toscana per esempio è una di queste, dove per almeno cinque mesi l’anno è
consentito a chiunque dietro pagamento di una apposita tassa (e nessun altro
esame attitudinale) di girare armati pressoché dovunque, comprese le proprietà
private altrui, e sparare a tutto ciò che si muove. Queste persone si chiamano cacciatori,
termine anche nobile nel nostro glossario. In realtà sono persone con licenza
indiscriminata di uccidere, erga omnes. Dal gatto di casa vostra a propri
parenti e consanguinei, a estranei, voi stessi compresi se andate a fare una
passeggiata nel bosco sbagliato nei giorni sbagliati.
Cacciatori italiani |
C’è un ordinamento giuridico
che, a chiacchiere, funziona molto meglio di quello americano, o almeno di ciò
ci vantiamo. Di fatto, se stermini la tua famiglia in modo efferato te la cavi
con tre-quattro anni di galera, ti fai un sacco di pen-pal e alla fine
ti affidano al servizio sociale, e se sei fortunato anche ai talk-show.
Se sei uno psicopatico che minaccia di morte la ex-compagna hai buone
probabilità che il Gip a cui sei stato segnalato ritenga la tua pratica
infondata (del resto, cosa si vuole, ne arrivano talmente tante sul suo
tavolo!). Se poi guidi senza patente, ubriaco e ammazzi qualcuno sulle strisce,
ci sono buone probabilità che ti venga data una seconda chance. Di riprovarci,
sì, e se la prima volta non hai fatto strike,
ritenta, sempre sulle strisce ovviamente, e forse sarai più fortunato.
Chissà dove ambienterebbe il
suo Bowling Michael Moore, se fosse un regista italiano. Non certo a
Columbine, ma le location qui si sprecano. Chissà chi è andato a fare più
danni, storicamente parlando, se i Padri Pellegrini che sbarcarono a Newport,
Rhode Island, o tutti i sepolcri imbiancati che rimasero in Europa a far finta
che tutto andasse bene. E tutti in nome di Dio e della propria superiorità
culturale sugli altri.
Le marce di protesta si fanno
sempre bene a casa degli altri. A casa propria, mai.
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