Nel manuale del gioco del calcio
ad uso delle scuole dovrebbero inserire un apposito capitolo denominato tecnica
di gestione della seconda partita. Nei tornei all’italiana, il problema è
tutto lì. Lo sa bene il professore emerito Arrigo Sacchi, che nel
1996 vinse la prima partita con la Russia a Euro England e poi andò sotto alla
seconda con la Rep. Ceca, compromettendo tutto con un turnover di mezza
squadra. Lo sa bene anche il professor Prandelli, che era riuscito
in Brasile a mettere la testa avanti all’Inghilterra e poi finì a sbatterla sui
marcantoni del Costarica. Trapattoni si fece sorprendere dalla
Croazia in Corea e dalla Svezia in Portogallo. L’elenco volendo sarebbe ancora
più lungo.
La seconda partita è sempre
delicata, a prescindere da com’è finita la prima. Antonio Conte sapeva
e sa di avere per le mani una squadra di ragazzi in crescita, volenterosi (per
forza di cose, altrimenti li sbrana) e dal tasso tecnico tutto sommato
inferiore a pochi in questo campionato europeo. Come per tutte le squadre di
ragazzi, la risorsa più difficile da gestire è quella psicologica. Per nove
undicesimi contro il Belgio gli azzurri hanno mostrato buona condizione fisica
(esaltante nel caso di Giaccherini) ed entusiasmo. Il contraccolpo
però è sempre in agguato. Conte a fine partita dirà di aver visto i suoi
ragazzi ansiosi. E l’ansia ai ragazzi gioca sempre brutti scherzi.
All’Italia capolista, purtroppo,
basta anche un punto per avvicinarsi considerevolmente agli ottavi di finale.
Il purtroppo è d’obbligo, perché la Nazionale gioca con il freno
a mano tirato. Non è il caso di dire che fa calcoli, ma lo spirito non è
leggero come nella precedente uscita. A complicare tutto, il destino mette
davanti un cliente tra i peggiori di questo Europeo. Una vecchia conoscenza con
cui abbiamo più di un conto in sospeso.
Era il 19 giugno 2004 a Oporto,
quando gli azzurri scesero in campo contro la Svezia in cui militava già un
certo Zlatan Ibrahimovic, campione slavo naturalizzato scandinavo
destinato a grandi cose anche nel nostro campionato, dopo aver pareggiato la
prima malamente con la Danimarca e perso Totti per squalifica
dopo lo sputo di reazione a Poulsen. Cassano sostituì
egregiamente il numero dieci romanista segnando anche il gol del vantaggio, ma
a cinque minuti dalla fine un tacco-carambola incredibile proprio di Ibra andò
a uccellare Buffon e a ridurre al lumicino i sogni di
sopravvivenza azzurri. Cosa successe dopo è storia arcinota. A Svezia e
Danimarca bastava un pareggio per 2-2 per far fuori l’Italia e rendere inutile
la vittoria nella terza ed ultima partita con la Bulgaria. Si chiamava biscotto in
lingua scandinava, e biscotto fu.
Brutti ricordi, pessimi
precedenti. Nessuno degli azzurri di oggi era in campo a Oporto, ma i tifosi
sugli spalti avevano buona memoria, tanto da esporre uno striscione
significativo: 2-2? NO GRAZIE. C’era un conto in sospeso mica da
poco da saldare. E forse non era la giornata adatta per farlo. Alla Svezia del
prode Ibra, dopo il risicato pareggio con l’Irlanda, serviva la
vittoria a tutti i costi per non trovarsi come l’Italia dodici anni fa.
Antonio Conte non è uomo da far
calcoli, l’abbiamo già scritto. Né da accettare l’atteggiamento dei suoi, così
ansioso e preoccupato da non far indovinare loro due passaggi di fila in tutto
il primo tempo. Non ha vendette sportive da consumare, ma solo da mandare in
archivio questo Europeo con il miglior risultato possibile, per non restare
nell’albo d’oro della Nazionale da sconfitto, come purtroppo tanti suoi anche
illustri predecessori.
Eppure, nel primo tempo deve
assistere ad una partita da spareggio salvezza di Lega Pro. I
ragazzi non ne beccano una, in campo il timore è una coltre spessa che si
taglia con il coltello. Dall’altra parte c’è una Svezia di marcantoni che
sembra il Costarica, ma che tecnicamente è Ibrahimovic e poco altro. Non riesce
mai ad impensierirci, nemmeno in via ipotetica, ma nessuno con la maglia
azzurra se ne rende conto, e piuttosto preferisce non rischiare.
Rispetto al Belgio, Conte
inserisce il folletto Florenzi al posto dello spento Darmian.
L’Alessandro romanista cerca di ripagarlo facendo quello che fa nella Roma.
Peccato che la sua fascia sia quell’altra e non la sinistra dove deve sempre
aggiustarsi il pallone cambiando piede, al termine delle sue discese.
Sull’altra c’è il laziale Candreva, che deve aver vissuto una
stagione sfibrante, poiché si è presentato a questo Europeo in condizione
assolutamente irriconoscibile e inaccettable. Ma l’Antonio laziale ha un peso
tale nell’economia del gioco italiano che gliene basta una di occasioni per far
male. Col Belgio e anche con la Svezia colpisce alla fine di una partita
inguardabile, mettendoci il suggello: assist per Pellé tre
giorni fa, sassata che costringe il portiere svedese Isaksson a
una prodezza per sventare il raddoppio azzurro quest’oggi.
Per questo motivo Conte lo tiene
in campo fino alla fine, preferendo alternare a un Pellé non più colpevole di
altri uno Zaza che scalpita in panchina e che però una volta
in campo riesce a combinare poco più del collega. In mezzo alla difesa della
squadra più alta e robusta del torneo, lo juventino ha la stessa vita dura del
funambolo Eder.
Dall’altra parte un solo brivido,
un liscio sottoporta di Ibrahimovic che poi si scopre essere in fuorigioco. La
Svezia non fa nulla, limitandosi a pressare gli azzurri a centrocampo con la
superiore prestanza fisica, più che tecnica. Sembra anche oggi che l’Italia
giochi la copia (stavolta brutta) della partita giocata dalla Germania la sera
prima, in fondo con il passare del tempo ritrovarsi a quattro punti e lasciare
stavolta gli svedesi a zuppare biscotti nel lingonberry dell’IKEA
non è così male.
La partita è bloccata e non la
può sbloccare il subentrante Thiago Motta, messo più che altro per
evitare ad un De Rossi in debito d’ossigeno la seconda
ammonizione. Né Sturaro, che rileva uno stremato Florenzi. Perché succeda
qualcosa che cambi il risultato ci vuole una prodezza individuale. Non può
farla Ibrahimovic, sempre più arretrato in campo a sfuggire dalla maglia di
ferro del trio Bonucci, Barzagli, Chiellini.
Non può farla Parolo, che fa già tanto a inserirsi alla Mustafi e
mandare sulla traversa un cross al millimetro di Euro-Giaccherini.
No, ci vuole qualcos’altro.
Qualcun altro, magari uno di quei personaggi da epica del calcio che
costellavano le partite d’altri tempi. Quando sfruttando una sponda di Zaza
parte Eder a saltare svedesi come birilli al limite della loro area, la sensazione
è che qualcosa stia per succedere. L’attaccante interista ha avuto una annata
tra le più complicate possibili. E’ stata una scommessa quella di Conte di
volerlo portare qui in terra di Francia. Una di quelle che a vincerle cambiano
il destino di una squadra, la classica fortuna che aiuta gli audaci.
Quando parte il tiro ad effetto
di Eder, la sensazione è che quel gol l’abbiamo già visto. Era un altro 19
giugno, ma del 1990. Roberto Baggio era appena entrato nella
Nazionale delle notti magiche, che stava soffrendo contro la
Cecoslovacchia. Era la terza partita, che serviva per vincere il girone e
restare a giocare a Roma. Roberto partì da più indietro. Ma alla fine lo
spettacolo fu lo stesso. Ed anche la gioia.
Vince alla fine l’Italia una partita
che prima della prodezza di Eder non aveva fatto nulla per vincere, al pari
della Svezia. Quando si vincono partite così, è segno che il vento non soffia
contro e che la rotta intrapresa può portare lontano. Ma Conte è il primo a
restare dentro la misura nelle dichiarazioni del dopo-partita. Bravi i ragazzi
a superare la propria ansia. Avanti così. Dimenticate tutte le sfuriate di
novanta minuti di panchina. E soprattutto, gioia scatenata al gol di Eder senza
stavolta rimetterci il naso, ed è un buon segno anche questo.
Avanti così. L’Italia è negli
ottavi di Euro2016 con la stessa lode o infamia di una Francia
o di una Germania. Stasera gioca la Spagna, da quel girone dovrebbe uscire la
nostra prossima avversaria, dopo la formalità Irlanda. Alla Svezia il compito
di fare un miracolo contro il Belgio. O di restare a guardare il resto di
questo torneo alla televisione, zuppando lei questa volta i biscotti nel lingonberry.
Che, a pensarci bene, non dovrebbe essere un gran che, come sapore.
Nessun commento:
Posta un commento