Esce insieme al Giornale di Alessandro
Sallusti il primo volume della Storia del Terzo Reich di William
Shirer. Un’opera fondamentale per lo studio del Nazismo. Per
chi non lo sapesse, il giornalista americano, corrispondente del Chicago
Tribune e del network radiofonico Columbia
Broadcasting System (C.B.S.), fu l’ultimo corrispondente
occidentale a lasciare Berlino nel 1940 dopo aver raccontato la crisi
dell’Europa sotto il tallone di ferro nazista, dall’anschluss austriaco
fino alla caduta della Francia, al principio della seconda guerra mondiale. Il
suo Diario di Berlino è a tutt’oggi l’opera imprescindibile
per lo studio degli anni terribili della svastica sull’Europa.
Fin qui, tutto bene. Ma il genio giornalistico di Alessandro Sallusti,
degno erede in questo senso di quel Indro Montanelli storico
fondatore del Giornale che oggi lui dirige, non si ferma qui,
ed alla pubblicazione dei diari di Shirer associa un’altra operazione
clamorosa, anche se altrettanto imprescindibile per chi si accinge a coltivare
studi storici. Con il Giornale di oggi in edicola c’è
nientemeno che Mein Kampf, La mia battaglia, scritto
nel 1925 da un ex caporale dell’esercito Austro-Ungarico poi trasferitosi in
Germania dopo la sconfitta nella Prima Guerra Mondiale e determinato a fare del
nuovo paese adottivo lo strumento della rivincita. Adolf Hitler,
fondatore del Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei, il Partito
Nazista tedesco che otto anni dopo avrebbe conquistato la Germania e
due anni dopo ancora sarebbe andato vicino a conquistare il mondo.
Apriti cielo. Ha un bel mettere le mani avanti lo stesso Sallusti: «La
sola notizia di questa pubblicazione ha già suscitato polemiche, la maggior
parte delle quali legittime e comprensibili, e le preoccupazioni degli amici
della comunità ebraica italiana, che ci ha sempre visto e sempre ci vedrà al
suo fianco, senza se e senza ma, meritano tutto il nostro rispetto. Escludo
però che ad alcuno possa anche solo sfiorare l’idea che si tratti di
un’operazione apologetica o anche solo furba. Non si gioca su una simile
tragedia. Semmai il contrario. Perché, con certi venticelli che soffiano qua e
là per l’Europa e in Medioriente, serve capire dove si può annidare il male e
non ripetere un errore fatale».
L’ambasciata di Israele a Roma si era già fatta
sentire, e non le aveva mandate a dire, definendo l’operazione del Giornale «un
fatto squallido, lontano anni luce da qualsiasi logica di studio e
approfondimento della Shoah (…) è indecente, e bisogna
soprattutto che a dirlo sia chi è chiamato a vigilare e a intervenire sul
comportamento deontologico dei giornalisti». Dopo l’invocazione neanche tanto
velata all’intervento di una censura che cozza evidentemente con l’intento
antinazista dichiarato della nota dell’ambasciata, arriva il Centro
Wiesenthal di Gerusalemme a rincarare la dose:
«L’operazione di smerciare in edicola e di disseminare nelle case di milioni di
italiani disinformati, impreparati e inconsapevoli migliaia di copie del Mein
Kampf non è solo una azione becera e volgare. Rappresenta anche un
gesto cinico e irresponsabile».
Siccome viviamo in un’epoca di grandi cambiamenti e di manifestazioni
di fenomeni prodigiosi (in altre epoche nemmeno concepibili), le autorità
israeliane si ritrovano come improbabile ma convinta alleata quella sinistra ufficiale italiana
da cui sono sempre state viste come il fumo negli occhi. Da Erri De
Luca, «atti osceni in luogo pubblico», a Stefano Fassina,
«promuovere la lettura del Mein Kampf è grave», a Paolo
Ferrero (PRC), «scelta vergognosa perché rappresenta il negazionismo di
chi nega appunto l’unicità del male assoluto del nazismo e dell’Olocausto, le
parole del direttore Sallusti, che dice che pubblicherebbe anche il Libretto
rosso di Mao, non fanno che dimostrare ed aggravare questa
tesi», ai partigiani dell’Anpi, «sbigottiti ed indignati».
Il campionario delle critiche, o per meglio dire delle contumelie, o
come verrebbe voglia di definirle semplicemente delle sciocchezze è – come si
vede – variegato e variopinto. Con il dovuto rispetto per i superstiti dell’Anpi,
gli unici forse a cui il coraggio dimostrato a suo tempo consente adesso di
parlare con qualche cognizione di causa (malgrado il vizio inquinante
dell’egemonia culturale e politica che tra di essi ha sempre avuto l’ideologia
comunista e post-comunista) forse converrebbe stendere un velo pietoso sulle
argomentazioni di questo fronte popolare di ultima generazione che va dai
seguaci ortodossi della Torah (che si sentono tra l’altro
culturalmente superiori ai nostri connazionali disinformati, impreparati e inconsapevoli,
e non ne fanno mistero) ai post comunisti. E su tutto lo sciocchezzario che
stamani affolla i social network ad opera di blogger nel
frattempo assurti ad opinion leaders di un cyberpopolo che
si sente depositario di verità a maneggiare le quali nessuno l’ha –in questo caso
veramente - preparato, fin dai tempi della scuola elementare.
Ci limitiamo a ricordare che chi ha preteso nella storia di orientare
le coscienze verso gli opportuni strumenti di studio e le opportune
sedi, ha sempre fatto dei gran disastri. Proprio come l’autore del libro
che stamattina il Giornale ha reso disponibile. Dopo
settant’anni di cancellazione, ufficialmente dovuti ai diritti d’autore che il Land bavarese
avrebbe ereditato per legge dallo scomparso Adolf Hitler, e che sono appunto
scaduti il 31.12.2015. Più facilmente dovuti all’atteggiamento di ipocrita
rimozione che non solo in Germania le intellighenzie dominanti
hanno sempre avuto nel dopoguerra.
Alla Comunità Ebraica italiana e mondiale bisognerebbe che qualcuno
ricordasse che gli italiani degli anni 40 del secolo scorso, forse ancor più
per forza di cose disinformati, impreparati e inconsapevoli di
quegli attuali, avevano istintivamente scelto da che parte stare mettendo in
salvo un numero incalcolabile di membri del popolo ebraico perseguitato
ferocemente dai Nazisti. Che si fidassero quindi un po’ di più di cosa circola,
di solito, nelle case degli italiani.
Bisognerebbe inoltre che qualcuno spiegasse sempre alla stessa
Comunità che se passa la logica delle opportune sedi, c’è il
rischio che qualcuno – di loro, in primis - prima o dopo torni a farsi male. Se
avesse vinto l’autore del Mein Kampf, in questi ultimi decenni le opportune
sedi sarebbero state posti tipo Wansee, dove il mondo si
stava organizzando per far sparire completamente qualsiasi traccia di ebraismo.
Quanto agli opportuni strumenti, sono ancora ben visibili in
località tipo Auschwitz –Birkenau.
Non è passato molto tempo da quando qui in Italia la Chiesa Cattolica
teneva un Indice dei libri (e delle opere d’arte in generale,
film compresi) che secondo la dottrina ortodossa non era permesso leggere. E
siccome all’epoca lo Stato italiano era poco più del braccio secolare di quella
Chiesa, quei libri erano di fatto introvabili, o non leggibili in pubblico. A
quei tempi, perfino un libro come Il Conte di Montecristo era
bandito, in quanto apologetico del sentimento di vendetta (!).
Le Chiese e le religioni organizzate, così come certi grandi
movimenti politici finiscono sempre per trovare il loro limite, se non
il lago putrido in cui annegare, nel ridicolo di cui sono intrise molte delle
loro proposizioni dogmatiche. Ma per arrivare a quel mondo di cui cantava John
Lennon servono tempi lunghi, e nel frattempo chissà quante altre
vittime dell’ortodossia. Nel frattempo, non c’è modo migliore per spingere un
giovane che si affaccia adesso al mondo degli adulti consapevoli, informati e preparati a
leggere avidamente un testo abominevole come il Mein Kampf che
proibirglielo. Il modo migliore perché arrivi addirittura a piacergli, e a
desiderare di aggiungervi nuovi, efferati, capitoli.
Dio ci conservi in salute Alessandro Sallusti.
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