Ventesimo secolo. Quello che
Hobsbawm definì il secolo breve,
perché cominciato in ritardo e soltanto grazie ai colpi sparati a Sarajevo da
Gavrilo Princip contro l’arciduca austriaco Francesco Ferdinando, e perché finito
in anticipo grazie al crollo di un muro, quello di Berlino, che aveva finito
per simboleggiare, incarnare tutte le ideologie più o meno sballate ed
illusorie che nel corso dello stesso secolo avevano preso il posto dei grandi
imperi.
Se sono molti, e saranno sempre
di più, gli storici che tentano di spiegarne gli avvenimenti, le immani
tragedie e le passioni che li causarono, finora era mancato un narratore che
sapesse rappresentarli all’immaginario collettivo come in una serie di
affreschi degni di un Leonardo da Vinci o di un Michelangelo Buonarroti, come
nello scorrere impetuoso di quel fiume epico romanzesco di cui aveva già
beneficiato l’Ottocento, grazie a maestri come Riccardo Bacchelli o Lev
Tolstoji.
Ken Follett si avvia a diventare
il più grande scrittore di romanzi storici del nostro tempo. In letteratura,
nell’arte in genere, certe consacrazioni arrivano in genere quando la vita
degli autori si è ormai consumata, la gloria è quasi sempre postuma, tardiva.
Per lo scrittore gallese sembra proprio che le Muse faranno un’eccezione, tributandogli
in vita quello che gli spetta.
Dai tempi del suo primo travolgente
successo mondiale, quella Cruna dell’ago
che nel 1978 lo impose come maestro ineguagliato della fiction letteraria di
ambientazione storica, Ken Follett ha conosciuto un successo sempre crescente.
Dall’Inghilterra impegnata nella Seconda Guerra Mondiale e nella difesa dei
segreti dello Sbarco in Normandia dalla spia tedesca denominata Die Nadel, l’Ago, lo scrittore di
Cardiff ha saputo spaziare in tutte le stagioni e le epoche della storia inglese,
americana e non solo, con impareggiabile bravura.
Ad oggi si può dire senza tema di
smentita che soltanto Umberto Eco con Il
nome della Rosa ha saputo stargli a pari, affrescando la sua biblioteca con
la stessa vivida immaginazione ed efficacia narrativa con cui nel Galles
Follett edificava mattone dopo mattone le sue cattedrali o raccontava sogni e
imprese del più famoso eroe della storia anglosassone di ogni tempo: l’uomo
comune.
Ken Follett, all’età di sessant’anni,
era pronto ormai per la grande impresa, più o meno come il Ventesimo secolo era
pronto per essere raccontato così come si era svolto, con classe narrativa pari
all’obbiettività. Da sempre vicino al Labour
Party, Ken Follett come ogni altro connazionale ha vissuto il passaggio
dalla Gran Bretagna imperiale all’Inghilterra del Welfare State. La sua visione progressiva e progressista della
storia, non solo del suo paese ma dell’Europa e del mondo, si riflette in
questa narrazione che comincia il giorno in cui, nel lontano 1911, Re Giorgio
V, l’ultimo monarca inglese dell’epoca imperiale, sale al trono, mentre nello
stesso momento in quel Galles in cui lo stesso autore un giorno avrebbe mosso i
primi passi il capostipite di una delle famiglie la cui storia attraverserà
tutta la Trilogia scende per la prima volta in miniera, quasi ancora bambino,
come molti suoi connazionali e coetanei dell’epoca.
Prende il via così la Century Trilogy, quando i Giganti sono
ormai sull’orlo della caduta, spazzati via dalla Prima Guerra Mondiale le cui vicende
occupano gran parte del primo dei tre volumi di questa epopea. Mentre il
piccolo Billy Williams scende nella miniera gallese, i fratelli Grigorji e Lev
peskov vivono il dramma dei contadini poveri costretti a cercare fortuna a San
Pietroburgo nella Russia agli ultimi giorni della dominazione zarista. Uno
finirà tra coloro che prendono d’assalto il Palazzo d’Inverno, dando il va alla
Rivoluzione d’Ottobre. L’altro emigrerà in America per sfuggire alla polizia
segreta, dando il via ad una nuova e variegata dinastia di self made men
statunitensi.
Sul continente, si consuma
intanto il dramma della borghesia tedesca e austriaca dei Von Ulrich, illusi
che i rispettivi imperi possano evolvere verso un progresso sociale venato di
socialdemocrazia. Negli stati Uniti, i democratici progressisti Dewar vivono l’illusione
parallela di Woodrow Wilson a proposito della “guerra che pone fine alle guerre”
e della Società delle Nazioni che governerà e comporrà ogni conflitto futuro.
Queste famiglie vivranno le loro
vicende drammatiche fino alla fine del secolo e della narrazione. Attraverso le
vicissitudini di tutti i discendenti, Ken Follett ci porta a rivivere momenti
terribili e altri leggendari di quell’epopea insieme affascinante ed
agghiacciante che è stata la storia d’Europa e del mondo negli ultimi cento
anni. Il mondo uscito da quello che sembrava un inverno senza fine e
soprattutto senza domani vive alla fine i suoi giorni dell’eternità, quando a partire
da U.S.A. e Gran Bretagna le idee progressiste estendono finalmente la libertà
effettiva anche alle classi ed alle etnie più povere ed emarginate.
La Russia vede consumarsi la
parabola del Comunismo e dell’Unione Sovietica, fino al momento in cui un
leader più illuminato di altri, Michail Gorbachev, comprende che l’unico modo
per essere degni della Rivoluzione d’Ottobre è quello di compierne un’altra,
dando il via a glasnost e perestrojika. Nel giro di pochi anni,
accade un evento senza precedenti nella storia: quello della caduta di un
regime, di un impero, di un sistema come quello sovietico senza quasi
spargimento di sangue, senza una guerra o una rivoluzione inevitabilmente
terribili nelle conseguenze e nel conto delle vittime.
Allo stesso modo la Germania,
condannata a vivere divisa, sotto tutela, militarmente occupata, dagli effetti
della follia hitleriana e dalla conseguente sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale
(ancora più devastante della Prima), si ritrova nel giro di una notte a vivere
quello che sembrava ormai diventato un sogno proibito per l’eternità: il crollo
del muro e la possibilità di tornare un paese libero, unito, civile.
La narrazione di Follett
raggiunge, se possibile, – dopo una cavalcata di tremila pagine e di tanti
eventi e figure pubblici e privati – il culmine proprio nel momento in cui le
autorità che gestiscono il Checkpoint
Charlie, l’unico posto da cui era
possibile passare dalla Germania Est a quella Ovest sotto il controllo degli
eserciti occupanti, decidono come per incanto di aprire i cancelli. La gente
accalcata da ambo le parti del muro eretto 28 anni prima, le molte famiglie
separate da questo muro e dai drammi consumatisi lungo di esso, si ritrovano
sospinti dalla marea montante della storia, dall’euforia del momento e di
quello che pare un miracolo gli uni nelle braccia degli altri.
Le famiglie si ricompongono,
Carla Von Ulrich, una delle ultime protagoniste sopravvissute della Trilogia,
ha appena il tempo di sospirare pensando a tutto quello che ha dovuto
sopportare per arrivare a quel momento. Alla storia pubblica e privata che si è
appena conclusa in apoteosi: “siamo ancora qui, dopo tutto quello che è
successo”. Grazie a Ken Follett, la commozione dei personaggi abbracciati sotto
il Muro che crolla è la stessa dei lettori che l’hanno seguito nella cavalcata
fino a questo epilogo. E’ la stessa di tutti coloro che hanno vissuto quel
momento reale, il 9 novembre 1989, quando all’improvviso nella notte l’incubo,
l’inverno del mondo finì. E per una breve stagione il mondo stesso poté
illudersi che tutti gli incubi fossero finalmente finiti.
La storia ha un epilogo
altrettanto commovente. Quasi vent’anni dopo, nel 2008, siamo all’ultima pagina
con George Jakes, il colored erede di
quell’emigrato russo Lev Peskov la cui famiglia ha riassunto nel suo seno il melting pot americano come forse nessun’altra.
O come forse tutte le altre. Il deputato Jakes, passato dall’infanzia nei
bassifondi di Washington ai banchi del Congresso attraverso l’Alabama dei
segregazionisti e le marce di Martin Luther King, piange davanti alla
televisione mentre ascolta il discorso con cui Barack Obama proclama la propria
vittoria, primo nero ad essere eletto alla Casa Bianca.
Piange George Jakes al pensiero
di tutta la lunga strada fatta da lui, dal suo paese, dal mondo intero per
arrivare a quella notte. E chiude la gola per la commozione una volta di più, l’ultima,
ai lettori che l’hanno seguito nella cavalcata della Century Trilogy. Così come
hanno seguito il Ventesimo secolo attraverso tutta la sua incredibile,
impareggiabile storia. Attraverso i giorni
dell’eternità.
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