I soldi non fanno la felicità. E
soprattutto non vanno in campo a giocare a pallone. Almeno non direttamente. La
prima Fiorentina del dopo – Cuadrado arriva a Marassi con la testa frastornata
da tutto ciò che è successo in settimana, sgombra di quello che servirebbe ad
affrontare il Genoa nel migliore dei modi. Di fronte ad un avversario
avvelenato dai torti arbitrali veri o presunti subiti, teoricamente anche un
avversario diretto per la corsa alla qualificazione alle coppe europee, la
squadra di Montella dimostra di avere lasciato a Firenze concentrazione mentale
e disposizione tattica necessarie ad evitare che i rossoblu la mettano sotto
per almeno un tempo.
A Firenze sono rimasti anche i 31
o 33 milioni incassati dalla cessione del campione colombiano al Chelsea, nelle
capaci mani del ragionier Cognigni che non li lascerà andare tanto presto e
tanto facilmente. Il risultato è che l’importanza del numero 11 appare più
chiara che mai proprio ora che quella maglia in campo non c’è più. Nessuno si
porta via due difensori per volta creando spazi in attacco, nessuno aiuta il
povero Diamanti a spartirsi le pedate avversarie nelle caviglie, nessuno dà una
mano a Joaquin e Vargas a saltare l’uomo in una difesa come quella dei grifoni
che pure non appare irresistibile.
Tra infortuni e squalifiche,
Vincenzo Montella mette in campo i residui di un centrocampo che eccelleva per
il possesso palla (confermato non più tardi di una settimana fa al cospetto
nientemeno che di un’avversaria di rango come la Roma) e che oggi invece viene
saltato dalle sciabolate rossoblu come una fila di birilli del bowling. Mati
Fernandez e Borja Valero cominciano in formato funambolico anche oggi, ma ben
presto rivelano la loro consistenza fisica ridotta al cospetto dei rocciosi e
indiavolati dirimpettai genovesi. Badelj non è mai stato un fulmine di guerra,
e la difesa se presa d’infilata si è fatta sovente trovare fuori posizione. Oggi
tutti questi difetti saltano agli occhi in maniera eclatante, non appena il Genoa,
superato un breve momento iniziale di presa di coscienza di sé e dell’avversario,
comincia ad azzannare erba, pallone ed avversario.
Nei primissimi minuti Joaquin e
Diamanti illudono di poter disporre della retroguardia rossoblu come credono,
presentandosi davanti a quel Mattia Perin che i tifosi viola hanno imparato a
maledire da alcune stagioni, e che non si smentisce neanche oggi. Ma è un fuoco
di paglia, il gioco si rovescia ben presto, con gli avanti rossoblu Falque, Perotti
e Nyang che sembrano altrettante ire di Dio incontenibili. Mettere insieme due
passaggi di fila per gli orfani di Cuadrado appare un’impresa. Che diventa
insormontabile dopo un quarto d’ora del primo tempo quando Nyang se ne va sulla
fascia sinistra a Vargas e mette in mezzo.
Il francese colored del genoa fa
impressione, anche perché assomiglia in certe sue discese a qualcuno che i
supporters viola d’ora in avanti possono solo rimpiangere. Non ha le treccine l’ex
milanista ma il suo scatto micidiale in certi momenti sembra proprio quello di
Juan Guillermo Cuadrado, solo che gioca dall’altra parte. E al 14’ il pallone
che offre a Sturaro, lasciato solo dalla parte opposta da Tomovic, è un rigore
a porta vuota. Il laterale genoano ci grazierebbe anche, ciabattando
clamorosamente sul palo opposto. Peccato che sul rimpallo Tatarusanu si trovi
in traiettoria facendo carambolare il pallone in rete.
Per i viola il resto del tempo è
un Fort Apache, e il portiere rumeno si riscatta abbondantemente salvando la
porta in almeno un paio di clamorose occasioni, che fanno il paio con altre due
nei minuti finali della ripresa. Norberto Neto è lontano ormai, così come
Cuadrado (che ha già diffuso sul web nel frattempo le sue foto con la maglia
del Chelsea), e per la Fiorentina comunque è notte fonda.
Sembra profilarsi un’altra Parma
per la squadra che pochi giorni fa aveva messo alle corde la Roma. E’ una
giornata assurda del resto non solo per i viola, alla mezz’ora accade un fatto
inconsueto che sembra aumentare i segni infausti del destino. L’arbitro Nicola
Rizzoli, che fino a quel momento aveva diretto abbastanza bene la spinosa gara
tra un Genoa che ha passato l’ultima settimana a lamentarsi con il mondo intero
ed una Fiorentina che il suo presidente Preziosi vorrebbe sempre sua vittima
sacrificale (per i noti motivi risalenti all’estate del 2002), si procura una
contrattura ad un polpaccio ed è costretto a lasciare il fischietto al quarto
uomo Marco Di Bello, che per il resto del match durerà molta fatica a mostrarsi
all’altezza del più famoso collega.
Diamanti, per esempio, viene
massacrato dai marcatori genoani senza che Di Bello il più delle volte fischi
neanche il fallo, mentre è pronto ad ammonire Borja Valero per un semplice
fallo di ostruzione. Non pare giornata neanche per lui.
La Fiorentina dei primi cinquanta
minuti è talmente brutta da non poter essere vera. Se ne rende conto anche la
sorte, che alla fine le concede un’occasione forse fino a quel momento
immeritata. Mati Fernandez arriva sulla tre quarti finalmente smarcato e con la
palla sul piede giusto per un cross dei suoi, Babacar sul filo del fuori gioco
prolunga per Gonzalo Rodriguez che da due passi fulmina di testa la Nemesi
Perin.
Il Genoa accusa il contraccolpo e
comincia a perdere metri e contrasti. Peccato che i viola sul campo o non hanno
la cattiveria giusta o non hanno più il fiato. Diamanti deve uscire a corto di fiato
(e di caviglie sane) e Montella non trova di meglio in panchina che un
inguardabile Kurtic. Risultato, il Genoa
si riprende qualche metro e qualche contrasto e torna a rendersi pericoloso
quanto e forse più della Fiorentina.
Montella rischia Gilardino per un
Babacar che ha sprecato malamente la sua occasione da titolare fin dall’inizio.
Il senegalese appare quasi svogliato, nervoso e comunque sempre in ritardo, sempre
dietro il marcatore che lo anticipa su ogni assist dei compagni. Il corrucciato
Gomez rimane in panchina, il figliol prodigo ex campione del mondo 2006 invece
schizza in campo a far vedere fin da subito la differenza tra un bomber di
razza e uno che forse lo potrà diventare, ma certo non applicandosi così poco e
male. Nel quarto d’ora che sta in campo Gilardino fa vedere le streghe all’intera
difesa genoana. Perin deve fare gli straordinari su di lui oltre che su un
Joaquin ringiovanito e rinfrancato.
Il terzo cambio è obbligato da un
risentimento muscolare del goleador Gonzalo, che lascia il posto ad un Richards
capace nei minuti finali di non farlo rimpiangere, né in difesa e né in
attacco. Negli ultimi minuti, che i padroni di casa giocano in dieci per l’espulsione
di Burdisso a causa di un fallo plateale su contropiede di Mati Fernandez,
entrambe le squadre potrebbero far proprio il match e i due portieri si
superano. Anche se è proprio la Fiorentina a quel punto ad avere il predominio
territoriale e a dare l’impressione di buttare via una partita che per come si
è messa non potrebbe e non dovrebbe sfuggire dalle mani di una squadra che ha
le sue ambizioni.
Finisce con due squadre stremate
e scontente, mentre Preziosi se n’è andato da tempo per protesta contro il
pareggio viola, a suo dire l’ennesima ingiustizia subita dalla sua squadra.
Dove sia Della Valle invece stasera non è dato saperlo. Chissà se ha assistito
di persona, almeno alla televisione, allo spettacolo della sua squadra, la
Fiorentina salvata dagli estri di giocatori ultratrentenni a cui presto
verosimilmente occorrerà trovare ricambi che consentano loro di rifiatare.
Parafrasando una vecchia
pubblicità, un Diamanti non è per sempre. Oggi a Marassi è andata bene. Poteva
andare anche meglio. Il gioco sarà sempre più duro e senza la Vespa il rischio
di ritrovarsi a piedi è fortissimo. Il calciomercato chiude lunedi. E i soldi,
da soli, perfino il ragionier Cognigni sa – o dovrebbe sapere – che non fanno
la felicità. Uno che la butti dentro più spesso magari invece sì.
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