Siamo tutti Charlie Hebdo. Da ieri la Francia piange un’altra notte
delle matite spezzate. Anzi, stavolta le matite dell’intera redazione del
settimanale satirico più famoso di Francia (e da ieri, purtroppo, del mondo
intero) sono state spezzate in pieno giorno, mentre la redazione stessa era
riunita per mettere a punto l’uscita del prossimo numero, quello che – se mai verrà
pubblicato – diventerà un numero storico, di quelli che vanno a ruba. L’ultimo,
macchiato del sangue dei suoi autori e di quello di due poliziotti della Gendarmerie, uno dei quali freddato in
mondovisione con un colpo alla testa degno di quel terrorismo DOC che
conosciamo bene.
Piange la Francia, e farebbe bene
a piangere con lei tutta l’Europa. Che si è invece fermata attonita, quasi
attendendo la reazione di Parigi, come mille altre volte. Nel frattempo, sui
social network dove ormai viviamo la nostra vita virtuale scambiandola per
quella reale, siamo tutti Charlie. Tutti in difesa di una libertà di stampa,
anzi di una libertà tout court, che
in realtà è un valore che nessuno apprezza più. Basta vedere come ci avventiamo
alla gola di chiunque non la pensi come noi, anche in queste ore così concitate
e angosciate. Anzi, ora più che mai.
Mentre Parigi scende in piazza e
la Gendarmerie continua la sua
gigantesca caccia all’uomo (gli assassini sono già stati identificati, sono due
franco-algerini, bella beffa per il paese che prima di tutti gli altri in
Europa aveva tentato per primo l’esperimento dell’integrazione, estendendo la
cittadinanza agli abitanti dell’ex-colonia diventata territorio metropolitano
prima dell’indipendenza), le nostre vite, virtuali o reali che siano, sono
scosse da un vento freddo che si insinua nelle nostre vesti e nelle nostre
certezze, che spira da luoghi lontani e che porta con se refoli di un qualcosa
a cui non siamo più abituati, anche se in realtà è da tempo che l’aria che
respiriamo ne è pervasa. Venti di guerra.
Aux armes citoyens, recita la Marsigliese. Alle armi, ed ognuno
corre sotto le proprie bandiere cercando rifugio nelle parole d’ordine e nelle
identità culturali a cui è abituato quasi meccanicamente, in queste ore in cui
il 2015 vira verso una deriva che lo fa assomigliare sinistramente a quella
ultima previsione di Nostradamus, la guerra finale scatenata in Europa da un
principe arabo.
Ognuno corre sotto la bandiera
dell’integrazione ad ogni costo o del muro contro muro. Film già proiettati sui
nostri schermi. Ai tempi di Oriana Fallaci, prima che un male inesorabile se la
portasse via, i suoi ultimi anni furono funestati – per lei stessa e per tutti
noi – dalla polemica fra quanti la volevano una rinnegata della sinistra e
quanti invece la leggevano come l’ultima profetica campana del liberalismo
europeo agonizzante. A rileggere oggi le sue parole, si gela il sangue, quanto
e più che a sentire il rumore degli spari risuonato in rue Nicolas-Appert, XI
arondissement, a Parigi.
“Gli immigrati musulmani
materializzano così bene l’avvertimento che nel 1974 ci rivolse all’ONU il loro
leader algerino Boumedienne: Presto
irromperemo nell’emisfero nord. E non vi irromperemo da amici, no. Vi
irromperemo per conquistarvi. E vi conquisteremo popolando i vostri territori
con i n ostri figli. Sarà il ventre delle nostre donne a darci la vittoria”.
Quanti insulti si prese Oriana
dalle anime belle della sinistra radical-chic e a buon mercato. Quanti se ne è
presi anche il buon senso, da allora. Quanti se ne dovrà prendere ancora,
perché malgrado tutti adesso scrivano Je
suis Charlie anche sui braccialetti dei neonati nelle maternità di mezza
Europa, nessuno forse comprende fino in fondo il pericolo disvelato da questi
assassini a volto coperto che hanno fatto irruzione nella sede di un giornale
gridando la fatidica frase Allahu Akbar
massacrando gente che aveva l’unico difetto – mortale ai loro occhi – di
prestare fede soltanto a quell’ironia che, da Voltaire in poi, ha cercato di
distinguere definitivamente l’uomo dalla bestia. E questo paese, la Francia, da
tanti altri in cui si vive in tenebre sconosciute perfino al Mondo Antico.
La cosa più triste, proprio in
questo momento in cui se ne seppellisce la redazione, è che non siamo tutti
Charlie Hebdo, nossignore. Nemmeno per sogno. La guerra è cominciata, da tanto
tempo. Dentro di noi.
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