19 dicembre 2012
Torna Roberto Benigni su RAI1 per un nuovo evento nazional-culturale, e fa il 44% di share dell’audience televisiva. Dopo la serata in cui spiegò in diretta a un popolo italiano in quel momento abbastanza distratto da altri problemi esegesi e motivazioni storiche di quell’Inno di Mameli che da centocinquant’anni celebra ufficialmente l’Unità d’Italia, il comico-professore di Vergaio è tornato sul piccolo schermo a cimentarsi con un aspetto ancora più significativo della nostra Comunità-Stato, quella Costituzione che fu siglata nel dicembre 1947 dalle forze politiche riunite in apposita assemblea e che consentì alla neonata Repubblica sorta dalle ceneri della Monarchia Sabauda e del Fascismo di cominciare a funzionare.
Roberto Benigni è, nel panorama culturale
italiano, una figura assolutamente unica. Nato come comico d’avanguardia e di
rottura su Televacca, sorta di telelibera appartenente al mare magno delle
emittenti nate alla metà degli anni 70 per effetto della riforma del sistema
televisivo che spezzò il monopolio RAI, è diventato con il tempo una figura di
tale rilievo e spessore che, come sempre succede in Italia in questi casi, non
se ne può più parlare (e sopravvivere), sia nel bene che nel male: si può solo
celebrare.
In effetti, l’uomo di Vergaio ha
un palmares che incute rispetto: uno dei pochi autori-attori del nostro
cinema a vincere il Premio Oscar, e per di più con quel capolavoro assoluto (e
mai più dai lui stesso eguagliato, va detto) che fu La vita è bella;
unico professore improvvisato a rendere piacevole, affascinante ed imperdibile
la lettura ed il commento dell’incubo di generazioni di scolari italiani,
dall’Unità d’Italia in poi, insieme ai Promessi Sposi di Manzoni, la Divina Commedia
del Sommo Dante; unico vero erede del Grande Affabulatore Dario Fo, come
lui capace di tenere avvinto allo schermo un pubblico televisivo eterogeneo per
una intera serata a sentirlo raccontare storie grandi e storie minime,
spaziando dal medioevo barbarico ai giorni nostri, dal sacro al profano sempre
con la stessa efficacia, sfiorando religiosità e bestemmia con la stessa grazia
mai offensiva, rendendo utile e piacevole la cultura a chi ne ha più bisogno,
per proprio arricchimento e affrancamento, la gente comune. Che non per nulla
lo ricambia con immutati affetto e stima da ormai quasi 40 anni. Se c’è Benigni
al cinema o in TV si va, senza discussioni. E poi si sta a vedere.
Detto tutto questo, e dato a
Roberto quel che è di Roberto, cioè anche di essere stato capace l’altra sera
di un nuovo exploit satirico di quelli di cui solo lui è capace,
tentiamo di azzardare un po’ di critica. Non a lui, per carità, che fa il suo
lavoro egregiamente. Ma a chi, una volta di più, non ha fatto il proprio. Disgraziata
la patria che ha bisogno di eroi, diceva un altro grande, quel Bertolt
Brecht in fuga dai mostri che il sonno della ragione aveva scatenato nella sua
di patrie, la Germania conquistata da Hitler. Fatte le debite (per ora) proporzioni,
si può considerare che se nella nostra di patrie l’unico che sente il bisogno
ed ha la capacità e la possibilità di celebrare i nostri momenti fondanti è un
guitto di lusso come Roberto Benigni, forse tanto bene non siamo messi. Ma non
c’era bisogno di questa serata per accorgersene.
Mala tempora currunt, dicevano
gli antichi romani ogni qualvolta si palesava loro un periodo di crisi. La
crisi che stiamo vivendo adesso noi, come comunità civile ed economica, è di quelle
che non scherzano, e che richiederebbero interventi e soluzioni adeguate alla
drammaticità del momento. Se qualcuno ha avuto la sensazione che una sola delle
nostre istituzioni e/o delle figure che sono attualmente incaricate di
rappresentarle sia stato all’altezza di questo momento, anche solo per un
momento, alzi pure la mano. Ci vuole un grande teatrante come Benigni a
spiegarci perché la nostra Costituzione è la più bella del mondo, e perché il
nostro inno vale la pena di essere cantato, a prescindere dai gusti musicali e
dalle costrizioni più o meno imposte per legge.
Il Presidente provvisorio Enrico De Nicola promulga la nuova costituzione |
Nessun altro, dal Presidente
della Repubblica in giù, ha mai saputo darci anche per un solo istante la
stessa sensazione – nei fatti, si intende – di appartenenza a qualcosa che
vale, non sapendo offrire altro che retorica a profusione puntualmente
smentita da fatti di tutt’altro segno. La più bella del mondo, dice Benigni. Lo
era davvero la nostra Costituzione, quando fu scritta da partiti politici che
avevano avuto in comune la dura lotta alla dittatura fascista e la sanguinosa
guerra partigiana, e volevano dare al mondo più di tutto il resto la sensazione
che l’Italia era un’altra cosa, che quel paese che aveva firmato il Trattato di
Pace a Parigi il 10 febbraio 1947 era un partner con cui costruire insieme una
vita migliore per tutti, non un soggetto di cui avere paura o disprezzo. Quando
entrò in vigore, il 1° gennaio 1948, era davvero la più bella del mondo, o
almeno se la batteva con altri capolavori quali la Costituzione Americana o la
coetanea Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Era bella perché in
quel momento sulle regole erano tutti d’accordo, dai Democristiani che
prendevano ordini dal Vaticano ai Comunisti che prendevano ordini
dall’Unione Sovietica di Stalin.
E’ stata anche la più disattesa
del mondo. Per l’attuazione del Titolo V sulle Autonomie Locali ci vollero più
di 20 anni, e adesso – vista la cronaca recente – siamo quasi qui a pentircene,
e non soltanto per la pessima riforma voluta dal duo D’Alema-Bassanini nel
2000. Più in generale, è stata disattesa perché molto di rado i suoi principi
splendidi e quasi perfetti sono stati tradotti in comportamenti all’altezza da
una classe politica che dalla Prima alla Seconda e probabilmente anche alla
Terza Repubblica ha avuto ed avrà il comune denominatore (fatte poche
eccezioni) di una cialtroneria e inadeguatezza pari all’arroganza. E da un
corpo elettorale di cittadini che ha fatto spesso di tutto per giustificare il
detto che ogni popolo ha il governo che si merita.
E’ di pochi giorni fa la notizia
del provvedimento, già licenziato positivamente dal Senato e attualmente all’esame
della Camera, che prevede per la prossima legislatura l’affiancamento agli
attuali 945 parlamentari di ulteriori 90 costituenti, che avranno cioè
il compito esclusivo di provvedere a quella riforma della Costituzione a cui
l’organo a ciò deputato dalla stessa non sa provvedere. Pagheremo 90 stipendi, indennità
e prebende parlamentari in più, e l’esito poi non è affatto garantito, visto
che siederanno uno a fianco all’altro con i colleghi che dovrebbero mandare a
casa. Non c’è bisogno, riteniamo, di commentare la notizia, ma solo di
richiamare un po’ più di attenzione anche sulle cronache (quelle poche) che
raccontano la politica vera, e non solo sugli spettacoli televisivi pur
affascinanti come quello di Roberto Benigni.
In conclusione, affascina e fa
rabbia in pari misura il nuovo spettacolo di Benigni, per i motivi sopra detti.
E anche perché a scuola di queste cose non sono più capaci di parlare, troppo
più importanti le 18 ore settimanali lavorative dei primi 12 articoli della
Costituzione, e la vecchia sana Educazione Civica di una volta non esiste più,
obsoleta, demodée, sparita nel tunnel di qualche ministro della pubblica
istruzione tra i tanti – diversamente capaci, diciamo così – che si sono
avvicendati in questi anni. E poi perché nella Pubblica Amministrazione ormai
si fa altro, rispetto a quello che era stato previsto nella Carta
Costituzionale, ed è già tanto se non si spreca malamente.
Perché nel resto della comunità
nazionale si fa - anche adesso che la crisi ci morde alle caviglie - né più e
né meno che quello che Francesco Guicciardini definiva l’atteggiamento tipico dell’italiano
medio, perseguire “el mio particulare”. Dell’IMU mi frega,perché mi tocca
in tasca pesantemente ora, subito. Dei 90 parlamentari aggiunti no, di qui
all’anno prossimo si vedrà, e poi è capace che qualcosina tocca anche a me.
L’arte di arrangiarsi l’abbiamo inventata qui, del resto. Anche se adesso non è
detto che basti più.
Grande Roberto Benigni, insomma,
e povera Italia come sempre. Un paio di notazioni a margine, se ci è consentito.
Benigni non ha mai fatto mistero del suo schieramento politico, che rende
peraltro sempre accettabile a tutti con l’umorismo geniale e mai greve di cui è
capace. L’altra sera, però, si è alternata troppo la soirée istituzionale
con quella politica. Parlare della Costituzione e parlare di Berlusconi non è proprio,
o non ancora perlomeno, la stessa cosa, e c’è da pensare tra l'altro che con un
taglio più istituzionale lo share avrebbe potuto essere anche più alto,
per il campione di vergaio.
L’altra cosa, ci risulta che
all’epoca della comparsata alla trasmissione di Fazio e Saviano Benigni avesse destinato
il suo compenso in beneficienza, e per la precisione ad alcune sale operatorie
dell’Ospedale Pediatrico Meyer di Firenze. Che (verrebbe da dire, ovviamente)
non hanno mai visto quelle somme a tutt'oggi. Non è chiaro allo stato attuale
dove si siano fermate, se alla Fondazione Meyer che le ha diversamente
destinate, o addirittura prima. Conosciamo tutti Roberto Benigni per essere un
uomo dal cuore d’oro, oltre che dal grande intelletto e dalla grande
comunicatività. Non guasterebbe se in futuro prestasse più attenzione, a cosa
viene fatto da altri spendendo il suo nome, prima ancora dei suoi soldi.
Che Dio ci conservi in salute
Roberto Benigni e la Repubblica Italiana.
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