La riunione dei parlamentari del
PDL termina alla stessa ora in cui il giorno prima è stata letta da Antonio
Esposito, presidente della sezione feriale della Corte di Cassazione, la
sentenza che condanna definitivamente Silvio Berlusconi a un anno di galera e
lo rinvia alla Corte d’Appello per l’interdizione dai pubblici uffici. E’ l’ora
in cui cominciano i telegiornali su tutte le reti televisive, il momento
migliore per annunciare la strategia di risposta del centrodestra. Dimissioni
di tutti i parlamentari PDL consegnate nelle mani di Berlusconi, a sua
disposizione. Richiesta della grazia da parte del Capo dello Stato, in caso
contrario, fine della legislatura e nuove elezioni.
In sintesi, terminata l’epoca
delle udienze, delle tattiche processuali e dei rinvii, il centrodestra si
trova a dover prendere in fretta una decisione da cui dipende il suo futuro, la
sua stessa esistenza in vita. Lo può fare, perché il suo leader anche se condannato
ha ancora tutte le carte migliori in mano. A differenza del centrosinistra, la
cui sopravvivenza è altrettanto e più in discussione, ma che non ha una
strategia unitaria, anzi non ha proprio una strategia ed è caduto subito nella
trappola tesagli da un Berlusconi tutt’altro che messo in crisi dalla sconfitta
giudiziaria.
Così, Schifani e Brunetta, cioè i
capigruppo PDL di Camera e Senato, dichiarano di avere l’intenzione di salire
il Colle per chiedere a Napolitano la grazia, e “il ristabilimento di
condizioni democratiche” minate dai giudici. Il Presidente della Repubblica,
nel frattempo, avrebbe già fatto sapere in via ufficiosa (e improvvida) di non
ritenere esistenti i presupposti giuridici per la concessione di tale grazia.
Berlusconi nello stesso momento chiarisce di non aver ancora preso una decisione
definitiva e irrevocabile, ma la tentazione è quella di resistere, di far sì
che il governo delle larghe intese cada e che si bandiscano presto nuove
elezioni (per le quali non sarebbe interdetto, non ancora), con prospettiva di
vincerle almeno a stare ai sondaggi.
Quello che Berlusconi non dice, è
di avere l’intima convinzione che ancora una volta per arrivare ai suoi
obbiettivi non dovrà fare nulla di particolare, meno che mai forzare la mano.
Sarà il centrosinistra a dargli come sempre una mano, accelerando il processo
di martirizzazione della sua persona e togliendo gli ultimi puntelli alla
situazione attuale, gettandosi a capofitto verso nuove, rovinose per lui
consultazioni elettorali.
Mentre Letta tace più preoccupato
di quello che vuol dare a vedere e Napolitano lascia che filtrino segnali poco rassicuranti,
tocca al nuovo ed al vecchio segretario dei democratici gettare benzina sul
fuoco che già divampa. Epifani chiede a gran voce che il Senato deliberi al più
presto l’estromissione del condannato Berlusconi. Bersani chiede addirittura al
PDL di separare il proprio destino da quello del suo leader fondatore (non
sapendo o fingendo di non sapere che se c’è qualcosa che può ricompattare il
centrodestra come una falange è la messa in discussione della figura di Silvio Berlusconi).
Nessuno dei due sa dire quali voti andrebbero a sostenere il governo Letta
venuta meno la fiducia del centrodestra, ma molti – come la pasionaria Rosy
Bindi – rincarano anzi la dose.
Anche Grillo rincara la dose, ma
ormai la sua strategia è "tanto peggio, tanto meglio", e poco altro.
Sa benissimo che in questo marasma politico-istituzionale la Costituzione non
corre rischi, figuriamoci la riforma della giustizia. Sa piuttosto, o spera, di
poter essere uno dei beneficiari di nuove elezioni. Che poi stia ereditando
sempre di più la strategia omissiva ed esclusivamente antiberlusconiana del
Partito Democratico è altra questione, finché nessuno gli presenterà il conto
(e può farlo solo l’elettorato) per lui va bene così.
Tace Renzi, un altro dalla strategia
omissiva, che però se la sta vedendo assai complicare da questi sviluppi
giudiziari. Chi non tace, e magari sarebbe l’ora che lo facesse recuperando un
po’ di quell’aplomb anglosassone che viene meno regolarmente quando si
occupa di cose italiane, è il Financial Times, che titola senza mezzi
termini “E’ calato il sipario sul buffone di Roma”.
Si aspettano dunque le decisioni
del Colle. Napolitano sapeva a cosa andava incontro accettando un secondo
mandato. Chi ha voluto la bicicletta, è giusto che pedali. E il momento è
venuto.
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