La cancelliera di
ferro è dunque sbarcata a Firenze, per una di quelle visite di stato il
cui significato è chiaro soprattutto, o forse è meglio dire soltanto,
agli addetti ai lavori dell’informazione, che danno grande risalto
all’evento. Loro e gli addetti ai lavori della ricezione alberghiera
sono probabilmente gli unici beneficiari di queste vacanze in riva
all’Arno di Frau Angela Merkel, dato che i fiorentini
sembrano reagire con la consueta indifferenza mostrata in tutte o quasi
le circostanze analoghe a questa.
Non è più tempo di esaltazioni lapiriane per gli abitanti del capoluogo toscano, già messi a dura prova dalle opere pubbliche in cantiere (tramvia) e da quelle che ancora devono andarci (stadio alla Mercafir si, stadio alla Mercafir no). Ieri i viali di circonvallazione erano stati trasformati peraltro in una terra di nessuno simile a quella che circondava il Muro di Berlino, per consentire al corteo tedesco di raggiungere il quartier generale posto all’Hotel Savoy. Immaginarsi i commenti più o meno in vernacolo stretto.
Qualcuno stamani, con umorismo tipicamente locale, parla di visita della Merkel a FI-RENZI. Scherzi a parte, è indubbio che il beneficiario reale di questa visita così importante sia proprio il capo del governo italiano, fin dal suo insediamento accreditatosi come il più sincero ed il più fedele partner (dice lui) dell’alleato germanico.
Inutile dire che le assonanze richiamano alla memoria precedenti sinistri, per quanto significativi, nei rapporti tra Italia e Germania. Per risalire ad una precedente visita del capo del governo tedesco a Firenze di pari importanza e risalto, bisogna riandare parecchio indietro nel tempo. Era il 1938, il Fuhrer del Terzo Reich Adolf Hitler in visita all’amico ed alleato Benito Mussolini venne a deliziarsi in riva all’Arno, lui che si riteneva un grande appassionato d’arte. La leggenda vuole che a questa visita così proficua dovette la sua sopravvivenza il Ponte Vecchio, allorché qualche anno dopo, nel 1944, si trattò per la Wehrmacht in ritirata di coprirsi le spalle facendo saltare tutti i ponti sul fiume. Hitler, che non aveva risparmiato fino a quel momento nulla o nessuno, non se la sentì di abbattere quel gioiello davanti a cui si era soffermato in ammirazione estasiata.
Di che cosa sia appassionata la sig.ra Merkel realmente non è dato sapere. Né tantomeno se e cosa ci sarà da salvare qui a Firenze, o altrove in Italia, di fronte ad un perdurante e rinnovato impeto tedesco. La visita della cancelliera serve a rinsaldare più che altro i rapporti tra lei ed il suo omologo italiano. La Fortezza Europa scricchiola sempre di più (non è un caso che mentre Frau Merkel si trova fuori sede Herr Draghi lanci dalla B.C.E. il suo programma di acquisto di titoli di stato, nel tentativo di scongiurare “derive greche”). Berlino non è più tanto sicura dei confini del suo lebensraum.
Scricchiola non poco comunque anche la poltrona del capo del governo italiano, il quale ha atteso la discesa nella penisola della signora come una volta i dignitari dei Liberi Comuni italiani si preparavano alla visita del Sacro Romano Imperatore. A ben guardare, per Matteo Renzi la stampella tedesca in questo momento è l’appoggio più sicuro. Il suo partito si appresta a ridiventare quella palude infida in cui sono affogati molti suoi predecessori come segretari. Vuoi perché a breve si vota per eleggere il nuovo presidente della repubblica (momento critico per antonomasia del nostro sistema politico, che vede venire al pettine anche i nodi più insospettabili, e del resto nell’ultima circostanza precedente fu proprio Renzi ad approfittarne per dare il via alla rivolta contro Bersani ed alla sua scalata alla poltrona di segretario, impallinando il candidato ufficiale Romano Prodi). Vuoi perché in discussione in Parlamento c’è in questi giorni la madre di tutte le riforme, la legge elettorale, altro argomento che pare fatto apposta per far salire allo scoperto mal di pancia e umori rivoltosi.
Il 2015 non compare per la verità come anno fatidico in nessuna celebre profezia, dai Maya a Nostradamus ai Segreti di Fatima. Ma con il suo succedersi di tornate elettorali obbligatorie o opportune (si comincia con il Quirinale, poi tocca alle Regioni e chissà che insieme non si decida o si renda necessario rivotare per il Parlamento) rischia di essere uno di quegli anni che fanno la storia, piccola o grande che sia.
Il Rottamatore affronta critici e nemici a muso apparentemente duro. La luna di miele con l’opinione pubblica (ed elettorato) tuttavia è agli sgoccioli, la stampa raccatta un po’ del coraggio di Don Abbondio abbozzando qua e là le prime critiche, mentre metà del Partito Democratico si raccoglie sotto l’usbergo dei malpancisti della prim’ora quale ad esempio l’ex Presidente della Regione Toscana Vannino Chiti, minacciando sollevazioni e agitando spauracchi (peraltro ricorrenti e mai finora efficaci) di scissione.
Nel frattempo, ha incassato lo schiaffo delle dimissioni di Cofferati a causa dei presunti brogli nelle primarie genovesi, e non è uno schiaffo da poco in quanto si tratta dell’addio di uno dei “padri fondatori” del PD. Il problema sollevato da Cofferati è annoso, già diverse volte e da varie parti erano state lamentate manovre poco chiare in circostanze analoghe. Una delle fedelissime di Renzi, la Governatrice del Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani fu accusata di aver beneficiato addirittura del voto di residenti nelle terre perdute dell’Istria, aventi diritto al voto in ragione del loro doppio passaporto e prelevati appositamente oltre confine da pullman targati PD, dove la sigla non sta ovviamente per la provincia di Pordenone.
A scanso di ulteriori equivoci e schiaffi, salta agli occhi anche l’assenza di votazioni primarie nella natia Toscana. Qui in sostanza Renzi ha deciso di ricandidare il Governatore in carica Enrico Rossi, malgrado gli attriti del passato e gli incerti – se non addirittura discutibili – risultati ottenuti. L’uomo che si fa fotografare con i vicini di etnia ROM cavalcherà ancora la sempre più riottosa tigre post-comunista nell’unica regione dove ancora non ha mai perso. E sarà interessante vedere come questa regione, provata da una crisi economica dove il partito democratico ha avuto la sua voce in capitolo aggiuntiva (valga per tutti il caso eclatante di Siena), reagirà alla proposta renziana del vecchio che avanza.
A ben guardare, finora il presidente del consiglio ha rottamato soprattutto le illusioni di chi l’aveva salutato come finalmente il primo – ed anche l’unico – fattore di rinnovamento di una politica e di una società italiana ormai sull’orlo della sclerosi. Per questo per lui in questi giorni è importante accompagnare l’alleato germanico in giro per le bellezze del suo capoluogo natio. Almeno si parla d’altro. E si rinnova l’investitura imperiale.
E chissà che quando la furia tedesca divamperà di nuovo, non si debba ancora una volta ad una visita come questa, non si sa bene se di stato o di piacere, la salvezza della nostra città. E del nostro paese.
Non è più tempo di esaltazioni lapiriane per gli abitanti del capoluogo toscano, già messi a dura prova dalle opere pubbliche in cantiere (tramvia) e da quelle che ancora devono andarci (stadio alla Mercafir si, stadio alla Mercafir no). Ieri i viali di circonvallazione erano stati trasformati peraltro in una terra di nessuno simile a quella che circondava il Muro di Berlino, per consentire al corteo tedesco di raggiungere il quartier generale posto all’Hotel Savoy. Immaginarsi i commenti più o meno in vernacolo stretto.
Qualcuno stamani, con umorismo tipicamente locale, parla di visita della Merkel a FI-RENZI. Scherzi a parte, è indubbio che il beneficiario reale di questa visita così importante sia proprio il capo del governo italiano, fin dal suo insediamento accreditatosi come il più sincero ed il più fedele partner (dice lui) dell’alleato germanico.
Inutile dire che le assonanze richiamano alla memoria precedenti sinistri, per quanto significativi, nei rapporti tra Italia e Germania. Per risalire ad una precedente visita del capo del governo tedesco a Firenze di pari importanza e risalto, bisogna riandare parecchio indietro nel tempo. Era il 1938, il Fuhrer del Terzo Reich Adolf Hitler in visita all’amico ed alleato Benito Mussolini venne a deliziarsi in riva all’Arno, lui che si riteneva un grande appassionato d’arte. La leggenda vuole che a questa visita così proficua dovette la sua sopravvivenza il Ponte Vecchio, allorché qualche anno dopo, nel 1944, si trattò per la Wehrmacht in ritirata di coprirsi le spalle facendo saltare tutti i ponti sul fiume. Hitler, che non aveva risparmiato fino a quel momento nulla o nessuno, non se la sentì di abbattere quel gioiello davanti a cui si era soffermato in ammirazione estasiata.
Di che cosa sia appassionata la sig.ra Merkel realmente non è dato sapere. Né tantomeno se e cosa ci sarà da salvare qui a Firenze, o altrove in Italia, di fronte ad un perdurante e rinnovato impeto tedesco. La visita della cancelliera serve a rinsaldare più che altro i rapporti tra lei ed il suo omologo italiano. La Fortezza Europa scricchiola sempre di più (non è un caso che mentre Frau Merkel si trova fuori sede Herr Draghi lanci dalla B.C.E. il suo programma di acquisto di titoli di stato, nel tentativo di scongiurare “derive greche”). Berlino non è più tanto sicura dei confini del suo lebensraum.
Scricchiola non poco comunque anche la poltrona del capo del governo italiano, il quale ha atteso la discesa nella penisola della signora come una volta i dignitari dei Liberi Comuni italiani si preparavano alla visita del Sacro Romano Imperatore. A ben guardare, per Matteo Renzi la stampella tedesca in questo momento è l’appoggio più sicuro. Il suo partito si appresta a ridiventare quella palude infida in cui sono affogati molti suoi predecessori come segretari. Vuoi perché a breve si vota per eleggere il nuovo presidente della repubblica (momento critico per antonomasia del nostro sistema politico, che vede venire al pettine anche i nodi più insospettabili, e del resto nell’ultima circostanza precedente fu proprio Renzi ad approfittarne per dare il via alla rivolta contro Bersani ed alla sua scalata alla poltrona di segretario, impallinando il candidato ufficiale Romano Prodi). Vuoi perché in discussione in Parlamento c’è in questi giorni la madre di tutte le riforme, la legge elettorale, altro argomento che pare fatto apposta per far salire allo scoperto mal di pancia e umori rivoltosi.
Il 2015 non compare per la verità come anno fatidico in nessuna celebre profezia, dai Maya a Nostradamus ai Segreti di Fatima. Ma con il suo succedersi di tornate elettorali obbligatorie o opportune (si comincia con il Quirinale, poi tocca alle Regioni e chissà che insieme non si decida o si renda necessario rivotare per il Parlamento) rischia di essere uno di quegli anni che fanno la storia, piccola o grande che sia.
Il Rottamatore affronta critici e nemici a muso apparentemente duro. La luna di miele con l’opinione pubblica (ed elettorato) tuttavia è agli sgoccioli, la stampa raccatta un po’ del coraggio di Don Abbondio abbozzando qua e là le prime critiche, mentre metà del Partito Democratico si raccoglie sotto l’usbergo dei malpancisti della prim’ora quale ad esempio l’ex Presidente della Regione Toscana Vannino Chiti, minacciando sollevazioni e agitando spauracchi (peraltro ricorrenti e mai finora efficaci) di scissione.
Nel frattempo, ha incassato lo schiaffo delle dimissioni di Cofferati a causa dei presunti brogli nelle primarie genovesi, e non è uno schiaffo da poco in quanto si tratta dell’addio di uno dei “padri fondatori” del PD. Il problema sollevato da Cofferati è annoso, già diverse volte e da varie parti erano state lamentate manovre poco chiare in circostanze analoghe. Una delle fedelissime di Renzi, la Governatrice del Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani fu accusata di aver beneficiato addirittura del voto di residenti nelle terre perdute dell’Istria, aventi diritto al voto in ragione del loro doppio passaporto e prelevati appositamente oltre confine da pullman targati PD, dove la sigla non sta ovviamente per la provincia di Pordenone.
A scanso di ulteriori equivoci e schiaffi, salta agli occhi anche l’assenza di votazioni primarie nella natia Toscana. Qui in sostanza Renzi ha deciso di ricandidare il Governatore in carica Enrico Rossi, malgrado gli attriti del passato e gli incerti – se non addirittura discutibili – risultati ottenuti. L’uomo che si fa fotografare con i vicini di etnia ROM cavalcherà ancora la sempre più riottosa tigre post-comunista nell’unica regione dove ancora non ha mai perso. E sarà interessante vedere come questa regione, provata da una crisi economica dove il partito democratico ha avuto la sua voce in capitolo aggiuntiva (valga per tutti il caso eclatante di Siena), reagirà alla proposta renziana del vecchio che avanza.
A ben guardare, finora il presidente del consiglio ha rottamato soprattutto le illusioni di chi l’aveva salutato come finalmente il primo – ed anche l’unico – fattore di rinnovamento di una politica e di una società italiana ormai sull’orlo della sclerosi. Per questo per lui in questi giorni è importante accompagnare l’alleato germanico in giro per le bellezze del suo capoluogo natio. Almeno si parla d’altro. E si rinnova l’investitura imperiale.
E chissà che quando la furia tedesca divamperà di nuovo, non si debba ancora una volta ad una visita come questa, non si sa bene se di stato o di piacere, la salvezza della nostra città. E del nostro paese.
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