Per i suoi concittadini all’epoca
era un Eroe dell’Unione Sovietica, la massima onorificenza possibile nel suo paese,
il massimo livello raggiungibile dall’orgoglio di una nazione che all’epoca ne
aveva tanto, per tanti motivi. Per il resto del mondo, fu l’uomo che per primo
lasciò il suolo terrestre per andare verso le stelle, ipotecando non soltanto
la Corsa allo Spazio che era diventata uno dei principali ambiti di applicazione
della Guerra Fredda fra USA e URSS ma vincendo anche quei limiti che erano
stati imposti all’essere umano dalla Creazione del Mondo, dall’Alba dei Tempi.
Per gli USA, fu la campana
dell’Ultimo Round, l’avviso che se volevano la vittoria finale in quella stessa
Corsa allo Spazio era ora di darsi da fare e inventarsi qualcosa, come ad
esempio quel programma Mercury che nel giro di pochi
anni portò l’Apollo 11 ad allunare nel Mare della Tranquillità.
Yuri Alekseevic Gagarin era
nato nei dintorni di Smolensk il 9 marzo 1934 in un kolchoz sovietico e fin da piccolo aveva dimostrato una
spiccata propensione per le materie scientifiche. Diplomatosi metalmeccanico,
aveva scoperto la sua vera passione iscrivendosi ad una scuola di volo, e poi all’Accademia
Aeronautica Sovietica. Quando si diplomò, nel 1957, era pronto per l’appuntamento
con il destino. In quell’anno infatti l’Unione Sovietica sorprese i rivali statunitensi
ed il mondo intero mostrando che il paese che era emerso dalla Seconda Guerra
Mondiale vittorioso grazie allo sforzo sovrumano dell’Armata Rossa ma in realtà
ridotto ad un cumulo di macerie e costretto a piangere 22 milioni di morti si era
portato talmente avanti nella corsa allo sviluppo tecnologico indotto dalla
Guerra Fredda da risultare addirittura in vantaggio.
Il 4 ottobre 1957 l’URSS
dimostrò che il volo spaziale era possibile, lanciando in orbita lo Sputnik 1. L’astronave, il cui nome in russo significava compagno di viaggio, rimase in orbita per circa tre mesi mancando di poco
il rientro nell’atmosfera. Gli USA, inizialmente in vantaggio da quando nell’ottobre
1947 Chuck Yaeger era stato il primo uomo a raggiungere la velocità di Mach 1 (la velocità di propagazione del suono) a bordo del
suo Bell X-1 nel deserto del Nuovo Messico, dieci anni dopo si ritrovarono
superati dalla tecnologia di un paese fino a quel momento ritenuto arretrato e pericoloso
soltanto grazie all’attività spionistica che aveva consentito il passaggio di
campo delle informazioni necessarie alla costruzione di armamenti nucleari.
Di fatto, il lancio della
prima astronave americana equivalente allo Sputnik,
l’Explorer 1, avvenne nel gennaio 1958 con tre mesi di ritardo,
quando già i sovietici stavano lavorando al varo della prima missione nello
spazio con equipaggio umano, e avevano appunto selezionato tra gli altri a tale
scopo il giovane neo-cosmonauta Yuri Gagarin. Yuri risultò il prescelto tra 20
candidati, e il volo sulla Vostok 1 spettò a lui.
In russo Vostok significa oriente, la riaffermazione di un orgoglio giustificato in
quel momento in faccia ad un Occidente incredibilmente superato nonostante un
vantaggio tecnologico clamoroso, e nel bel mezzo di quello che veniva già
allora definito il secolo americano. La Vostok 1 decollò
il 12 aprile 1961 dalla base di Baikonur in Kazakistan, il più antico cosmodromo
del mondo. Erano le 9:07 di mattina, e l’Unione Sovietica consegnò alla storia
un record che sarebbe rimasto suo per sempre.
Dopo i vari tentativi
effettuati con il sacrificio di cagnette come Laika, i russi misero finalmente
a punto una navicella spaziale in grado non soltanto di lasciare il suolo
terrestre ma anche di farvi ritorno, e finalmente rischiarono il primo uomo in
orbita tra le stelle. Toccò a Yuri Gagarin raccontare ad un mondo che dall’alba
dei tempi era abituato a considerare quelle stelle come divinità
irraggiungibili o come lo sfondo altrettanto irraggiungibile di quel cielo
sotto cui si svolgeva la propria esistenza immutabile, che la Terra vista dallo
spazio era “blu…
meravigliosa… incredibile”.
Il volo più leggendario dai
tempi di quello di Icaro durò in tutto 88 minuti. Verso le 10:00 di quella
mattina il computer che da Terra controllava la missione e il destino di
Gagarin comandò l’accensione dei retrorazzi, e la navicella iniziò la ridiscesa
verso il suolo terrestre, superando felicemente l’impatto con l’atmosfera e
portando alle 10:20 circa il primo uomo delle stelle a posare di nuovo i piedi
sul suolo del suo pianeta d’origine presso Saratov, sul basso Volga. Yuri
Gagarin aveva soltanto 27 anni, e un posto nella storia dell’umanità, oltre che
nella Galleria degli Eroi del Kremlino.
Da quel momento l’uomo
delle stelle, con il petto carico di medaglie tra cui l’ambito Ordine di Lenin
conferitogli da Krushev, collaborò allo sviluppo del programma spaziale
sovietico ed al mantenimento del vantaggio acquisito sugli americani, che ancora
non avevano dato il via al programma Apollo. Gagarin era nello staff che mandò nello
spazio Valentina Tereskova, la prima donna cosmonauta, e che sviluppò la Sojutz, apparentemente il nuovo gioiello dell’industria
spaziale comunista, in realtà la tomba volante che costò la vita ad alcuni dei colleghi
di Gagarin e su cui si arenò la corsa allo Spazio dell’URSS. Proprio in
occasione dell’incidente mortale del collega Komarov nel 1967, Gagarin decise
di tornare al volo terrestre sugli aviogetti da cui era stato prelevato quando
era stato trasformato in cosmonauta, i Mig.
Ma il destino a volte
sembra preferire che gli Eroi, anche quelli dell’Unione Sovietica, muoiano
giovani. Il 27 marzo 1968, mentre pilotava un caccia Mig - 15UTI, l’uomo delle
stelle rimase vittima di un misterioso incidente presso Kirzac nella Russia
centrale non lontano da Mosca, e si schiantò al suolo. La sua salma venne
tumulata nel Kremlino, come si conveniva. Sull’incidente invece vennero diffuse
versioni poco chiare, dal complotto imperialista all’apparizione degli UFO fino
alle non perfette condizioni fisiche dello stesso Gagarin che l’avrebbero
indotto ad una manovra errata. Probabilmente – si insinuava – finito contro un
pallone sonda non visto a causa di qualche bicchierino di vodka di troppo.
Versioni sussurrate, ovviamente, perché niente poteva infangare la memoria dell’Eroe,
e meno che mai il buon nome dell’Aeronautica sovietica.
Ancora nel 2011, una
commissione d’inchiesta incaricata di redigere un rapporto ufficiale e
definitivo sulla tragedia che aveva rimandato definitivamente in cielo Yuri
Gagarin aveva concluso che la responsabilità era da imputarsi ad una manovra
sbagliata del pur esperto pilota, finito contro una mongolfiera per una
disattenzione inspiegabile. Soltanto in questi giorni, uno dei membri di quella
commissione, l’altrettanto celebre ex cosmonauta sovietico Aleksei Leonov, che
ha legato il suo nome ad un’altra impresa prestigiosa quale la prima
passeggiata nello spazio di un astronauta (missione Voskhod, 1965), ha detto ai giornalisti di Russia Today quello che evidentemente non si può scrivere, ancor
oggi, in un rapporto ufficiale.
Quel giorno, Yuri Gagarin
ed il suo copilota Vladimir Seryogin non ebbero scampo perché tre caccia Sukhoi Su-15 si trovarono dove non d ovevano essere, cioè sulla
linea di volo del più piccolo velivolo pilotato dall’esperto e glorioso ex cosmonauta
orgoglio e vanto dell’URSS. La turbolenza creata dagli aviogetti più potenti
condannò a morte Gagarin. Ed avrebbe – se conosciuta dal mondo - diffuso dell’URSS
che aveva collezionato tutti quei record prestigiosi nella Corsa allo Spazio
una immagine molto meno efficiente. Il che era intollerabile per il regime
sovietico nel pieno della Guerra Fredda, ma lo era ed è quasi altrettanto per
la nuova Russia di Putin che celebra le glorie del passato con altrettanta
enfasi, a prescindere dal tipo di governo che le ha ottenute.
Il figlio di un falegname e
di una contadina sovietica che per primo aveva portato i sogni dell’umanità
oltre i limiti stabiliti dalla Genesi può finalmente riposare in pace, dunque.
Il cielo per lui non aveva segreti né limiti, e chissà se non sarebbe stato
destinato a rivedere di nuovo il Pianeta Blu dallo Spazio (magari negli stessi
giorni in cui l’Apollo 11 comandato da un’altra leggenda, Neil Armstrong, partiva
per il Mare della Tranquillità) se non fosse stato per la scarsa avvedutezza
non sua ma di qualche suo collega di cui non sapremo mai il nome. E per
l'inefficienza e l'ipocrisia dello stesso governo che gli aveva appuntato sul
petto le sue meritate medaglie e a cui lui aveva tributato onore e gloria
immortali.
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