Il richiamo della patria italiana
e del mito risorgimentale era così forte che fiorentini e toscani tutti non
seppero resistere. Dopo essersi tolti il cappello al passaggio della carrozza
granducale al grido di “addio babbo Leopoldo!”, nominarono subito un governo
provvisorio che nei mesi successivi organizzò la partecipazione dei volontari regionali
alla guerra d’indipendenza e poi l’annessione all’Italia, sancita dal
plebiscito popolare, o almeno di quella parte di popolo che allora aveva il
diritto di elettorato attivo (cittadini di sesso maschile di età superiore ai
25 anni che possedessero il requisito dell'alfabetismo e pagassero un'imposta
diretta complessiva di almeno 40 lire).
Mentre Garibaldi si preparava a
partire da Quarto con i suoi Mille, il governo della Toscana adottava già il
tricolore che avrebbe sostituito lo stemma granducale degli Asburgo-Lorena,
caratterizzato dal bianco e rosso della bandiera austriaca. Già nel 1848 i
patrioti toscani avevano versato sangue a Curtatone e Montanara sotto le
insegne del vessillo della nazione italiana adottato sul modello francese fin
dai tempi della repubblica Cisalpina di Napoleone I, il 7 gennaio 1797. Ma vi
avevano allora mantenuto al centro della banda bianca lo stemma dei Lorena.
Canapone aveva però ripagato
questa tutto sommato importante manifestazione d’affetto uniformandosi alla
restaurazione austriaca con la revoca dello Statuto liberale e la persecuzione
(blanda) dei patrioti. Gli ultimi anni dei Lorena in Toscana erano stati grigi,
per nulla in linea con il secolo glorioso che li aveva preceduti, e avevano finito
per favorire lo scoppio di entusiasmo patriottico dell’aprile 1859. Il vecchio
Granduca che si avviava verso le terre superstiti della sua famiglia imperiale
era stato salutato con benevolenza, ma nessuno aveva mosso un dito per
trattenerlo.
Vittorio Emanuele II riceve i risultati del plebiscito della Toscana |
La bandiera dei tre colori ebbe
quindi al centro – per la Toscana come per il resto dell’Italia redenta – lo
stemma sabaudo, e nessuno da queste parti ne fu geloso. Molti invece erano
stati orgogliosi del decreto del governo provvisorio che il 30 aprile 1859, soltanto
tre giorni dopo l’addio di Canapone, aveva in faccia al mondo reclamato il
primato morale e civile dei toscani dichiarando di nuovo abolita in tutto il
territorio dell’ex Granducato la pena di morte, senza eccezioni, come ai tempi
di Pietro Leopoldo, il figlio di Francesco primo Granduca di Lorena in Toscana
e dell’Imperatrice Maria Teresa d’Austria, che prima e meglio di tutti aveva
incarnato in Europa la figura del sovrano illuminato.
«Oggi, giorno diciotto del mese
di febbraio dell’anno mille ottocento sessant’uno, regnando Vittorio Emanuele
II, si apre in Torino il Parlamento Italiano», fu il primo atto di una Camera
dei deputati riunita a Palazzo Carignano nella ex capitale sabauda, che un mese
dopo il 17 marzo avrebbe proclamato il Regno d’Italia. C’erano anche i delegati
toscani quel giorno in quell’aula.
Proprio a Firenze Torino avrebbe
dovuto cedere il prestigio di essere capitale del Regno, di lì a poco. Ma
questa è un’altra storia, per i prossimi giorni.
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