martedì 10 marzo 2015

LA NOSTRA VITA: Capitolo 1 - BORRI

Non siamo una di quelle famiglie che può risalire molto indietro nel tempo per conoscere i suoi antenati. Nel corso dei secoli ci sarà stata sicuramente una famiglia Borri, o una famiglia il cui nome, attraverso i cambiamenti della lingua e delle vicende storiche, alla fine è diventato Borri. Ma non ne sappiamo niente.
Quello che sappiamo, la prima notizia certa, è che alla fine dell’800 un bambino di nome Stefano Borri arrivò a Siena da un paesino della provincia, non si sa bene come e perché. Era quello che a quell’epoca si chiamava un “trovatello”, un bambino che non aveva più i genitori e che veniva destinato all’orfanotrofio. E all’orfanotrofio questo bambino visse finché non diventò grande da potersene andare a fare la sua vita da adulto e a cominciare la nostra storia.
Era il tuo tris-nonno.Nella scatola dove conservo le cose del nonno Mario ci sono anche le foto di lui e della famiglia che si costruì. All’inizio infatti, il tris-nonno Stefano cercava di trovarsi un lavoro e di guadagnarsi una vita decente in un mondo difficile, dove tanta gente era in miseria e non ti poteva aiutare perché prima di tutto non sapeva come fare ad aiutare se stessa. Nelle campagne da cui era venuto da bambino, tutti facevano i contadini e molti morivano quasi di fame, perché la terra rendeva poco e quel poco se lo prendevano quasi tutto  suoi padroni. In una piccola città come Siena, a quell’epoca, molti campavano facendo gli operai, gli artigiani, i braccianti per lavori a giornata, tutti lavori dove si guadagnava poco, giusto quello che serviva per mangiare e pagare l’affitto di casa, e non sempre.
Stefano trovò un lavoro, non so quale e come, e poi trovò anche la tris-nonna Giulia. Era una trovatella anche lei, e anche lei veniva dalla campagna. Quando si incontrarono, forse il fatto di avere vissuto la stessa vita difficile nei loro primi anni di vita e di non avere né famiglia né affetti al mondo li fece avvicinare subito e poi unì le loro vite in matrimonio. I tris-nonni si sposarono più o meno all’epoca in cui la prima automobile  fece la sua comparsa sulle strade italiane, ovviamente sterrate, i treni andavano a carbone, le case non avevano né bagno né riscaldamento e le cucine, chi le aveva, funzionavano a legna, il primo aereo non si era ancora sollevato dal suolo e in Italia, come in molti altri paesi, c’era il Re, che governava per grazia divina e (poco) volontà della nazione.
I tris-nonni si sposarono quindi è cominciò la storia che ti posso raccontare.
A distanza di due anni nacquero due figli. Giuseppina, che tuo nonno Mario chiamava “la zia Beppina” e che ora riposa nella tomba accanto alla sua al cimitero a Siena, e Angelo, nato il 1° luglio del 1908 e che divenne subito “Angiolino” e lo sarebbe rimasto per tutta la vita.
Il mio amatissimo nonno Angiolino……..
Tesoro mio, come vorrei che tu l’avessi conosciuto. Che personaggio che era. Tuo nonno Mario mi raccontava sempre di com’era da giovane il suo babbo Angiolino. Severo, che incuteva timore a tutti e prima di tutto ai figli, che non aveva mai un momento di dolcezza né con  figli né con nessun altro, che aveva fatto una vita durissima e probabilmente non se la perdonava e non la perdonava al mondo intero.
E io non capivo, trasecolavo. Con me il nonno era dolcissimo, ero la luce dei suoi occhi. Quando andavamo a Siena a trovarlo mi prendeva sempre e mi portava fuori, mi colmava di attenzioni, esaudiva ogni mio desiderio, quando i tuoi nonni erano arrabbiati con me si metteva in mezzo a difendermi. Per me andare a trovare il nonno era come per Pinocchio andare nel paese dei balocchi.
Il tuo bis-nonno Angiolino nacque in una famiglia felice, fatta da due persone che per la prima volta in vita loro erano felici, dopo un’infanzia di sofferenza.
Sembrava l’inizio di una vita felice, per tutta la famiglia. I tris-nonni non stavano male a soldi, se è vero che il piccolo Angiolino fu mandato addirittura a scuola! Sai, non era come ora che tutti i bambini vanno a scuola e tutti i genitori hanno l’obbligo di mandarceli. Quella cosa che tu maledici tanto tutte le mattine, caro il mio Giacomo, è stata una delle più grosse conquiste fatte dal nostro popolo negli ultimi cento anni. All’epoca in cui il tuo bis-nonno Angiolino faceva le elementari, erano pochi quelli che andavano a scuola. Solo i figli dei signori, che facevano le scuole migliori, quelle che oggi si chiamano “licei”, e che dovevano imparare le cose che sarebbero servite loro a continuare a comandare, quando fossero diventati grandi. Ed alcuni dei figli dei meno poveri, che facevano le scuole meno importanti, quelle che oggi si chiamerebbero “professionali”, dove imparavano le cose necessarie per fare mestieri tipo l’artigiano, il contabile, dove si guadagnava poco e si era poco importanti, ma con cui almeno si mangiava. E poi c’erano tutti gli altri……poveri, ignoranti e figli di poveri ignoranti, che tali sarebbero rimasti per tutta la vita e per generazioni. Perché nel mondo di allora si nasceva con il destino segnato e si poteva fare ben poco per cambiarlo. E chi era ignorante non poteva fare niente, perché non sapeva niente e chiunque poteva tenerlo sotto di sé. Pensaci, tesoro, ogni tanto, quando la mattina ti sembra di doverti alzare per andare a fare una cosa che senti come una costrizione o una condanna. L’ho maledetta anch’io la scuola, come te adesso. Ma se io ho potuto darti le cose che desideravi e tu un giorno potrai darle a te stesso e a tuo figlio è anche grazie a questa maledetta scuola….che alla fine, non si sa come ma ci insegna le cose che servono a essere persone migliori e ad ottenere onestamente le cose che desideriamo, per noi e per le nostre famiglie. E pensa ogni tanto a quei miliardi di bambini vissuti prima di noi e che vivono adesso in altre parti del mondo, che non hanno avuto questa fortuna e che hanno poi vissuto vite di stenti e di difficoltà atroci, schiavi di un padrone in un lavoro che non rendeva loro neanche di che mangiare quasi e poi carne da macello e da seppellire in fosse comuni senza nome ogni volta che c’era la guerra. E che hanno vissuto senza neanche accorgersene, e senza sapere perché erano al mondo e dove volevano andare.
Angiolino quindi andava a scuola (lui, non la sorella Giuseppina, perché all’epoca solo ai maschi era concessa l’istruzione, alle donne toccava il lavoro di casa e basta) e sembrava avviato verso un destino di vita più facile di quello dei genitori, che a loro volta sembravano andare incontro a un avvenire sereno e tranquillo che da bambini non avevano neanche potuto sognare. Ma…..
Era il 1914. Sai cosa successe. Dopo tanti anni di pace dall’ultima guerra il mondo si era stancato. Tanti avevano voglia di menare le mani. Tante nazioni guardavano ormai altre nazioni con odio, o bramosia di prendere qualcosa che apparteneva loro. La gente normale, come la famiglia Borri nella città di Siena, pensava di avere il tempo di crescere e prosperare e di condurre una vita tranquilla. Il progresso metteva a disposizione ogni giorno nuove macchine e nuove invenzioni che facevano pensare a un futuro migliore e a una vita con più agi rispetto al passato. Erano ottimisti, ma sbagliavano, perché chi comandava nei vari paesi d’Europa, tra cui l’Italia, aveva deciso che non doveva essere così. Tanto poi a fare la guerra ci andava proprio quella gente normale che non la voleva, e nelle trincee ci sarebbero finiti loro, a morire.
Nessuno dei poveracci che combatterono la Prima Guerra Mondiale sapeva veramente perché la combatteva, perché aveva dovuto lasciare moglie, figli piccoli e tutto quanto per andare a cacciarsi in trincee di fango in posti dei quali nessuno gli aveva mai insegnato neanche l’esistenza, perché il soldato lo doveva fare ma la scuola no. Perché doveva morire, magari, senza aver potuto neanche scrivere a casa una lettera di saluto o di addio, perché i comandi militari non volevano. Non c’erano telefoni, fax e altre cose del genere. C’era solo di dover montare sul treno per andare al fronte e sperare di avere fortuna di fare il viaggio di ritorno, prima o poi. E guai a chi si rifiutava, non era ammesso. Si finiva in galera o alla fucilazione.
L’Italia entrò nella Prima Guerra Mondiale il 24 maggio 1915. Tuo tris-nonno Stefano montò sul suo treno poco dopo. Tuo bis-nonno Angiolino non vide suo padre praticamente per più di tre anni, fino alla fine della guerra nel 1918. La famiglia non ebbe più lo stipendio del babbo, perché a quell’epoca lo Stato non dava niente alle famiglie dei soldati. Ti puoi immaginare come fu la vita della famiglia in questi tre anni. E non andava ancora male, o così sembrava, perché alla fine il soldato Stefano Borri tornò a casa e la famiglia poté riabbracciarlo. Tanti altri invece ebbero solo una lettera del Governo che li informava che il loro marito, il loro babbo, il loro caro non c’era più, caduto o disperso chissà dove, neanche una tomba su cui andare a mettere i fiori…..
Stefano era stato destinato all’Albania, dove l’esercito italiano combatteva contro quello turco, non mi chiedere perché. Stava nel porto di Valona, lo stesso da dove oggi partono le navi dei disperati che vengono in Italia a cercare una vita migliore. Anche allora, l’Albania era un paese arretrato, dove la gente viveva ancor più che altrove tra miseria, fame e disperazione, anche senza la guerra. Dove c’è fame e miseria, dove le condizioni igieniche sono precarie, dove la guerra arriva a peggiorare tutto, alla fine arrivano anche le malattie.
Il tuo tris-nonno era tornato a casa, sì, ma portava con sé, nei suoi polmoni, i germi di quella che all’epoca era una delle malattie più tremende e incurabili che l’umanità conoscesse: la malaria. Le poche medicine disponibili a volte riuscivano a salvarti, molto spesso no. Stefano Borri tornò malato, poté lavorare poco e male e alla fine peggiorò. Nel 1924 morì, lasciando una moglie e due figli per i quali ricominciava la lotta per la sopravvivenza.

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