Non siamo una di quelle famiglie che può risalire molto indietro nel tempo per conoscere i suoi antenati. Nel corso dei secoli ci sarà stata sicuramente una famiglia Borri, o una famiglia il cui nome, attraverso i cambiamenti della lingua e delle vicende storiche, alla fine è diventato Borri. Ma non ne sappiamo niente.
Quello che sappiamo, la prima
notizia certa, è che alla fine dell’800 un bambino di nome Stefano Borri arrivò
a Siena da un paesino della provincia, non si sa bene come e perché. Era quello
che a quell’epoca si chiamava un “trovatello”, un bambino che non aveva più i
genitori e che veniva destinato all’orfanotrofio. E all’orfanotrofio questo
bambino visse finché non diventò grande da potersene andare a fare la sua vita
da adulto e a cominciare la nostra storia.
Era il tuo tris-nonno.Nella
scatola dove conservo le cose del nonno Mario ci sono anche le foto di lui e
della famiglia che si costruì. All’inizio infatti, il tris-nonno Stefano
cercava di trovarsi un lavoro e di guadagnarsi una vita decente in un mondo
difficile, dove tanta gente era in miseria e non ti poteva aiutare perché prima
di tutto non sapeva come fare ad aiutare se stessa. Nelle campagne da cui era
venuto da bambino, tutti facevano i contadini e molti morivano quasi di fame,
perché la terra rendeva poco e quel poco se lo prendevano quasi tutto suoi padroni. In una piccola città come
Siena, a quell’epoca, molti campavano facendo gli operai, gli artigiani, i
braccianti per lavori a giornata, tutti lavori dove si guadagnava poco, giusto
quello che serviva per mangiare e pagare l’affitto di casa, e non sempre.
Stefano trovò un lavoro, non so
quale e come, e poi trovò anche la tris-nonna Giulia. Era una trovatella anche
lei, e anche lei veniva dalla campagna. Quando si incontrarono, forse il fatto
di avere vissuto la stessa vita difficile nei loro primi anni di vita e di non
avere né famiglia né affetti al mondo li fece avvicinare subito e poi unì le
loro vite in matrimonio. I tris-nonni si sposarono più o meno all’epoca in cui
la prima automobile fece la sua comparsa
sulle strade italiane, ovviamente sterrate, i treni andavano a carbone, le case
non avevano né bagno né riscaldamento e le cucine, chi le aveva, funzionavano a
legna, il primo aereo non si era ancora sollevato dal suolo e in Italia, come
in molti altri paesi, c’era il Re, che governava per grazia divina e (poco)
volontà della nazione.
I tris-nonni si sposarono quindi
è cominciò la storia che ti posso raccontare.
A distanza di due anni nacquero
due figli. Giuseppina, che tuo nonno Mario chiamava “la zia Beppina” e che ora
riposa nella tomba accanto alla sua al cimitero a Siena, e Angelo, nato il 1°
luglio del 1908 e che divenne subito “Angiolino” e lo sarebbe rimasto per tutta
la vita.
Il mio amatissimo nonno
Angiolino……..
Tesoro mio, come vorrei che tu
l’avessi conosciuto. Che personaggio che era. Tuo nonno Mario mi raccontava
sempre di com’era da giovane il suo babbo Angiolino. Severo, che incuteva
timore a tutti e prima di tutto ai figli, che non aveva mai un momento di
dolcezza né con figli né con nessun
altro, che aveva fatto una vita durissima e probabilmente non se la perdonava e
non la perdonava al mondo intero.
E io non capivo, trasecolavo. Con
me il nonno era dolcissimo, ero la luce dei suoi occhi. Quando andavamo a Siena
a trovarlo mi prendeva sempre e mi portava fuori, mi colmava di attenzioni,
esaudiva ogni mio desiderio, quando i tuoi nonni erano arrabbiati con me si
metteva in mezzo a difendermi. Per me andare a trovare il nonno era come per
Pinocchio andare nel paese dei balocchi.
Il tuo bis-nonno Angiolino nacque
in una famiglia felice, fatta da due persone che per la prima volta in vita
loro erano felici, dopo un’infanzia di sofferenza.
Sembrava l’inizio di una vita
felice, per tutta la famiglia. I tris-nonni non stavano male a soldi, se è vero
che il piccolo Angiolino fu mandato addirittura a scuola! Sai, non era come ora
che tutti i bambini vanno a scuola e tutti i genitori hanno l’obbligo di
mandarceli. Quella cosa che tu maledici tanto tutte le mattine, caro il mio
Giacomo, è stata una delle più grosse conquiste fatte dal nostro popolo negli
ultimi cento anni. All’epoca in cui il tuo bis-nonno Angiolino faceva le
elementari, erano pochi quelli che andavano a scuola. Solo i figli dei signori,
che facevano le scuole migliori, quelle che oggi si chiamano “licei”, e che
dovevano imparare le cose che sarebbero servite loro a continuare a comandare,
quando fossero diventati grandi. Ed alcuni dei figli dei meno poveri, che
facevano le scuole meno importanti, quelle che oggi si chiamerebbero
“professionali”, dove imparavano le cose necessarie per fare mestieri tipo
l’artigiano, il contabile, dove si guadagnava poco e si era poco importanti, ma
con cui almeno si mangiava. E poi c’erano tutti gli altri……poveri, ignoranti e
figli di poveri ignoranti, che tali sarebbero rimasti per tutta la vita e per
generazioni. Perché nel mondo di allora si nasceva con il destino segnato e si
poteva fare ben poco per cambiarlo. E chi era ignorante non poteva fare niente,
perché non sapeva niente e chiunque poteva tenerlo sotto di sé. Pensaci,
tesoro, ogni tanto, quando la mattina ti sembra di doverti alzare per andare a
fare una cosa che senti come una costrizione o una condanna. L’ho maledetta
anch’io la scuola, come te adesso. Ma se io ho potuto darti le cose che
desideravi e tu un giorno potrai darle a te stesso e a tuo figlio è anche
grazie a questa maledetta scuola….che alla fine, non si sa come ma ci insegna
le cose che servono a essere persone migliori e ad ottenere onestamente le cose
che desideriamo, per noi e per le nostre famiglie. E pensa ogni tanto a quei
miliardi di bambini vissuti prima di noi e che vivono adesso in altre parti del
mondo, che non hanno avuto questa fortuna e che hanno poi vissuto vite di
stenti e di difficoltà atroci, schiavi di un padrone in un lavoro che non
rendeva loro neanche di che mangiare quasi e poi carne da macello e da
seppellire in fosse comuni senza nome ogni volta che c’era la guerra. E che
hanno vissuto senza neanche accorgersene, e senza sapere perché erano al mondo
e dove volevano andare.
Angiolino quindi andava a scuola
(lui, non la sorella Giuseppina, perché all’epoca solo ai maschi era concessa
l’istruzione, alle donne toccava il lavoro di casa e basta) e sembrava avviato
verso un destino di vita più facile di quello dei genitori, che a loro volta
sembravano andare incontro a un avvenire sereno e tranquillo che da bambini non
avevano neanche potuto sognare. Ma…..
Era il 1914. Sai cosa successe.
Dopo tanti anni di pace dall’ultima guerra il mondo si era stancato. Tanti
avevano voglia di menare le mani. Tante nazioni guardavano ormai altre nazioni
con odio, o bramosia di prendere qualcosa che apparteneva loro. La gente
normale, come la famiglia Borri nella città di Siena, pensava di avere il tempo
di crescere e prosperare e di condurre una vita tranquilla. Il progresso
metteva a disposizione ogni giorno nuove macchine e nuove invenzioni che
facevano pensare a un futuro migliore e a una vita con più agi rispetto al
passato. Erano ottimisti, ma sbagliavano, perché chi comandava nei vari paesi
d’Europa, tra cui l’Italia, aveva deciso che non doveva essere così. Tanto poi
a fare la guerra ci andava proprio quella gente normale che non la voleva, e
nelle trincee ci sarebbero finiti loro, a morire.
Nessuno dei poveracci che
combatterono la Prima Guerra Mondiale sapeva veramente perché la combatteva,
perché aveva dovuto lasciare moglie, figli piccoli e tutto quanto per andare a
cacciarsi in trincee di fango in posti dei quali nessuno gli aveva mai
insegnato neanche l’esistenza, perché il soldato lo doveva fare ma la scuola
no. Perché doveva morire, magari, senza aver potuto neanche scrivere a casa una
lettera di saluto o di addio, perché i comandi militari non volevano. Non
c’erano telefoni, fax e altre cose del genere. C’era solo di dover montare sul
treno per andare al fronte e sperare di avere fortuna di fare il viaggio di
ritorno, prima o poi. E guai a chi si rifiutava, non era ammesso. Si finiva in
galera o alla fucilazione.
L’Italia entrò nella Prima Guerra
Mondiale il 24 maggio 1915. Tuo tris-nonno Stefano montò sul suo treno poco
dopo. Tuo bis-nonno Angiolino non vide suo padre praticamente per più di tre
anni, fino alla fine della guerra nel 1918. La famiglia non ebbe più lo
stipendio del babbo, perché a quell’epoca lo Stato non dava niente alle
famiglie dei soldati. Ti puoi immaginare come fu la vita della famiglia in
questi tre anni. E non andava ancora male, o così sembrava, perché alla fine il
soldato Stefano Borri tornò a casa e la famiglia poté riabbracciarlo. Tanti
altri invece ebbero solo una lettera del Governo che li informava che il loro
marito, il loro babbo, il loro caro non c’era più, caduto o disperso chissà
dove, neanche una tomba su cui andare a mettere i fiori…..
Stefano era stato destinato
all’Albania, dove l’esercito italiano combatteva contro quello turco, non mi
chiedere perché. Stava nel porto di Valona, lo stesso da dove oggi partono le
navi dei disperati che vengono in Italia a cercare una vita migliore. Anche
allora, l’Albania era un paese arretrato, dove la gente viveva ancor più che
altrove tra miseria, fame e disperazione, anche senza la guerra. Dove c’è fame
e miseria, dove le condizioni igieniche sono precarie, dove la guerra arriva a
peggiorare tutto, alla fine arrivano anche le malattie.
Il tuo tris-nonno era tornato a
casa, sì, ma portava con sé, nei suoi polmoni, i germi di quella che all’epoca
era una delle malattie più tremende e incurabili che l’umanità conoscesse: la
malaria. Le poche medicine disponibili a volte riuscivano a salvarti, molto
spesso no. Stefano Borri tornò malato, poté lavorare poco e male e alla fine
peggiorò. Nel 1924 morì, lasciando una moglie e due figli per i quali
ricominciava la lotta per la sopravvivenza.
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