Amanda Knox e Raffaele Sollecito
sono di nuovo due liberi cittadini sul territorio della Repubblica Italiana.
Dopo 12 ore di camera di consiglio, la Quinta Sezione Penale della Corte di
Cassazione stabilisce che il verdetto della Corte d’Assise di Firenze del 2014
è sbagliato, da riformare. Assolti dunque i due imputati con formula piena, “per
non aver commesso il fatto”. Cancellati i 28 anni di reclusione della Knox (la
cui estradizione dagli U.S.A., dove è tornata dopo la prima assoluzione a
Perugia, era comunque tutta da dimostrare) ed i 25 di Sollecito. Resta in
carcere solo Rudy Hermann Guede, che aveva chiesto il rito abbreviato ed era
stato accontentato, ottenendo 16 anni di galera definitivi per “concorso in
omicidio”.
I due accusati principali dell’omicidio
di Meredith Kerscher avvenuto a Perugia la notte del 1° novembre 2007 vengono
quindi prosciolti, anch’essi definitivamente. Allo stato attuale non si sa pertanto
in concorso con chi abbia agito l’ivoriano che ad oggi resta l’unico
responsabile condannato per quei tragici fatti. Resta soltanto l’ennesima
brutta immagine guadagnata dalla giustizia italiana, al termine (per ora) dell’ennesima
brutta vicenda giudiziaria della nostra Repubblica.
Due processi a Perugia, l’annullamento
della Cassazione, il nuovo processo di Firenze ed il riscorso finale in
Cassazione conclusosi ieri sono le tappe di questa incredibile vicenda, l’ultimo
caso di cronaca nera italiana che va in archivio senza colpevoli accertati, e a
questo punto accertabili. La crisi pluridecennale della giustizia italiana
prosegue, amplificata nelle sue tinte fosche dalla concomitanza con gli sviluppi
di altri casi.
E’ di pochi giorni fa infatti l’incredibile
verdetto sul caso della sparizione di Roberta Ragusa, la donna che manca da
casa dal 2012 senza dare notizie di sé e per la cui sorte presunta era stato
indiziato il marito Antonio Logli. L’uomo è stato prosciolto dopo due anni e
passa di indagini perché “il fatto non sussiste”. Cioè a dire, non sappiamo se
Roberta Ragusa è viva e vegeta oppure se le è successo qualcosa, non si può quindi
processare un indiziato di un reato che non si può sapere allo stato attuale se
è stato commesso in assoluto. E per stabilire questo lapalissiano principio,
sono trascorsi appunto due anni giudiziari.
A Bergamo resta intanto in
carcere Giuseppe Bossetti, l’uomo indiziato dell’omicidio di Yara Gambirasio in
quel di Brembate. Il delitto è del 2010, il fermo del Bossetti è del giugno
2014, tra poco siamo ad un anno. In mano agli inquirenti soltanto il DNA dell’uomo,
rintracciato com’è noto in modo assai rocambolesco e – pare – ultimamente anche
messo in discussione. Riscontri oggettivi zero, gossip di paese tanto.
Colpevolisti e innocentisti che si affrontano sullo schermo televisivo e nelle
piazzette italiane come sempre dai tempi di Girolimoni e di Wilma Montesi.
Possibilità di arrivare ad una giustizia giusta che si affievoliscono a vista d’occhio
ogni giorno che passa.
Volendo, c’è anche Berlusconi assolto
con formula piena e definitivamente al cosiddetto “processo Ruby”. Altri cinque
anni di dispiego delle migliori energie investigative – o presunte tali – della
Repubblica che alla fine producono una bolla di sapone clamorosa, e
oggettivamente prevedibile. Il ricordo del decennale e completamente inutile
processo allo scomparso onorevole Giulio Andreotti sbiadisce al confronto.
Cresce intanto il conto spese di
questa giustizia che ormai nessuno può più difendere. La legge sulla
responsabilità civile dei magistrati, rinviata da forze politiche e lobbies
professionali per 28 anni dopo il referendum voluto da Pannella e Tortora,
passa alla fine per iniziativa del governo Renzi quasi come un provvedimento
qualsiasi. L’unico forse incontestato ed incontestabile dell’attuale esecutivo,
che mette tutti d’accordo proprio per il bisogno che la società civile avverte
ormai di una simile misura. La reazione di Ilda Boccassini è peraltro sintomatica:
“temo adesso soprattutto la cattiveria dei colleghi”. Siamo in queste mani.
La sentenza Knox – Sollecito, sia
chiaro, deve essere salutata – almeno in considerazione del suo valore “residuale”
– come una vittoria del diritto in senso lato. Meglio un colpevole fuori che un
innocente in galera, è un principio irrinunciabile di qualsiasi ordinamento. Lo
Stato non è stato capace di stabilire al di là di ogni ragionevole dubbio chi
ha ucciso Meredith Kerscher. E’ giusto che questo Stato sia sconfitto in
giudizio. E’ giusto che la nostra collettività, che non ha saputo produrre a se
stessa altro che questo Stato, paghi il conto delle spese e subisca gli effetti
di una giustizia che ormai può dirsi tale soltanto a termini di rubrica.
Welcome back, Amanda and Raffaele.
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