Le iperboli sono finite. Del
resto, insignire i leoni di White Hart Lane dell’ulteriore titolo onorifico di
Eroi di San Siro, può sembrare ridondante, e nello stesso tempo riduttivo.
Eppure è così. Siamo appena all’inizio del mese di ferro della Fiorentina,
eppure i suoi ragazzi hanno già messo a segno nel giro di pochissimi giorni due
imprese di quelle che restano a lungo nella memoria.
Se la vittoria contro il
Tottenham di giovedi scorso, con relativa qualificazione agli ottavi di Europa
League, entra di diritto nella storia del club, questa vittoria a Milano entra
di diritto nella sua leggenda, e nella leggenda di questo sport in generale..
Ha poco senso andare a spulciare archivi ed annali, sicuramente da un punto di
vista quantitativo ci saranno state imprese del genere dal dopoguerra ad oggi,
ma altrettanto sicuramente nessuna di questo valore e di questa portata.
Andare a vincere allo Stadio
Meazza di San Siro contro l’Inter ridotti addirittura in nove è un qualcosa che
non aveva fatto mai nessuno. E’ stata una partita d’altri tempi, quegli eroici
in cui le squadre non potevano sostituire gli infortunati, gli zoppi venivano
messi all’ala, i feriti alla testa venivano bendati e rispediti in campo, se
appena si reggevano in piedi. Da quando esiste il calcio moderno cose del
genere non si erano più viste. Soprattutto a questi livelli e con queste poste
in palio.
La Fiorentina torna dalla San
Siro nerazzurra con tre punti pesantissimi, e un’aura leggendaria per la quale
purtroppo non esiste riconoscimento a livello di trofei e gagliardetti da
esporre, ma che ne ha già avuti molti e ne avrà ancora di più da parte di
addetti ai lavori e tifosi, consapevoli tutti di quello che i ragazzi di
Montella hanno combinato sul prato del Meazza. Pagherà probabilmente un prezzo
molto alto, perché la lista degli infortunati si è allungata e la semifinale di
andata della Coppa Italia allo Juventus Stadium incombe. Ma è pur vero che
quando si vola sulle ali della gloria, si cammina a tre metri sopra il cielo
grazie al morale alle stelle che una simile vittoria può provocare, i cerotti –
per quanto numerosi – sono dettagli.
La serata milanese della
Fiorentina ha una regia che riprende alcuni temi epici già sviluppati nella
precedente uscita contro gli inglesi in Europa League, ma li sviluppa fino alle
estreme conseguenze. Viene da credere che ieri sera la Fiorentina giocasse con
il destino – finalmente benevolo – dietro le spalle. Capace di trasformare in
un punto di forza qualsiasi avversità.
E così, una partita cominciata
come una semplice buona, anzi ottima prestazione in casa di una blasonatissima
diretta concorrente e per di più in quella che viene giustamente considerata da
sempre la Scala del Calcio, ha finito per diventare un match da leggenda. San
Siro come Highbury Park, se ne parlerà a lungo, a prescindere da come finirà
questa stagione durissima ma sempre più affascinante per la squadra e per la
società viola.
Nel primo tempo la Fiorentina fa
per lunghi tratti un buon possesso palla al cospetto di un Inter che viene da
tre vittorie consecutive e sembra essere in procinto di riprendere il posto che
le compete in alta classifica. La Fiorentina colleziona almeno tre occasioni da
rete importanti, con Diamanti, Babacar e Kurtic, contro una di Guarin. Si
trattasse di boxe, sarebbe una vittoria ai punti. Tanta roba, se si considera
che la Fiorentina non vince in questo stadio e contro questo avversario dal
maggio del 2000. Giocava ancora Gabriel Batistuta, fu un 4-0 rotondo che
addolcì l’addio dell’argentino alla maglia viola di lì a poco. Nessuno
immaginava che per gioire di nuovo da queste parti sarebbero trascorsi quindici
anni.
Nessuno lo immaginava ancora
nell’intervallo, che questa attesa stava per finire. Ma Montella non era
soddisfatto, o forse l’ennesimo risentimento muscolare accusato da Babacar l’ha
costretto ad osare più di quanto avrebbe fatto in quel momento. Alla ripresa
del gioco al posto del senegalese si presenta colui che sta diventando il
beniamino assoluto dei tifosi viola, a suon di gol decisivi e pesantissimi.
Mohamed Salah aggredisce la difesa nerazzurra come aveva fatto con quella del
Tottenham, costringendo compagni ed avversari a suonare improvvisamente una
musica del tutto diversa.
Quando parte in contropiede con
lui la Fiorentina fa paura. E se i compagni non sempre sono in grado di seguire
i suoi scatti fulminanti, vuoi per stanchezza o per scelta tattica (l’Inter in
genere fa molto male a chi si scopre davanti ai suoi attaccanti), allora il
Messi delle Piramidi fa da sé. Sul cross dalla tre quarti di Pasqual, sul quale
Handanovic si fa trovare a mezza strada e non trattiene, si avventa lui e segna
di potenza e precisione. Gran gol, meritato fino a quel momento da una squadra
che ha giocato bene, probabilmente meglio dell’avversario.
Ma quante volte la Fiorentina ha
giocato bene tornando però via da questo o altri stadi con zero punti in tasca?
Anche l’anno scorso era partita alla grande, il rigore di Rossi aveva illuso e
poi l’Inter aveva rimontato. Al gol di Salah tutti guardano l’orologio: mancano
35 minuti più recupero. Un’eternità, neanche da pensarci.
Adesso l’Inter deve scuotersi per
forza, non può più stare a guardare la Fiorentina che palleggia da par suo e
manca addirittura il raddoppio, sempre con Salah, per un soffio. Mancini mette
in campo Shaqiri, che sta all’attacco nerazzurro come Salah a quello viola, e i
padroni di casa cominciano a premere, avventandosi su avversari e partita con
una foga rabbiosa che a volte pare addirittura eccessiva. L’unico a non
accorgersene è l’arbitro Davide Massa di Imperia, i viola invece se ne
accorgono eccome, e qualcuno comincia ad accusare i colpi.
Alla mezz’ora della ripresa,
quando Joaquin rileva un esausto Diamanti, la regia del match decide di virarne
la temperie da”bello” a “leggendario”. Icardi sbaglia praticamente un rigore in
movimento, Kurtic ciabatta fuori da par suo uno spettacolare contropiede dei
viola. Pochi minuti dopo tocca ad altri ciabattare. Dapprima l’arbitro non vede
Palacio che quasi decapita Tomovic. La ginocchiata dell’argentino al serbo
mentre questi sta cadendo a terra ricorda molto quella di Martina ad Antognoni
in quel 22 novembre del 1981 che nessuno può scordare.
Anche i secondi che Nenad
trascorre immobile al suolo mentre i sanitari della Fiorentina cercano di
rianimarlo ricordano quel precedente, ma incredibilmente l’unico a non
accorgersene è proprio il mister viola Montella, che ha preparato il cambio tra
Vargas e Aquilani (botta alla caviglia, con l’aggiunta della beffa dell’unica
ammonizione del match, complimenti al sig. Massa di Imperia) e che non si
accorge della necessità di sospenderlo, data la gravità di quanto sta accadendo
al suo terzino destro.
Mentre Vargas dà il cinque ad
Aquilani, in un clima surreale la barella entra in campo per portar via lo
stordito Tomovic (si saprà dopo che non avrà conseguenze di rilievo, per
fortuna). I suoi compagni guardano stralunati l’allenatore, che si è appena
reso conto dell’errore marchiano e chiede loro scusa, ma ormai la frittata è
fatta. La Fiorentina dovrà giocare in dieci gli ultimi nove minuti più
recupero.
Non basta. Tre minuti dopo si
accascia Savic, l’eroe di tante battaglie. Altra contrattura (bisognerà parlare
prima o poi di tutti questi risentimenti muscolari e dell’adeguatezza o meno
della preparazione atletica di questa squadra). Idealmente, non c’è tifoso
della Fiorentina che non si metta le mani nei capelli. Inventare una difesa che
porti in fondo i sei minuti mancanti più i sei che vengono annunciati di
recupero (per non parlare di presentarsi giovedi prossimo allo Juventus
Stadium) è praticamente impossibile.
Eppure è a questo punto che i
nove viola superstiti si meritano tutti gli appellativi ed i superlativi
possibili ed immaginabili. Dodici minuti, il tempo passa come le gocce di
umidità che formano le stalattiti nelle grotte. Palacio, che dovrebbe essere da
tempo a fare la doccia per il rosso diretto che gli sarebbe spettato grazie
all’aggressione a Tomovic, cerca per due volte di far male alla Fiorentina, per
l’ennesima volta. Per due volte, Norberto Murara Neto dimostra – se ce n’era
bisogno – che dei nove eroi viola superstiti lui è il condottiero. E che se
proprio non si vuole far nulla per trattenerlo in viola, forse sarebbe il caso
di intitolargli almeno qualcosa dalle parti dello Stadio Franchi.
La smanacciata con cui vola a
togliere il colpo di testa di Rodrigo Palacio da sotto la traversa è uno
schiaffo in faccia a lui, all’Inter e a tutta Milano. Lo schiaffo decisivo. Pochi
secondi dopo, Massa fischia la fine delle ostilità e consegna il referto di questa
partita alla leggenda. Come già tre giorni prima, sul prato restano solo i
ragazzi in viola (in bianco per l’occasione) a festeggiare sotto la curva dei
propri tifosi.
Poco dopo, in sala stampa
Vincenzo Montella dimostra di essere un gran signore oltre che un ragazzo che
probabilmente imparerà dai propri sbagli ammettendo senza mezzi termini che i
suoi giocatori hanno compiuto un’impresa eroica anche malgrado il suo errore.
Ma l’impresa è tale che non è il caso di gettargli la croce addosso più di tanto.
Il gruppo che ha creato – o ricreato – risponde alla grande a qualsiasi
sollecitazione, giusta o sbagliata che sia. Perfino Ilicic appare un giocatore
rinato, e questo vorrà dire qualcosa.
Sotto a chi tocca. Qualcuno a
Firenze si preoccupa per i sorteggi sfavorevoli e la durezza degli avversari
nei prossimi confronti di Coppa, Italia e League. Senza voler apparire
presuntuosi, crediamo che ci sia qualcuno che si stia preoccupando adesso anche
a Torino e Roma.
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