Ho fatto in tempo a conoscere la
tua tris-nonna Giulia, la moglie di Stefano. Quando ero piccolo, me la ricordo
come una donna antica, segnata dalla vita che aveva fato, e tuttavia a modo suo
dolce e piena di saggezza. Quando poi ho appreso le storie che ti sto raccontando,
mi sembrava impossibile che provenisse da un mondo così diverso da quello in
cui vivevo io bambino, molto più simile a quello in cui ora vivi tu, e che
avesse visto e fosse sopravvissuta a tutte queste cose senza perdere quella
dolcezza e quella saggezza, senza odiare nessuno, né la vita in generale, per
le difficoltà che aveva vissuto. E lo stesso era per suo figlio, il mio nonno
Angiolino. Erano sempre pronti a darti qualche consiglio, o meglio qualche
proverbio che proveniva dalla vecchia saggezza popolare di una volta, e che io
ovviamente allora non capivo: “stai attento o ripasserà il guadagno”
(comportati bene o ne pagherai le conseguenze), “la compagnia è bella in
dispari e tre sono troppi” (meglio stare da soli che con gente balorda, cioè
quasi tutti, dicevano loro…..soprattutto nel mondo di oggi), detti di questo
genere. Io non capivo, ma mi divertivo e pendevo dalle loro labbra. Erano una
miniera d’oro, di storie e di esperienza. Meglio che guardare la televisione.
Li vedevo così, erano sempre stati così, per me. E invece no, c’erano diventati
così, alla fine delle loro vite. Sentivo mio nonno ogni tanto canticchiare:
“Santa Madre dolorosa, manca il pane, il vino e ogni cosa, e i figlioli
piangono”. Credevo che fosse uno dei suoi proverbi incomprensibili, un gioco o
un suo modo di fare come quelli che hanno i grandi a volte, da accettare senza
chiedersi perché. E ci ridevo,a volte facendo ridere anche lui. E non capivo
che quelle parole venivano da un altro tempo che lui aveva vissuto e che non
riusciva neanche a raccontare, né a me né a nessun altro. E quando l’ho capito,
come spesso succede, lui non c’era più, e non potevo più dirgli quanto gli
volevo bene e quanto gli ero grato per essere sopravvissuto a quei tempi e a
quelle difficoltà, e per aver regalato a me e a tutti noi della famiglia tempi
decisamente migliori.
Immaginati una mamma e due figli
che si trovano soli, senza più una lira e senza un aiuto. Dall’oggi al domani,
alla morte del babbo, Angiolino, che aveva avuto il privilegio di andare a
scuola e che – come mi raccontò tanti anni più tardi – ci andava anche
volentieri, “perché non è vero che la penna è più dura della zappa” (perché era
meglio andare a scuola, a 10 anni, piuttosto che andare a lavorare), ebbe
dunque il privilegio, come unico “uomo” (di poco più di 10 anni) rimasto in
casa, di andare a lavorare, perché la scuola non se la poteva permettere più e
perché adesso doveva provvedere lui a mantenere la famiglia.
A volte il tuo bis-nonno aveva
voglia di parlare, di raccontare, soprattutto con me che gli facevo sempre
tante domande. A volte mi accontentava. Una sera, a Siena, mi raccontò tutti i
lavori che aveva fatto da giovane, dopo che alla morte del suo babbo si era
trovato sbattuto nel mondo dei grandi. Me ne ricordo pochi, purtroppo. Ricordo
che mi disse che a vent’anni si era ritrovato a fare il pavimentatore di
alabastro nelle ville dei signori al mare. Ormai conosci bene la zona di
Sabaudia, dove c’è la casa al mare di zia Rita. Hai visto che ci sono delle
case stupende, alcune sono vere e proprie ville, costruite all’epoca in cui il
tuo bis-nonno era un ragazzino come te. Ecco, in alcune di esse ci saranno
ancora dei pavimenti in alabastro che ha messo lui. E chissà in quanti altri
posti in Toscana e nel Lazio ci sono i suoi pavimenti o altre cose fatte da
lui.
Era una vita dura, per un ragazzo
di vent’anni, un’apprendista che lavorava con operai più grandi con poca
pazienza e poca comprensione per un ragazzo che sicuramente a quell’epoca non
era molto felice della vita che stava facendo, sempre lontano da casa, dalla
mamma Giulia e dalla sorella Beppina a cui ha sempre voluto molto bene, sempre
senza un soldo, perché quei pochi dovevano andare a casa. Era un mondo duro.
Non c’era più la guerra, ma dopo era stato anche peggio. In Italia c’era il
Fascismo, la dittatura, la mancanza di libertà per tutti. I ragazzi poi
dovevano solo lavorare, ubbidire e fare il soldato per la Patria (tuo bis-nonno
si salvò perché, avendo la madre vedova a carico, non poteva smettere di
lavorare, come si salvò poi tuo nonno Mario, perché, avendo gli occhiali da
sempre, fu giudicato inadatto a fare il soldato; l’unico che, come sai, non si
è salvato ed è partito militare è il tuo babbo che ti scrive questa storia….per
fortuna, non avevo difetti fisici, avevo tutti e due i genitori e avevo finito
di studiare….e partii…..ma per fortuna non c’era una guerra, come al tempo del
tris-nonno Stefano, anche se ci si andò vicino….).
Era una vita dura, e il tuo
bis-nonno non resse più di tanto. Dopo pochi anni riuscì a trovare lavoro a
Siena come barista, in un bar che esiste sempre, vicino a quella cartoleria
dove mi facevi comprare sempre giocattoli, quando eri più piccolo. E fu mentre
lavorava in quel bar che conobbe tua bis-nonna. Vicino al bar c’era, e c’è
tutt’ora il più grande e bell’albergo di Siena, il Continental. La tua
bis-nonna Angela lavorava lì come cuoca, e a volte andava al bar a prendere un
caffè. Alla fine notò questo barista, o lui notò lei. Fatto sta che nel 1933
erano sposati, Angelo e Angela, che per noi sarebbe stata sempre – come il
marito – Angiolina.
Se il tuo bis-nonno Angiolino è
uno dei più bei ricordi della mia infanzia che ho, la tua bis-nonna Angiolina è
il più bello in assoluto. La mia mia nonna era la dolcezza in persona. L’ho
avuta solo per cinque anni, ma me la ricordo come fosse adesso.
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