Era figlio di un tessitore della
Repubblica di Genova. Una famiglia e un’azienda non ricche. Dopo varie
vicissitudini come molti suoi conterranei del tempo trovò rifugio e avvenire
nel mare.
Cristoforo Colombo era nato a
Genova il 3 agosto 1451. Una data che era destinata a ricorrere nella sua vita
di predestinato. A quattordici anni era già in mare, imbarcato sui mercantili
della Repubblica Marinara. Genova, insieme a Venezia, era stata la prima realtà
italiana e forse anche europea a rimettere il capo fuori dalle tenebre in cui
il continente era stato piombato dalle Invasioni barbariche che avevano posto
fine all’Impero Romano.
Le due Repubbliche del Mare
avevano fatto di nuovo del Mediterraneo il Mare
Nostrum, e dell’Italia il centro del mondo conosciuto. La loro supremazia
culturale ed economica aveva mantenuto loro una posizione di preminenza, di
indispensabilità anche al tempo dell’affermazione dei grandi stati nazionali,
soprattutto Francia e Spagna, che per sviluppare i loro commerci e condurre le
loro guerre spesso avevano bisogno dei soldi e delle navi delle città marinare
italiane.
Il 3 gennaio 1492, con la presa
di Granada, si era completata la riconquista della penisola iberica dalla
dominazione araba da parte dei sovrani Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia,
da quel momento in poi nominati con bolla del Pontefice “Maestà
Cattoliche”. La Spagna, al termine di quella guerra di liberazione
plurisecolare, si ritrovava per forza di cose con l’esercito più forte d’Europa
e con una vitalità e una sete di conquista senza eguali. Insieme alla Francia
uscita dalla Guerra dei Cento Anni con l’Inghilterra, era stato il primo stato
nazionale a riunificarsi. L’Europa e il mondo divennero il campo di battaglia
dei due paesi, con l’Inghilterra stessa come terzo incomodo.
L’Italia, divisa in tanti stati
dalla volontà del Papato di evitare a tutti i costi di essere circondato da un
potere temporale altrettanto forte, era destinata a perdere il suo primato
entro breve tempo. Il giovane marinaio genovese fu uno dei tanti che per cercar
fortuna si diresse verso la penisola iberica, il paese delle mille promesse.
Spagna e Portogallo furono da subito i principali committenti dei suoi viaggi.
Il ragazzo che aveva divorato il Milione
di Marco Polo trovò lì nutrimento alle sue idee e - alla lunga – sostentamento ai
suoi tentativi di metterle in pratica.
Il veneziano Marco Polo aveva per
primo fatto conoscere al mondo cosa c’era oltre le terre fino a cui prima di
lui era riuscito a spingersi solo il più celebre dei condottieri dell’Antichità,
Alessandro Magno. La favolosa India e l’altrettanto
mitico Katai, la Cina, l’immenso
territorio cinto da quella Grande Muraglia che aveva spinto gli Jung Nu, gli Unni a rivolgere i loro
cavalli e le loro armi contro l'Impero
Romano, più facile da sconvolgere e razziare . Roma forse aveva saputo da dove veniva la seta che abbelliva le vesti
dei suoi cittadini e i suoi edifici. Venezia lo riscoprì.
Il genovese Cristoforo Colombo
sapeva tutto di quel viaggio storico, delle terre che attendevano gli audaci Conquistadores che mordevano il freno in
un’Europa sempre più sovrappopolata ed affamata. E come molti lupi di mare del
suo tempo sospettava che esistesse una via più breve di quella di Marco Polo
per il Katai, per Cipango (il Giappone) e per l’India che
aveva fermato l’avanzata di Megas Alexandròs, Alessandro Magno. Lo sospettava, ma osava parlarne
ad alta voce solo con altri suoi compari, gente fidata che condivideva le sue
credenze. Al riparo delle orecchie di Santa Madre Chiesa e delle sue
Inquisizioni.
La Chiesa Cattolica aveva fatto propria
la cosmologia e la geografia pagane, per motivi di interesse. Una terra piatta
posta al centro del mondo disegnava alla perfezione quell’assetto planetario e territoriale
al centro del quale erano posti Roma e il Vaticano. Nemmeno Tolomeo però avrebbe mai
immaginato che mille anni dopo il Papa di Roma avrebbe mandato ancora al rogo
chi osava mettere in discussione le sue teorie sull’universo e sul potere che
lo regolava.
Ma i marinai come Colombo ormai andavano
abitualmente oltre le Colonne d’Ercole, avevano visto che il mondo non finiva
lì, non c’era un orlo oltre il quale si cadeva. In cielo le stelle stavano a
mostrare che noi eravamo uno dei tanti puntini di quell’Universo a confronto di
cui la Chiesa di Roma era nulla più che una formica. Un mondo vecchio di più di
mille anni aspettava di essere spazzato via dal primo coraggioso che avesse
issato la vela verso occidente, verso le ricchezze descritte da Marco Polo e
chissà cos’altro.
Colombo aveva quel coraggio da
sempre, dentro di sé. Mancava solo un finanziatore. I Re d’Europa lo
ascoltavano pazientemente e poi lo rimandavano indietro. Nessuno se la sentiva
di attingere a finanze dissanguate da varie guerre interminabili per sfidare la
sorte e la Chiesa. Nessuno, nemmeno la Repubblica di Genova che si sentiva
sazia del dominio del Mare Mediterraneo.
Perfino il Re del Portogallo, che
spediva da anni i suoi marinai a circumnavigare l’Africa e a stabilire nuove
rotte per l’Arabia e l’India, disse di no all’italiano che proponeva la rotta
verso l’Ignoto. Eppure quell’italiano sapeva il fatto suo, sembrava convincente
quando parlava dei resoconti delle Saghe Vichinghe, che narravano di viaggi
attraverso il Mare Oceano verso gli attuali Islanda, Groenlandia e Canada. O
del ritrovamento presso le coste europee o delle Isole Canarie o Britanniche di
manufatti e addirittura di catafalchi funebri che non appartenevano
evidentemente alla nostra cultura. O quando ancora riferiva i calcoli dei
cartografi italiani (i migliori del tempo) o degli astronomi e astrologi che
dimostravano come la rotta fosse possibile.
Alla fine, le tre caravelle
furono consegnate all’ardimentoso italiano da parte dell’armatore più
improbabile. La Spagna era la colonna portante più solida della Chiesa di Roma.
Al tempo della guerra contro i Mori e fino alla cacciata dei Moriscos, nella penisola iberica chi era
cattolico era spagnolo. La religione era diventata il carattere distintivo
dell'identità nazionale, sconfinando spesso nel fanatismo a causa della necessità di condurre
una lotta mortale contro l’invasore islamico. Quando la nuova Spagna di Ferdinando
e Isabella ricevette la benedizione di Papa Alejandro Borja, un altro spagnolo, essa pose la sua
spada – e la sua Inquisizione – al servizio della Chiesa.
Mentre ascoltavano quell’italiano,
Cristobal Colon, i sovrani cattolici
erano combattuti tra l’osservanza dei precetti cristiani e la voglia di andare
a sottomettere le favolose terre d’oriente. Di creare un impero su cui entro
breve non avrebbe più tramontato il sole. Per di più, l’avvento dei Turchi
Selgiuchidi alla guida dell’Islam e la Caduta di Costantinopoli (due anni dopo
la nascita di Colombo) avevano chiuso definitivamente la via della seta tracciata
da Marco Polo. Non c’era rimasto gran che da perdere. Quella spagnola era già
una discreta flotta, sacrificare tre caravelle per lasciare che il genovese
tentasse la sorte non parve loro un gran sacrificio. Il viaggio avrebbe avuto
inizio.
La Nina, la Pinta e la Santa Maria |
L’uomo che era nato il 3 agosto
1451 salpò il 3 agosto 1492 da Palos de la Frontera, un porto sulla costa dell’Andalusia
subito a sud del confine portoghese. Il figlio del tessitore genovese, il
marinaio che prima di partire si era fatto nominare Ammiraglio del Mare Oceano, comandante cioè e amministratore di
tutto ciò che avrebbe scoperto e su cui avrebbe piantato la bandiera delle loro
Maestà Cattoliche, entrò nella storia dell’umanità nel momento in cui dette l’ordine
ai suoi uomini di volgere la vela ad occidente.
Quello fu il momento del
coraggio, della rotta verso l’Ignoto, del salto consapevole nel buio. Quella fu
la nascita del mondo moderno. La nostra storia. L’inizio della gloria immortale
per il nome di Cristoforo Colombo.
Nessun commento:
Posta un commento