Questa è una storia di quelle che
paiono fatte apposta per diventare leggende, favole mitologiche che celebrano lo
spirito più nobile della razza umana. Teseo che sfida il Minotauro, Prometeo
che sfida gli Dei per il fuoco, Ulisse che sfida le Colonne d’Ercole. E’ una
storia moderna però, il cui momento culminante ebbe luogo tra il 3 ed il 9
agosto del 1936, ed è un peccato che non vi fossero più Omero e gli altri
cantori di miti classici, perché la storia di Jesse Owens e di come andò a
vincere le Olimpiadi in casa del Tiranno nelle loro mani sarebbe diventata un grande
poema epico.
Luz Long e Jesse Owens all'Olympiastadion di Berlino |
James Cleveland Owens era un nero
dell’Alabama, nato nel 1913. Basterebbe questo a far capire quale fu il suo
esordio nel mondo, miseria senza nessuna possibilità di riscatto come quella di
tanti altri ragazzi della sua razza, o della sua etnia, come si dice oggi in
modo politicamente corretto. Gli afroamericani avevano avuto nel 1865 l’affrancamento
dalla schiavitù per merito del Presidente Lincoln e della Guerra Civile da lui affrontata
e vinta. Ma ancora cinquanta anni dopo, i diritti civili e politici – nonché condizioni
di vita minimamente decenti – erano per quella gente tutt’altra questione.
Un primo barlume di progresso
arrivò con la Prima Guerra Mondiale, a cui i neri americani parteciparono in
gran numero, ma fu stroncato subito dalla Grande Depressione. Alla fine degli
anni 20, la famiglia Owens si spostò in cerca di sopravvivenza lungo le linee
di una migrazione interna della disperazione. Finirono a Cleveland. Il piccolo
J.C. non riusciva a farsi capire nel suo slang del profondo sud dagli
insegnanti di scuola della città industriale, se non per quelle iniziali. Uno
di questi insegnati risolse la questione: J.C. stava per James Cleveland,
abbreviato in Jesse. Con questo nome, il ragazzino nero un giorno sarebbe
passato alla storia.
Jesse amava la corsa, lo sport
dei poveri da sempre, perché non richiede alcuna risorsa economica per essere
praticato, solo gambe, fiato, testa e tanta voglia di sacrificarsi. Nel 1933, a
20 anni, i suoi risultati ai campionati studenteschi (frequentava le scuole
tecniche e per pagarsi gli studi lavorava in un negozio di scarpe) lo imposero
all’attenzione del mondo sportivo. Gli U.S.A. erano già il paese dove se
eccellevi nello sport compariva subito una borsa di studio per te, come per
magia. Jesse Owens fu ammesso all’Università Statale dell’Ohio. Per la sua
famiglia fu l’inizio di tempi di vacche meno magre, per lui fu il momento di
dedicarsi seriamente all’atletica.
Dall’altra parte dell’Oceano, i
risultati delle elezioni in Germania avevano dato intanto a Herr Adolf
Hitler il Cancellierato di quel paese. Alla guida del Partito
Nazionalsocialista, che predicava senza mezzi termini la supremazia della razza
ariana in Germania e della Germania nel mondo, da conseguire con ogni mezzo,
Hitler mostrò subito all’opinione pubblica internazionale che faceva sul serio,
che i tempi della pacifica convivenza tra le nazioni, i popoli e le razze erano
finiti e che il suo regime sarebbe stato totalitario per eccellenza.
Adolf Hitler allo Stadio di Berlino durante le gare olimpiche |
Le Olimpiadi del 1936, che erano
state assegnate alla città di Berlino, erano un’occasione troppo ghiotta perché
quel regime si lasciasse sfuggire la possibilità di una celebrazione imperiale
quale il mondo non vedeva più dal tempo degli imperatori romani. Il ministro
della propaganda Goebbels e la più grande regista cinematografica dell’epoca
Leni Riefenstahl fecero delle Olimpiadi di Berlino di fatto le prime dell’Era
Moderna, intesa come epoca dei mass media. Furono anche, inevitabilmente,
l’apoteosi del Nazismo.
Jesse Owens fu iscritto dalla
federazione americana a quattro gare: 100 e 200 metri piani, staffetta 4x100 e
salto in lungo. Vinse tutte e quattro le gare, stabilendo un record che per
essere eguagliato avrebbe dovuto attendere ben 50 anni e un altro figlio del
vento, il nero Carl Lewis anche lui originario dell’Alabama. Il 3 agosto
vinse la finale dei 100, il giorno dopo si ripetè in quella del Lungo, dove
superò nientemeno che l’atleta di casa, il campione ariano Luz Long, il
favorito. Quel pomeriggio ci fu anche l’episodio passato alla storia del
mancato incontro con Hitler.
Narrano le cronache che il Fuhrer
si rifiutasse di partecipare personalmente alla premiazione (come faceva sempre
quando era presente allo stadio olimpico) e se ne andasse via sdegnato per la
vittoria di quel nero che aveva sovvertito l'ordine naturale delle cose, almeno
secondo la filosofia esposta nel Mein Kampff. In realtà, come ha raccontato
Owens, non ci fu alcun incidente del genere, Il Cancelliere tedesco si limitò
ad alzarsi in piedi al passaggio della Medaglia d’Oro di ritorno negli
spogliatoi e lo salutò con un timido gesto della mano, che Owens ricambiò.
Il podio del salto in lungo: Owens medaglia d'oro, Long medaglia d'argento, Tajima medaglia di bronzo |
Fu semmai il democratico
presidente americano Franklin Delano Roosevelt a snobbare il plurimedagliato
campione nero, l’eroe americano delle Olimpiadi di Berlino. Roosevelt era
impegnato nella campagna per la rielezione, che cadeva quell’anno, e temendo di
compromettere i suoi voti negli Stati del Sud ritenne opportuno annullare il ricevimento
di Owens alla Casa Bianca. A questa mancanza, rimediò nel 1976 un altro presidente
americano, Gerald Ford, che gli conferì la Medaglia presidenziale della Libertà,
massima onorificenza concessa negli U.S.A. ad un civile. Ford lo omaggiò con queste
parole: «Owens ha superato le barriere del razzismo, della segregazione e del bigottismo
mostrando al mondo che un afroamericano appartiene al mondo dell'atletica».
Jesse Owens morì quattro anni
dopo a causa di un cancro ai polmoni. Dal 1984 c’è una strada di Berlino intitolata
a suo nome. Dal 1990, grazie al presidente George W. Bush senior c’è una Medaglia
d’Oro del Congresso che riposa sulla sua tomba, a Chicago. Luz Long, lo
sconfitto della gara del salto in lungo del 1936, divenuto poi suo grande amico
in barba a qualsiasi precetto tra quelli in vigore all’epoca nel suo paese, era
morto da molto tempo. Cadde il 14 luglio 1943 in Sicilia mentre combatteva con
la Wehrmacht nei giorni successivi allo sbarco alleato. La sua tomba è
nel cimitero militare tedesco di Motta Sant’Anastasia, presso Catania.
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