Andiamo con ordine, perché le
sciocchezze dette e fatte sono veramente tante, così come i tentativi di farle
passare per i nuovo che avanza.
La prima sciocchezza l’ha fatta –
e da tempo – la Federcalcio, arrivando a questa estate 2014 con un sistema
calcio italiano ridotto ai minimi termini. La certificazione arriva il giorno
24 giugno, quando la Banda Prandelli si fa eliminare dai piranas uruguaiani al mondiale brasiliano. E’ la seconda
eliminazione al primo turno consecutiva, ma a confronto quella sudafricana di
quattro anni fa pare episodica, Lippi 2010 come Bearzot 1986 e Valcareggi 1974,
fine cicli in attesa di ripartire subito alla grande con tecnici più giovani.
Questa volta invece siamo a fine
corsa, ed il primo ad accorgersene è proprio mister Prandelli, che mezz’ora
dopo la debacle si dimette, seguito a
ruota dal Presidente Abete. Sul ponte di comando non resta nessuno a gridare
loro “risalite a bordo, c…..!” come fece qualcun altro con il Comandante Schettino
in circostanze peraltro ben più drammatiche.
Carlo Tavecchio |
O meglio, sul ponte di comando
qualcuno c’è, e in attesa della resa dei conti rimandata all’11 agosto (che
fretta c’è? Il nostro calcetto tanto riprenderà presto con le amichevoli estive…..)
addirittura si candida alla Presidenza. Si chiama Carlo Tavecchio, ed è uno di
quei personaggi improbabili che il carrierismo italiano presenta continuamente,
a tutti i livelli politici ed amministrativi. Malgrado il nome poco
beneaugurante, il “nuovo che avanza” – nel marasma dell’ennesima Caporetto
italiana – è lui.
Carlo Tavecchio è un ex
democristiano lombardo, e fin lì siamo nella norma. Se non sei DC nell’italia
del dopoguerra vai poco lontano. Di sicuro non salti nel giro di pochissimi
anni dalla dirigenza della Banca di
Credito Coperativo dell’Alta Brianza alla poltrona di Sindaco della natìa
Ponte Lambro alla Polisportiva Pontelambrese su su fino alla Lega Nazionale
Dilettanti. La resistibile ascesa del Tavecchio che avanza sopravvive anche
alla Democrazia Cristiana ed alla Prima Repubblica. Nel 2007, per farla breve,
l’ascesa dell’uomo si conclude (per ora) con la nomina a vicepresidente vicario
nientemeno che della Federazione Italiana Gioco Calcio.
Storia di un italiano, avrebbe intitolato questo film il compianto
Albertone Sordi. Storia d’Italia, che si ritrova con il giocattolo Calcio rotto
in mille pezzi quanto e più di altre volte, una crisi epocale che richiederebbe
un rinnovamento epocale, quanto e più di altre volte. Non c’è più Fulvio Bernardini,
d’accordo, ma stavolta servirebbe un condottiero ai massimi vertici, un leader
carismatico capace di piegare il sistema ad un rinnovamento forzato, sbattendo
fuori gli interessi di procuratori e direttori sportivi e rimettendo in primo
piano quelli degli atleti più meritevoli (italiani e non) e soprattutto del
pubblico pagante.
I francesi si sono affidati da
tempo alla loro stella del passato, Michel Platini. Noi teniamo lontano dalla
stanza dei bottoni la nostra stella più brillante dentro e fuori dal campo,
quel Gianni Rivera che non aveva nulla da invidiare a Platini quando giocava,
anzi, e che una volta appese le scarpe al chiodo si è dimostrato un uomo
politico sicuramente di valore maggiore rispetto alla maggior parte dei suoi
colleghi. Macché, è inviso al Palazzo perché è uno che dice quello che pensa e
fa quello che dice, diversamente dalla genìa che va da Carraro ad Albertini.
Franco Carraro |
Come Pietrangeli nel tennis,
riscoperto obtorto collo quasi
ottuagenario, Rivera morirà esiliato da quel mondo che avrebbe potuto e dovuto
essere il suo mondo. Il suo reame, staremmo per dire. Ma la sensazione è che ne
moriranno diversi (in senso figurato) tra le seconde, terze e anche quarte
linee senza arrivare a Roma, come avrebbe detto Venditti. Il sistema non vuole
essere riformato, come ogni sistema italiano che si rispetti. Come il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, al
limite accetta che tutto cambi perché tutto resti come prima. Ci vuole dunque
un uomo di apparato, meglio se amico degli amici, et voilà, monsieur Tavecchio è il candidato.
Nel clima surreale che va dal
mondiale brasiliano alle fatidiche Idi di Agosto, pare che nessuno degli
addetti ai lavori trovi di meglio di questo personaggio che pare uscito da una delle
commedie all’italiana degli anni settanta per affidargli i patrii destini
pallonari. Anche perché il Tavecchio, che non naviga in politica da un giorno e
basta, si presenta subito con un programma da tribuno della plebe che offre
nientemeno che la redistribuzione dei diritti televisivi. E la plebe è tutta
con lui ovviamente, a cominciare dalla Lega Pro per finire con quelle società
di serie A che da tempo lamentano disparità e discriminazioni. Da Beretta a Lotito,
passando per i Della Valle, è un plebiscito. Pazienza se Juve e Roma (che con i
diritti televisivi stanno a posto così, “servite”, si direbbe a poker) si
chiamano fuori dal coro, per una volta la prima e la seconda del campionato
paiono isolate e sconfitte.
E veniamo alle sciocchezze,
perché non appena viene formalizzata la candidatura di Tavecchio ecco che il
pontelambrese di lungo corso comincia a sfornarne in quantità e qualità, come
fossero i fuochi d’artificio di Piedigrotta. Basterebbe la prima, elargita all’assemblea
della lega Dilettanti che lo acclama, a riconsiderare tutta la faccenda: «Le
questioni di accoglienza sono un conto, quelle del gioco un'altra. L'Inghilterra individua
dei soggetti che entrano, se hanno professionalità per farli giocare, noi
invece diciamo che Optì Pobà è venuto qua, che
prima mangiava le banane, adesso gioca titolare nella Lazio e va bene così. In Inghilterra
deve dimostrare il suo curriculum e il suo pedigree... ».
Andrea Agnelli |
Pensiero che potrebbe avere anche un fondamento condivisibile, espresso
come peggio non si poteva, con una assenza di dimestichezza con la scienza
della comunicazione che contrasta in maniera allarmante con la carica che si
vuole andare a ricoprire. Qualcuno si ritrae inorridito, qualcuno – con pusillanimità
tutta italiana – prende la palla al balzo per prendere distanze che altrimenti
non avrebbe avuto il coraggio di prendere. Mentre la F.I.F.A. fa sapere di non
aver gradito l’esternazione del probabile futuro presidente di una sua
affiliata (proprio mentre infuria la campagna mediatica contro il razzismo, con
la sfilata delle figurine dei calciatori più famosi, da Messi a Cristiano Ronaldo),
il fronte si rompe. I primi sono i della Valle, la Fiorentina si chiama fuori.
Sia per principio o sia per calcolo, gli inventori del terzo tempo e del calcio
etico non ne vogliono sapere di legare il proprio nome e la propria immagine a
colui che prepara i suoi interventi con la stessa disinvoltura con cui cucina
le pere cotte.
Seguono a ruota altri club. In tempi di crisi, i carri di vincitori e
sconfitti sono sempre movimentati da un via vai notevole. Il sistema intanto fa
quadrato, Franco Carraro proclama “scripta manent, verba volant”, manco fosse
un Lotito qualsiasi. Ciò che vuol dire l’uomo che ha un solo sedere per troppe
poltrone è che Tavecchio ha detto una boutade
infelice, senza dubbio, ma ciò che conta è ciò che promette nel suo programma.
Sono i soldi, che da Vespasiano in poi governano la politica a Roma. Anche Gigi
Riva spezza una lancia (e parte del proprio nome glorioso) in difesa del “buon
uomo” Tavecchio. Va a finire che Albertini Demetrio si erge a salvatore della
patria resistendo all’opposizione, e abbiamo detto tutto.
Claudio Lotito |
Nel frattempo il Dossier Tavecchio si amplia. Si scopre che è il
promotore della campagna “Spogliati e gioca” per la valorizzazione del calcio
femminile. «Da sempre protesi a voler dare una dignità estetica alla
donna del calcio. Prima si pensava che fosse handicappata rispetto al maschio
per resistenza ed altri fattori, adesso invece abbiamo riscontrato che sono
molto simili. Adesso abbiamo creato uno slogan che parla della donna come
l'altra metà del calcio». Una sintesi perfetta tra il miglior Verdone ed un
Albanese d’annata.
Più indietro ancora. Dopo una sconfitta della sua amata Inter con la
Roma, il futuro “presidente di tutti” aveva definito i tifosi giallorossi “coatti
e magnatrippa”. Ad ognuno il suo cibo preferito, banane agli africani, trippa
ai romanisti. E per finire, una nota storica. Dopo giorni di gogna mediatica
Carlo Tavecchio sbotta: “Un trattamento simile non era stato riservato nemmeno
all’assassino di John Fitzgerald Kennedy”. Lee Harvey Oswald, che com’è noto fu
misteriosamente ucciso due giorni dopo gli spari di Dallas.
Cosa abbia voluto dire il candidato Nomen
Omen, che evidentemente ha frequentato troppo Lotito e poco una scuola
seria, lo sa solo lui. Cosa cerchino da un simile candidato le società che
ancora si dichiarano disposte a votarlo l’11 agosto lo sanno solo loro. La
logica del “tanto peggio tanto meglio” che apparteneva a una certa destra
squadrista di diverso tempo fa?
Nel frattempo i tifosi della Fiorentina plaudono ai loro patron. I Della Valle sembrano averne
indovinata un’altra, e per tempo. A prescindere dalle sorti future viola. Per
quelle azzurre, mai come adesso il futuro è nelle mani di Dio.
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