martedì 5 agosto 2014

DIARIO VIOLA: Non è un paese per Tavecchi

Andiamo con ordine, perché le sciocchezze dette e fatte sono veramente tante, così come i tentativi di farle passare per i nuovo che avanza.
La prima sciocchezza l’ha fatta – e da tempo – la Federcalcio, arrivando a questa estate 2014 con un sistema calcio italiano ridotto ai minimi termini. La certificazione arriva il giorno 24 giugno, quando la Banda Prandelli si fa eliminare dai piranas uruguaiani al mondiale brasiliano. E’ la seconda eliminazione al primo turno consecutiva, ma a confronto quella sudafricana di quattro anni fa pare episodica, Lippi 2010 come Bearzot 1986 e Valcareggi 1974, fine cicli in attesa di ripartire subito alla grande con tecnici più giovani.
Questa volta invece siamo a fine corsa, ed il primo ad accorgersene è proprio mister Prandelli, che mezz’ora dopo la debacle si dimette, seguito a ruota dal Presidente Abete. Sul ponte di comando non resta nessuno a gridare loro “risalite a bordo, c…..!” come fece qualcun altro con il Comandante Schettino in circostanze peraltro ben più drammatiche.
Carlo Tavecchio
O meglio, sul ponte di comando qualcuno c’è, e in attesa della resa dei conti rimandata all’11 agosto (che fretta c’è? Il nostro calcetto tanto riprenderà presto con le amichevoli estive…..) addirittura si candida alla Presidenza. Si chiama Carlo Tavecchio, ed è uno di quei personaggi improbabili che il carrierismo italiano presenta continuamente, a tutti i livelli politici ed amministrativi. Malgrado il nome poco beneaugurante, il “nuovo che avanza” – nel marasma dell’ennesima Caporetto italiana – è lui.
Carlo Tavecchio è un ex democristiano lombardo, e fin lì siamo nella norma. Se non sei DC nell’italia del dopoguerra vai poco lontano. Di sicuro non salti nel giro di pochissimi anni dalla dirigenza della Banca di Credito Coperativo dell’Alta Brianza alla poltrona di Sindaco della natìa Ponte Lambro alla Polisportiva Pontelambrese su su fino alla Lega Nazionale Dilettanti. La resistibile ascesa del Tavecchio che avanza sopravvive anche alla Democrazia Cristiana ed alla Prima Repubblica. Nel 2007, per farla breve, l’ascesa dell’uomo si conclude (per ora) con la nomina a vicepresidente vicario nientemeno che della Federazione Italiana Gioco Calcio.
Storia di un italiano, avrebbe intitolato questo film il compianto Albertone Sordi. Storia d’Italia, che si ritrova con il giocattolo Calcio rotto in mille pezzi quanto e più di altre volte, una crisi epocale che richiederebbe un rinnovamento epocale, quanto e più di altre volte. Non c’è più Fulvio Bernardini, d’accordo, ma stavolta servirebbe un condottiero ai massimi vertici, un leader carismatico capace di piegare il sistema ad un rinnovamento forzato, sbattendo fuori gli interessi di procuratori e direttori sportivi e rimettendo in primo piano quelli degli atleti più meritevoli (italiani e non) e soprattutto del pubblico pagante.
I francesi si sono affidati da tempo alla loro stella del passato, Michel Platini. Noi teniamo lontano dalla stanza dei bottoni la nostra stella più brillante dentro e fuori dal campo, quel Gianni Rivera che non aveva nulla da invidiare a Platini quando giocava, anzi, e che una volta appese le scarpe al chiodo si è dimostrato un uomo politico sicuramente di valore maggiore rispetto alla maggior parte dei suoi colleghi. Macché, è inviso al Palazzo perché è uno che dice quello che pensa e fa quello che dice, diversamente dalla genìa che va da Carraro ad Albertini.
Franco Carraro
Come Pietrangeli nel tennis, riscoperto obtorto collo quasi ottuagenario, Rivera morirà esiliato da quel mondo che avrebbe potuto e dovuto essere il suo mondo. Il suo reame, staremmo per dire. Ma la sensazione è che ne moriranno diversi (in senso figurato) tra le seconde, terze e anche quarte linee senza arrivare a Roma, come avrebbe detto Venditti. Il sistema non vuole essere riformato, come ogni sistema italiano che si rispetti. Come il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, al limite accetta che tutto cambi perché tutto resti come prima. Ci vuole dunque un uomo di apparato, meglio se amico degli amici, et voilà, monsieur Tavecchio è il candidato.
Nel clima surreale che va dal mondiale brasiliano alle fatidiche Idi di Agosto, pare che nessuno degli addetti ai lavori trovi di meglio di questo personaggio che pare uscito da una delle commedie all’italiana degli anni settanta per affidargli i patrii destini pallonari. Anche perché il Tavecchio, che non naviga in politica da un giorno e basta, si presenta subito con un programma da tribuno della plebe che offre nientemeno che la redistribuzione dei diritti televisivi. E la plebe è tutta con lui ovviamente, a cominciare dalla Lega Pro per finire con quelle società di serie A che da tempo lamentano disparità e discriminazioni. Da Beretta a Lotito, passando per i Della Valle, è un plebiscito. Pazienza se Juve e Roma (che con i diritti televisivi stanno a posto così, “servite”, si direbbe a poker) si chiamano fuori dal coro, per una volta la prima e la seconda del campionato paiono isolate e sconfitte.
E veniamo alle sciocchezze, perché non appena viene formalizzata la candidatura di Tavecchio ecco che il pontelambrese di lungo corso comincia a sfornarne in quantità e qualità, come fossero i fuochi d’artificio di Piedigrotta. Basterebbe la prima, elargita all’assemblea della lega Dilettanti che lo acclama, a riconsiderare tutta la faccenda: «Le questioni di accoglienza sono un conto, quelle del gioco un'altra. L'Inghilterra individua dei soggetti che entrano, se hanno professionalità per farli giocare, noi invece diciamo che Optì Pobà  è venuto qua, che prima mangiava le banane, adesso gioca titolare nella Lazio e va bene così. In Inghilterra deve dimostrare il suo curriculum e il suo pedigree... ».
Andrea Agnelli
Pensiero che potrebbe avere anche un fondamento condivisibile, espresso come peggio non si poteva, con una assenza di dimestichezza con la scienza della comunicazione che contrasta in maniera allarmante con la carica che si vuole andare a ricoprire. Qualcuno si ritrae inorridito, qualcuno – con pusillanimità tutta italiana – prende la palla al balzo per prendere distanze che altrimenti non avrebbe avuto il coraggio di prendere. Mentre la F.I.F.A. fa sapere di non aver gradito l’esternazione del probabile futuro presidente di una sua affiliata (proprio mentre infuria la campagna mediatica contro il razzismo, con la sfilata delle figurine dei calciatori più famosi, da Messi a Cristiano Ronaldo), il fronte si rompe. I primi sono i della Valle, la Fiorentina si chiama fuori. Sia per principio o sia per calcolo, gli inventori del terzo tempo e del calcio etico non ne vogliono sapere di legare il proprio nome e la propria immagine a colui che prepara i suoi interventi con la stessa disinvoltura con cui cucina le pere cotte.
Seguono a ruota altri club. In tempi di crisi, i carri di vincitori e sconfitti sono sempre movimentati da un via vai notevole. Il sistema intanto fa quadrato, Franco Carraro proclama “scripta manent, verba volant”, manco fosse un Lotito qualsiasi. Ciò che vuol dire l’uomo che ha un solo sedere per troppe poltrone è che Tavecchio ha detto una boutade infelice, senza dubbio, ma ciò che conta è ciò che promette nel suo programma. Sono i soldi, che da Vespasiano in poi governano la politica a Roma. Anche Gigi Riva spezza una lancia (e parte del proprio nome glorioso) in difesa del “buon uomo” Tavecchio. Va a finire che Albertini Demetrio si erge a salvatore della patria resistendo all’opposizione, e abbiamo detto tutto.
Claudio Lotito
Nel frattempo il Dossier Tavecchio si amplia. Si scopre che è il promotore della campagna “Spogliati e gioca” per la valorizzazione del calcio femminile. «Da sempre protesi a voler dare una dignità estetica alla donna del calcio. Prima si pensava che fosse handicappata rispetto al maschio per resistenza ed altri fattori, adesso invece abbiamo riscontrato che sono molto simili. Adesso abbiamo creato uno slogan che parla della donna come l'altra metà del calcio». Una sintesi perfetta tra il miglior Verdone ed un Albanese d’annata.
Più indietro ancora. Dopo una sconfitta della sua amata Inter con la Roma, il futuro “presidente di tutti” aveva definito i tifosi giallorossi “coatti e magnatrippa”. Ad ognuno il suo cibo preferito, banane agli africani, trippa ai romanisti. E per finire, una nota storica. Dopo giorni di gogna mediatica Carlo Tavecchio sbotta: “Un trattamento simile non era stato riservato nemmeno all’assassino di John Fitzgerald Kennedy”. Lee Harvey Oswald, che com’è noto fu misteriosamente ucciso due giorni dopo gli spari di Dallas.
Cosa abbia voluto dire il candidato Nomen Omen, che evidentemente ha frequentato troppo Lotito e poco una scuola seria, lo sa solo lui. Cosa cerchino da un simile candidato le società che ancora si dichiarano disposte a votarlo l’11 agosto lo sanno solo loro. La logica del “tanto peggio tanto meglio” che apparteneva a una certa destra squadrista di diverso tempo fa?
Nel frattempo i tifosi della Fiorentina plaudono ai loro patron. I Della Valle sembrano averne indovinata un’altra, e per tempo. A prescindere dalle sorti future viola. Per quelle azzurre, mai come adesso il futuro è nelle mani di Dio.


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