Erano le storie che sentivamo
raccontare da ragazzi, fatte di emigrazione, fatica, dolore. Ogni tanto
qualcuno riusciva a raccontarle in modo più emozionante, come Francesco Guccini
con la sua Amerigo. Cominciavano con
la valigia di cartone, e finivano con vecchi italiani che diventavano la prima
generazione di nuovi americani, magari senza riuscire per tutta la vita a
parlare un inglese che non fosse il “broccolino”, comunque non peggiore dell’italiano
dialettale della loro infanzia. Oppure con vecchi italiani che tornavano in
Italia, vittoriosi o sconfitti non importava, la loro ricchezza agli occhi ed
alle orecchie di noi ragazzi stava tutta in quelle storie che avevano da
raccontare. Più affascinanti, per noi che non le avevamo vissute, di qualunque
favola.
Bartolomeo Vanzetti e Nicola Sacco |
Questa era la madre di tutte le
storie. Non aveva un lieto fine, né di vittoria né di sconfitta. Ma solo di
ingiustizia e di morte. Ce l’aveva raccontata il nostro maestro cantore, Ennio
Morricone, che l’aveva messa in musica per la voce essenziale, inesorabile e
inconfondibile di Joan Baez, la menestrella che si divideva in parti uguali con
Bob Dylan la lotta contro tutte le ingiustizie d’America. Here’s to you, Nicola and Bart, riabilitava il nome dell’America
insieme a quello di due delle sue vittime più famose.
Ferdinando Nicola Sacco era
originario di Torremaggiore in provincia di Foggia. Era giunto negli Stati
Uniti nel 1909, non aveva neanche 20 anni. Bartolomeo Vanzetti li aveva
compiuti da poco, quando era sbarcato ad Ellis Island l’anno prima, proveniente
da Cuneo. Piccoli borghesi in cerca di fortuna, uno dal nord e uno dal sud di
un’Italia dove di fortuna ce n’era poca, alla vigilia della Grande Guerra e all’indomani
della Settimana Rossa, quella in cui i lavoratori avevano combattuto –
inutilmente – per diritti che erano ancora ben lontani dall’esser loro
riconosciuti.
Così diversi eppure così uguali,
si erano conosciuti nel 1916 dopo varie vicissitudini che li avevano messi alle
prese con il capitalismo selvaggio, gli scioperi e le repressioni. A farli
incontrare fu l’anarchismo, il verbo di chi al principio del secolo non
accettava più padroni. Il comunismo era ancora uno spettro che si aggirava per
l’Europa, come ai tempi di Marx. Di lì a poco sarebbe diventato l’incubo del
mondo, almeno di quello capitalista. Nel 1917 la rivoluzione russa avrebbe
gettato nel panico le principali potenze industriali della Terra.
Incredibilmente, quella che accusò maggiormente il colpo fu la giovane
democrazia (qualcuno avrebbe detto plutocrazia) nordamericana.
Gli Stati Uniti erano, e sono
rimasti, l’Aquila che tiene tra gli artigli il Serpente. Il sole che nasce ed
il cuore di tenebra, il bene ed il male che si fronteggiano all’infinito.
Nessuno ebbe terrore del comunismo come il paese che era nato dal desiderio di
libertà di tutti i diseredati d‘Europa, e poi del mondo. Il comunismo sovietico
minava alla base la filosofia di vita americana e occidentale, e tanto bastava
per dimenticarsi di tutto, dalla Costituzione americana ai suoi emendamenti.
Anarchici o comunisti non faceva differenza. A ben vedere, poi, gli uomini che
si battevano contro ogni potere avevano già segnato la storia americana. Nel
1901 il presidente William McKinley era caduto vittima dei colpi di pistola
dell’anarchico polacco Leon Czolgosz, un anno dopo che Gaetano Bresci aveva
fatto fare la stessa fine al Re d’Italia Umberto I.
Nel 1917, Sacco, Vanzetti e tutto
il gruppo anarchico del Massachussets fuggirono in Messico, renitenti alla leva
chiamata dal governo americano a causa dell’entrata nella Prima Guerra
Mondiale. Al ritorno, erano tutti schedati dalla polizia come sovversivi.
Quando nel 1920 uno di loro, Andrea Salsedo, arrestato a seguito di disordini,
volò dal quattordicesimo piano di un edificio del Ministero della Giustizia,
tra gli organizzatori delle manifestazioni di protesta c’erano anche Nick e Bart, Sacco e Vanzetti. Che non
immaginavano di aver firmato la loro condanna a morte.
Il comizio avrebbe dovuto aver
luogo a Brockton il 9 maggio, ma la polizia aveva già fermato i due anarchici
italiani. In tempo per accusarli anche di una rapina avvenuta a South Braintree
presso il calzaturificio Slater &
Morril, conclusasi con l’omicidio del cassiere e di una guardia giurata.
“Mi sono vergognato di vivere in
un paese dove la giustizia è un gioco”, avrebbe cantato Bob Dylan 50 anni dopo
a proposito di un’altra ingiustizia colossale, la carcerazione di Rubin Hurricane Carter, il pugile accusato di
omicidio a Patterson, N.Y.
Sacco e Vanzetti furono inquisiti
e processati per sette anni, durante i quali non ebbero nessuna reale possibilità
di difendersi. Neppure la testimonianza del detenuto portoricano Celestino
Madeiros, che li scagionava, fu presa in considerazione dal giudice Webster
Thayer, dalla giuria, dai media, dall’opinione pubblica. I due bastard anarchists, come li chiamava lo
stesso giudice, o Wops (appellativo
dispregiativo – WithOut Papers –
ironizzante sulla differenza e sulla distanza sociale con gli Wasp, la popolazione di etnia
anglosassone del New England) erano destinati a diventare i primi e più famosi
capri espiatori della politica governativa basata sulla prima grande psicosi
della storia americana: la paura del comunismo, destinata a replicarsi 30 anni
più tardi ai tempi della Guerra Fredda e del senatore McCarthy.
La manifestazione di Trafalgar Square a Londra per la liberazione di Sacco e Vanzetti |
A nulla valse la mobilitazione di
intellettuali in Europa e negli Stati Uniti. Albert Einstein, George Bernard
Shaw, Bertrand Russell, H.G.Wells, sono solo alcuni dei nomi di coloro che si
batterono per la salvezza dei due immigrati italiani. Il Governatore del
Massachussets rifiutò la grazia dopo la sentenza che condannava a morte Nicola
Sacco e Bartolomeo Vanzetti. Neppure il
governo italiano di Benito Mussolini, che malgrado la connotazione fascista si
era battuto a fondo per la salvezza dei due connazionali emigrati, riuscì ad
ottenere un esito diverso.
Il 23 agosto era una data
infausta per l’Italia, nel 1926 si era spento a New York il più famoso dei suoi
emigrati in America, Rodolfo Valentino, alla giovane età di 31 anni. L’anno
dopo, a sette minuti di distanza, Nick e Bart furono fatti accomodare sulla
sedia elettrica del carcere di Charleston, un sobborgo della civile Boston,
culla della rivoluzione americana. Sulle mura del carcere il direttore aveva
fatto sistemare addirittura delle mitragliatrici, per paura delle possibili
reazioni della folla radunatasi fuori della prigione per protestare contro l’infamia
di quella esecuzione. Analoghe manifestazioni stavano avendo luogo nelle
principali capitali europee. Tutto inutile.
La storia di Sacco e Vanzetti finì
così. La loro leggenda e la giustizia della loro causa furono affidate alle
parole della ballata di Joan Baez, e a quelle del governatore dello Stato del Massachussets
Michael Dukakis, che esattamente 50 anni dopo dichiarò che “ogni stigma e ogni
onta vengano per sempre cancellati dai nomi di Nicola Sacco e Bartolomeo
Vanzetti”. Bel gesto, che però non ha più valore della riabilitazione di Galileo
da parte di Woytila. Riabilitazione, comunque, ma non assoluzione, perché
formalmente la condanna inflitta ai due italiani non fu eliminata dal
casellario penale. Per la Giustizia U.S.A., ancora oggi Nick e Bart sono due colpevoli, nessuno ha mai rivisto o rivedrà il
processo.
Joan Baez e Bob Dylan |
90 anni dopo, il nome dell’America
è affidato al suo meglio a gente come Joan Baez e Bob Dylan, e alla loro
capacità di vergognarsi e di far vergognare la più grande democrazia del mondo
dei suoi errori. E alla capacità di quella democrazia di imparare da essi. Che
si ripeteranno sempre all’infinito, al pari degli orrori che li provocano.
Errori ed orrori, l’Aquila ed il
Serpente.
“Io non augurerei a un
cane o a un serpente, alla più bassa e disgraziata creatura della Terra — non
augurerei a nessuna di queste ciò che ho dovuto soffrire per cose di cui non
sono colpevole. Ma la mia convinzione è che ho sofferto per cose di cui sono colpevole.
Sto soffrendo perché sono un radicale, e davvero io sono un radicale; ho
sofferto perché ero un Italiano, e davvero io sono un Italiano”
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