Ricordo che mia madre cominciava
a commuoversi già alla prima scena, l’inquadratura del cielo stellato dalla
finestra di una casa italiana qualunque, mentre una stella cadente attraversa
la notte e la voce narrante di una bambina introduce la storia. Una bambina
come poteva essere lei, della stessa età e della stessa estrazione. Una bambina
che stava per vivere il momento più drammatico della sua vita e del secolo in
cui le capitava di viverla, e che inevitabilmente era destinata a scambiarlo
per un sogno ad occhi aperti.
La Notte di San Lorenzo fu nel 1982 il capolavoro cinematografico dei
Fratelli Paolo e Vittorio Taviani, con cui vinsero meritatamente il Premio Speciale della Giuria al 35°
Festival di Cannes e soprattutto riuscirono a far rivivere con sobrietà e
grande classe narrativa e scenografica il momento cruciale, il ricordo più
vivido a due generazioni, quella dei nostri nonni (incarnati dal fattore
Galvano – Omero Antonutti che guida in salvo i profughi da San Miniato la notte
in cui i tedeschi si ritirano e gli americani stanno per arrivare) e quella dei
nostri genitori (incarnati dalla bambina che racconta quei fatti prima tragici,
poi gioiosi e comunque sempre ammantati di favola).
La notte di San Lorenzo è quella
delle stelle cadenti, e dei desideri più profondi espressi al cielo perché si
avverino. Anche quelli più irrealistici o quantomeno più difficili, in
apparenza. Nel film, quella è la notte della Liberazione (ma i contadini in
fuga non lo sanno, sanno solo di doversi rifugiare da nazisti e fascisti e
sperare all’alba di essere ancora vivi) che coincide con quella in cui il
protagonista Galvano corona il sogno d’amore della sua vita, trascorrendo il
momento più critico tra le braccia della cugina Concetta, a lungo desiderata. E
all’alba, mentre i suoi compagni, saputo dell’arrivo della V^ Armata americana
tornano a San Miniato ormai certi di essere salvi, lui rimane lì sull’aia del
casale che li aveva ospitati, sotto la pioggia, a guardare incredulo quel mondo
circostante che pur essendo uguale a quello di ogni altro giorno della sua
vita, è in realtà drasticamente cambiato per sempre. In un modo forse che solo la
capacità di sognare ad occhi aperti della piccola narratrice sarà capace di
cogliere appieno.
Nella realtà, la Notte di San
Lorenzo del 1944 fu la notte prima del passaggio del fronte a Firenze e
dintorni. La mattina dell’11 agosto i primi G.I. americani ed i primi
partigiani italiani entrarono nel capoluogo toscano e nei principali centri
abitati dell’hinterland, tra cui quella San Miniato (al confine tra le province
di Firenze e Pisa) in cui l’opera di fantasia dei Taviani è ambientata. In quella
lunga notte che aveva preceduto il giorno della Liberazione, la notte delle
stelle cadenti appunto, la gente di quelle zone aveva avuto un solo desidero da
lanciare verso il cielo stellato e solcato da quelle scie misteriose, che la
scienza d’allora non sapeva ancora spiegare ma che la fantasia umana sapeva
come sempre caricare di mille significati. Un solo desiderio: che finisse
presto e bene.
Che andassero via gli uomini
vestiti di nero, che finissero le bombe, che cessasse la paura insieme alla
fame, che i liberatori fossero davvero tali, al di là della cioccolata e delle
sigarette e di tante altre cose che distribuivano, e che comunque
rappresentavano più immediatamente di tanti altri simboli quel mondo nuovo
incontro al quale la gente fu ben felice di precipitarsi a braccia aperte.
La fotografia dei Taviani e la
musica di Nicola Piovani venivano dal genio della loro mente e dal profondo del
nostro cuore. Venivano direttamente da quel passato lontano che quarant’anni
dopo faceva ancora commuovere mia madre, e adesso riesce a commuovere me che
non l’ho vissuto ma di cui so tutto grazie ai suoi racconti appassionati. E che
ora che ho raggiunto l’età che lei aveva nel 1982 mi rendo conto di come quella
notte abbia segnato non solo la bambina che la visse ma anche il bambino che
nacque quasi vent’anni dopo. E che senza quelle stelle cadenti, e quei desideri
che una volta tanto si avverarono, chissà in che mondo ancor meno perfetto di
questo sarebbe capitato.
La piccola Cecilia, interpretata da Micol Guidelli, voce narrante e protagonista della Notte di San Lorenzo |
Mardocchio
e mardocchiati /san Giobbe aveva i bachi
medicina
medicina / un po’ di cacca di gallina
un po’ di
cane un po’ di gatto /domattina è tutto fatto
singhiozzo
singhiozzo /albero mozzo
vite
tagliata /vattene a casa
pioggia
pioggia /corri corri
fammi
andare via i porri
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